Controccorente - anno XIV - n. 3 - nov.-dic. 1957

DECEMBER 195 7 GAETANO SALVEMINI un'altra sua recente fotografia

Chiarificazione • necessaria Caro Felicani: Accludo nella presente $2.00 come mia contribuzione a Controcorrente. Mi dolgo che non posso di più datosi che il peso degli anni mi impedisce di lavorare, e sono dannato a tirare la vita con $120.00al mese, che percepisco dal Socia! Security, sopportando anche la compagna. Non inserire il mio nome come contributore ... Mi è sempre piaciuto Controcorrente, e come la leggevo con piacere prima sono contento di rileggerla ora ch'è rinata. Peccato che non ci sarà più Salvemini. .. Ti scrissi anni or sono, quando Salvemini in un suo scritto affermava che: "Battistoni con la presidenza de la Mazzini Society, si era guadagnato l'ufficio Consolare di Buffalo" ed ebbi da te una risposta per lettera personale molto soddisfacente. Ora ritorno a scriverti per sapere quali sono le prove concrete che ha l'autore dello scritto "Un biglietto al Duce", quando COMMENTO afferma categoricamente che Angelica Balabanoff fu l'amante di Benito Mussolini. · Ricordo anni or sono che la Balabanoff querelò un giornale di New York che affermava che la figlia di Benito, era nata dalla Balabanoff, e il giornale fu condannato. Anche anni or sono, in occasione di una conferenza a Buffalo della Balabanoff, il "Buffalo Evening News" stampava che la Balabanoff fu anche l'amante di Lenin e del Duce. Anche a detto giornale fu dato querela e la causa fu vinta dalla querelante. Sono convinto (fino a prova contraria) che non ci sia nulla Idi vero, datosi che se la Balabanoff fosse stata l'amante, non avrebbe scritto tanto contro il Duce mentre era in vita, avendo qualche cosa da rimproverarsi. .. Vorrai tu o l'autore dello scritto darmi una risposta? Con l'augurio di lunga vita a Controcorrente ti saluto". X.X. Ringraziamo X. X. per aver richiamato la nostra attenzione su questo sfortunato incidente. Il richiamo ci da' l'opportunita' di fare pubblica ammenda. Quando la rivista fu stampata il compilatore era temporaneamente assente. Per ragioni incomprensibili non furono /atte le correzioni nelle bozze del trafiletto che contiene la infelice rejerenza, scritto da un nostro collaboratore. Il nome della Balabanof f era stato eliminato. A spedizione fatta era impossibile rimediare. Vi rimediamo ora - nel limite del possibile - con l'umilta' e la schiettezza che ci caratterizzano. Non esitiamo a dichiarare che abbiamo sempre considerato quell'insinuazione contro la Balabanojf una malignita'. Che sia tale e' stato provato in piu' di una occasione. La Balabanof f e' stata ampiamente vendicata contro coloro che hanno fatto circolare quel sottovoce. Siamo amareggiati piu' di quello che potremmo dire per questo incidente. E' superfluo aggiungere che la cordialita' e il rispetto reciproco esistiti fra noi e la Balabanoff nel corso degli anni dovrebbe · essere su/ jiciente prova per rimuovere qualsiasi dubbio della nostra profonda stima per lei. CONTROCORRENTE

RIVISTA DI CRITICA E DI BATTAGLIA Fondata nel 1938 - Direttore: Aldino Fellcani Indirizzo: CONTROCORRENTE, 157 Mllk Street, Boston 9, Mass. CONTROCORRENTlsEpubll511cbdi•monthly.Mail addms: 157 Mllk SL, Boston, Aldlr<>felicanl, Editor and Publlshe.r. Office of publicbtion 157;Mille Strttt, Boston9, Mass. Second-classmail privilegtSautta'izt'd al Boston, Mass. Subsaiptic.1$3 a yeer. Voi. XIV (New Series) No.3 BOSTON, MASS. November-December, 1957 IlMovimento Partiginaenlol'Itadlei1al 943-4 di GAETANO SAJ.VEMINI Nel 1833, in attesa della generale insurrezione italiana, che egli credeva imminente, Mazzini fece suo il piano della "guerra per bande" delineato alcuni anni prima dall'antico colonnello piemontese, esule dopo i moti del '21, Carlo Bianco di Saint Jorioz (Della guerra nazionale d'insurrezione per bande applicate all'Italia, 2 voi., Italia 1830, pubblicati anonimi). La tecnica di quelle guerre per bande era stata suggerita al Bianco daU.a insurrezione spagnuola contro Napoleone nella quale l'esercito francese era stato rovinato da bande di partl,giani - come li chiameremo noi oggi -, canll. sbucati da tutte le parti per sbranare il lupo. Nè il Bianco nè Mazzini si rendevano conto della differenza che c'era fra le condizioni, della Spagna durante l'insurrezione contro Napoleone, e qu-elle dell'Italia nell'insurrezione da essi auspicata. contro l'Austria e i sovrani vassalli dell'Austri"1.. I contadini spagn,'Uoli, cattolici, si erano battuti sotto la guida di preti e fr,ati, contro soldati che simboleggiavano per essi 11 regime napoleonico carceriere del papa. Se le popolazioni rurali spagnuole non avessero partecipato ai moti antifrancesi, o almeno non li avessero favoriti con la loro simpatia, i soldati di Napoleone starebbero ancora oggi in Spagna a dormire sonni tranquilli. Sim!l! alle condizioni psicologiche dei contadini spagnuoli erano quelle dei contadini italiani. Questo vuol dl,re che le bande vagheggiate da Mazzini avrebbero dovuto essere guidate da uomini, verso i quali il basso clero e i contadini ital!anl sentivano tanta avversione quanta ne avevano avuto i contadini spagnuoli con-tro i soldati francesi. Nelle popolazioni rurali italiane i rivoluzionari di Mazzini avrebbero trovato, non seguito ·o consenso, ma resistenza ,attiva o inerzia ostile. Mazzini aspettava miracoli dal "popolo" -, un popolo italiano che egli non conosceva per esperienza di.retta, e nel quale assai tardi arrivò a distinguere le masse rurali dall'artigianato cittadino - e lo idealizzò sempre romanticamente, come depositario di ogni perfezione e capace di ogni eroismo. La guerra per bande l'avevano fatta nel 1799 i ci:mtacilni dell'Italia meridionale contro i francesi, al comando del Cardinal Rluffo. Questi sbarcò a Reggio Calabria, non a capo di mille uomini come Garibaldi in Sic!lia nel 1860, ma accompagnato da ~n più che un segretario e un cameriere. E in IJ)()Chi mesi le bande raccolte intorno a lu.i riportarono trionfalmente a Napoli il loro re. Esse furono formate e condotte dagli

stessi elementi sociali, e mt>sse dalle stesse passioni, che dovevano scatenare le bande spagnuole dieci anni dopo. Un'oaltra guerra per bande la fecero contro i "piemontesi" i contadini dell'Italia meridionale, dopo il 1860, per molte e diverse ragioni, prima fra tutte la coscriZione militare piovuta sul loro capo da un momento all'altro come un fulmine del cielo. I fratellL Bandiera sbarcarono nel 1844, illudendosi di promuovervi una "guerra per bande" sul modello mazziniano. Fecero la fine che tutti sanno fra popolazioni ostili. Con tutto questo, nel 1849,Mazzini ripubblicò lo scritto del 1833, e lo ripubblicò nel 1853 associandolo con un;a "istruzione per le bande nazionali" che consisteva di ben quarantuno avvertimenti (Scritti editi e inediti, ed. Nazionale, III x, 197-241). Pisacane, nel 1857, crede di potere iniziare la guerra per bande nel Salernitano·, e fece unn fine anche più tragica che quella dei fratelli Bandiera. La guerra per bande sognata da Mazzini durante tutta la vita ebbe luogo in Italia dall'autunno del 1943 alla primavera del 1945. Fu possibile perchè dietro agli uomini, che rischiavano la vita nei colpi di mano contro i tedeschi e contro le brigate nere, c'era una seconda linea, che provvedeva i viveri, nascondeva i feriti e proteggeva la fuga degli sconfitti. I combattenti veri e propri respiravano quell'aria. Se quell'aria fosse mancata, sarebbero ben presto rimasti asfissiati. Non c'è dubbio che i polli del contadini fecero largamente le spese di quella guerra per bande. Tuttt i soldati, regolari e irregolari, in tutte le guerre della storia, hanno sempre fatto la guerra ai polli dei contadini oon un gusto che non era altrettanto spiccato per altri tipi di operazioni militari. E sarebbe assurdo credere che i contadini italiani abbiano visto quella guerra con maggiore sOddisfazione che i contadini di qualunque altro paese, in qualunque altro periOdo storico. Ma anche rammaricandosi e brontolando per i danni che ne soffrivano, essi considerarono sempre i partigiani come amici, e come nemici, gli altri, anche se costoro, avendo abbastanza da mangiare, rispettavano forse i polli. La efficienza mili.tare dei partigiani fu certamente assai scarsa dall'autunno del 1943 all'estate del 1944, crebbe lentamente nella seconda metà del 1944, diventò poderosa nei primi mesi del 1945. Sul principio dell'autunno del 1944, il Governo tedesco ammise che sei delle ventisei divisioni messe in Italia ,agli ordini di Kesserling erano tenute occupate dai partigiani. E nell'ottobre dello stesso anno il comandante inglese in Italia, generale Alexander, calcolò a otto le divisioni che i partigiani italiani inchiod,avano lontano dal fronte di combattimento (New York Times, 10 nov. 1944). Fra l'ottobre 1944 e l'aprile 1945 il numero delle divisioni tedesco-fasciste distratte dalla linea del fuoco deve essere aumentato di molto. Teniamoci, con prudenza forse eccessiva, a dieci di,visioni. E calcoliamo che in quei mesi ogni divisione comprendesse seimil.a uomini, e non i dodicimila che una divisione rappresenta quando è in piena iefflcienza. ArrLvlamo a 60 mila tedeschi e fascisti costretti a sparpagliarsi nelle regioni a nord della linea gotica nel primi mesi del 1945, per reagire contro i nuclei partigiani ,attivi. Le truppe diciamo cosi regoliari erano bene armate e sussidiate con serv.izi tecnici di tutti i generi, mentre i partigiani italiani erano scalcinati e organizzati, o meglio disorganizzati, in quella m,aniera che tutti sanno. Si può perciò ca.loolare, senza rischio di veder grosso, che per dar da fare a un tedesco o u,n mussoliniano erano necessari almeno due partigiani. Inoltre bisogna aggiungere gli uomini e donne - don,ne meravigliose - che nelle retrovie aiutavano e come! coloro che menavano le mani in prima linea. Eppoi le cifre brute dànno solamente una parte, e non la più importante, della storta. Un esercito non si batte risolutamente se non si sente 4 CONTROCORRENTE

sicuro alle spalle. Retrovie ostili tagliano i nervi ai soldati meglio agguerriti. Chi è vissuto in guerra a contatto con soldati, sulla linea del fuoco, sa che il morale è tutto. Le masse rurali italiane distrussero 11 mol"ale dei tedeschi e dei mussoliniani. Chi svaluta la efficienza dei partigiani italiani nell'ultima guerra, sarà forse un bravo ufficiale di stato maggiore, ma è certo un pessimo conoscitore dei valori umani. Negli ultimi mesi del 1944 e nei primi del 1945 in Italia il morale tedesco-fascista andò del tutto in pezzi, non solo per le notizie ca.tastroftche provenienti da tutti gli altri teatri della guerra, ma per il sabotaggio continuo che ne avevano fatto per diciotto mesi i contadini italiani. In quei mesi, per la prima volta nella storta d'Italia - dial secolo XIII in poi - le popolazioni rurali parteciparono attivamente a una guerra civile, non più stando dal Lato reazionario, ma sommosse da una coscienza nazionale e sociale, confusa quanto si vuole, ma sicuramente orientata e pronta ad affrontare anche l'ultimo sacrificio. L'esperienza di quei mesi ha dimostrato che esiste in Italia nelle popolazioni rurali una coscienza nazionale con la quale chi non vorrà trovarsi a mal partito dovrà sempre contare. Per valutare adegu,atamente l'azione delle popolazioni rurali italiane dall'armistiw del 1943 alla primavera del 1945, bisogna, mettere in conto anche l'assistenza da esse data ai prigionieri di guerra, agli interna.ti e ai disertori, assi.stenza che comportava la pena di morte. Il Governo inglese ha riconosciuto a cinquantamila italiani, specialmente contadini, lil merito di avere assistito prigionieri e internati inglesi. Se tanto mi dà tanto... Alcuni giorni or sono, un giovane jugosLavo, fuggito da un campo di concentramento, mi parlava con emozione della semplicità silenziosa con cui i contadini delLa Ciociaria lo accolsero ovunque, divisero con lui il loro scarso pane, lo aiutarono a travestirsi, se lo passarono dall'uno all'altro, e nessuno mai tradl. Una donna gli disse: "Che ce vo' fa? Ce tocca esse boni!". E lui ripetev.a queste parole colle lagrime agili occhi. Lo scoppio universale d'entusiasmo con cui fu salutata in Italia, il 25 luglio 1943, la caduta di Mussolini, e più ancora il movimento partigiano, formatosi spontaneamente e consolidatosi assai prima che i servizL di in'formazione inglesi e americani si decidessero a scoprirlo, dimostrano che il regime fascista e l'uomo che lo impersonava non erano stati mai popolari negli strati profondi della popolazione itialLana. O popolo italiano, destituito di senso comune, di senso politico, di senso giuridico, di senso religioso, di senso economico, di senso morale, di tutti i sensi possibili e immaginabili nell'universo ma ricco come nessun altro popolo della terra di un senso solo, il senso di umanità. Questo rtscatta in te la mancanza di tutti gli altri sensi! La resistenza unanime del popolo italiano (di molti fra gli stessi fascisti) alla politica antisemita v.oluta dall'Uomo della Provvidenza, e poi la partecipazione spontanea dei contadini italiani alla resistenza del 1943-45 resteranno per sempre fra le pagine più luminose della storia italiana. La bellezza di quelle pagine dovrebbe essere compresa anche da quei giovani che militarono sotto le bandiere della Repubblica di Salò, senza calcoli personali, per onesta fedeltà atd un ideale che essi credevano giusto, portando anch'essi la loro parte di fardello nella sventura comune di un'atroce guerra civile, di cui nè essi nè i partigiani furono responsabili. Gaetano Salvemlnl DICEMBRE 1957 5

GLI UOMINI DELLA RESISTENZA DUCCIOGALIMBERT Il 4 dicembre 1957 ricorre ,l tredicesimo a11niversario del bmtale assassinio di Duccio Galimberti, figura ormai leggenctarù:I, della meravigliosa resistenza partigiana. Questo r1;cordo di Galimberti fu pubblicato in Controoarrente del Febbraio 1948, riprodotto eta Italia libre di Buenos Aires. E' il primo di una serie cU episodi del movimento della re_sistenza che intendiamo far conoscere agli italiani d'America. Quel movimento tanto diffamato nei rece11ti a>mi deve essere ricordato. E' l'1mico modo per esprimere il 11ostro tributo a coloro che si sono sacrificati per Uberare l'Italia dalla malabestia nazi-fascista. . Duccio Galimberti è stato nella vita e nella morte l'esempio tipico del civile ,tallano, che mantiene accesa nell'anima, no11osta,1te tutto, Za idea imperitura di libertà, dign!ità e indipendenza di fronte a chicchessia ed è disposto a difenderla col sacrificio della vita. Sorto d'·un tratto alla ribatta politica in tutta la sua personale grandezza nelle giornate di passione e di smarrim.eiito collettivo che seguirono alla cad1,ta ,li Mussolini, Duccio Galimberti dive,me in brevissinio tempo l'anima delta resistenza piemontese contro l'invasore tedesco e lo sperimentato orga11izzatore delle bande parVigiane di Giustizia e Ubertà. Oggi, se vivesse, sarebbe certamente, insieme a pochi altri, il difensore di quell'ideale polittco ed umano per cui, tredici anni or sono tutto il nostro popolo si la11ciò allo sbaraglio i11 una lotta che rimarT<ì il fatto più glorioso della nostra storia millenaria. Nellli11tenzione di tributare un degno om.aggio alla Sua memoria r,iportiamo etlc1mi cwcumenti sulla sua fine che hanno un incalcolcwile valore storico ed effettivo giacchè sono stati pubblicati il 15 dicembre 1944, undici giorni dopo il suo assassinio, nel Numero Speciale del gwmale clandestino Il Partigiano Alpino. Si tratta di parole sprovviste da ogni artificio e dettette solamente dal dolore e dalla passione, vergate alla macchia dai suoi compagni sotto la minaccia permanente del piombo nazi-fascista. In esse è contenuto il maggior e migliore omaggio che si possa rendere alla memoria d·i chi 11,tto diede per la libertà dell'Italia. IL PENSIERO E L'AZIONE I fascisti non hanno osato tradurre Duccio Galimberti dinanzi ai loro tribunali, poichè sapevano con certezza che di fronte alla loro ferocia e bassa criminalità, alla loro colpa tremenda nel confronti della nazione, egli da accusato sarebbe ldlvenuto accusatore, ed esaltanto in sè stesso l'eroismo di un popolo che ricerca e ritrova nel martirio la via del riscatto e della rinascita, avrebbe pubblicamente fatto pesare sugli aguzzini del paese la testimonianza ultima e radiosa della sua fede e della sua abnegazione. Temevano inoltre l carnefici di acuire troppo nell'attesa e nelle fasi di un pur sbrigativo processo la tensione dello sdegno e della emozione popolare, e perciò preferirono freddarlo simulando un tentativo di fuga e abbanldonandone il cadavere in aperta campagna. La morte, ainche se lo ghermiva a tra.ldlmento e alla insaputa di tutti, subito ne ingigantiva la figura, coronando e suggellando nella 6 sublimità del martirio la perfetta coerenza di una vita, cui un pensiero e un Ideale furono di luce e di stimolo ad un'azione travolgente impetuosa efficace. La figura di Duccio Galimberti è e resterà indissolubilmente legata alla storia gloriosa della lotta di liberazione nazionale, nel cui centro egli si è posto come uomo di partito e come combattente del Corpo Volontari della Libertà. Erede per parte materna e cultore egli stesso di una profonlda devozione alle idealità mazziniane fu sempre antifascista convinto e fervente repubblicano. Venuto nel 1942 a ·contatto con elementi del Partito d'Azione, riscontrò in esso il movimento politico che forte di una lunga e tenace tradizione di lotta contro 11fascismo, ricco di energie confluenti dalle più varie correnti liberali democratiche e socialiste attraverso ad un comune processo di revisione critica CONTROCORRENTE

delle vecchie ideologie e basi programmatiche, maturato a riscontro di una esperienza europea oltrechè italiana, rispondeva alle esigenze di rinnovamento delle istituzioni politiche e sociali, alla ricostruzione di uno stato che, nel suo ortdinamento profondamente democratico e ad opera di una classe dirigente tratta dalle classi lavoratrici, realizzasse la necessaria unità fra le libertà politiche e le attuazioni di una maggiore giustizia sociale. Diede pertanto al partito la sua entusiastica adesione e subito promosse in Cuneo la costituzione di cellule clandestine che dalla cerchia cittadina si estesero ai principali centri della provincia. Fu il 26 luglio che Duccio rivelò assieme alle sue capacità di agitatore e organizzatore, la chiarezza e la maturità del suo pensiero politico: primo tra tutti egli, invero, voce isolata ancora nel frastuono di quanti, ebbri e disorientati dalla rapidità Id.e gli avvenimenti, perseguivano falsi miraggi e allettanti e tacili soluzioni di semplici avvicendamenti al potere o di restaurazione delle vecchie posizioni additò agli italiani come compito urgente e ad ogni altro sovrastante la preparazione alla guerra contro il nazismo. La guerra contro Hitler, come necessità di ratto derivante da la nuova situazione italiana, la guerra di popolo, come esigenza morale e politica per li riscatto del paese di fronte al mondo e per la rottura definitiva colle forze reazionarie e conservatrici, favorevoli a nuovi nefasti compromessi, ecco il tema principale del due discorsi da lui pronunciati dinanzi alla folla il 26 luglio, a Cuneo dal balcone di casa sua e a Torino in Piazza Castello, durante un comizio promosso dai partlglant e interrotto dal brutale Intervento degli scherani del generale fascista Adamo Rossi. Con la posizione politica cosi assunta, e che egli sostenne pure a Firenze al primo congresso tenuto dal Partito d'Azione, cui partecipò quale membro della direzione regionale piemontese, Duccio ormai, si avviava, evadendo dalla cerchia provinciale, dove in precedenza si era svolta e sosta.nzlalOICEMBRE 1957 mente contenuta la sua attività, ald operare e, sopratutto ad affrontare i problemi dell'ora su un pia.no nazionale. Ed è su questo plano che grandeggia la sua figura da quel lontano 10 Settembre, quando iniziatasi la guerra da lui prevista e auspicata, oltre che combattente e uno dei principali artefici della resistenza, in Piemonte, contribui con l'intuizione precisa dell'eslgenze della lotta, con l'impostazione coerente delle direttive sul terreno della organizzazione e de l'azione, a rivelare, difendere e potenziare il carattere popolare, 11 significato e 11valore politico, le finalità democratiche della guerra partigiana. "Dopo 10 mesi Idi dure prove e di vittoriose battaglie abbiamo il diritto e 11dovere di guardarci d'attorno" cosl scriveva nel luglio 1944. "Si comincia finalmente a comprendere che la nostra non è ma.novra di eserciti combattenti per dovere sia pure superiore, e con finalità limitate all'esito immediato delle operazioni militari, ma lotta di popolo, spontanea, mossa da intenti di rinnovazione e di trasformazione del vecchio mondo, le cui colpe tennero a battesimo fenomeni quali 11 nazismo e 11 fascismo, di cui sono l'ultima causa". L'll Settembre 1943, sopra Valdieri, ad opera 'CiiDuccio e di alcuni suoi compagni era costituito quel primo modesto nucleo di combattenti, dal quale dovevano in seguito sorgere le valorose e ben agguerrite divisioni Cuneesi delle Formazioni Giustizia e Libertà, che unitamente alle altre bande del luogo imprimeva.no 11.lla guerra partigiana nella provincia di Cuneo (che meno di ogni altra pareva per fattori ambientali e tradizionali rispondere alle caratteristiche e alla asprezza della lotta civile) un ritmo, un grado di intensità e di estensione tali da portare in breve la provincia stessa alla testa dell'intero movimento piemontese Idi resistenza. Duccio, con le armi in pugno, nella consapevolezza superba di riprendere a continuare la tradizione gloriosa della prima Colonna di "G. L." in Spagna, partecipa a varie operazioni militari. Nel Gennaio del 1944, durante un 7

rastrellamento tedesco in Valgrana, in un combattimento di retroguardia riporta tre ferite; non abbandona tuttavia il suo posto di comando sino a che non ha messo i suoi uomini al sicuro, rivolge loro ancora parole di incitamento e di entusiasmo dopo di che soltanto accondiscende ald essere trasportato con mezzi di fortuna in un ospedale dove sarà operato. Breve è tuttavia l'interruzione della sua attività, che egli ben presto riprende, chiamato ad assumere il comando regionale delle Formazioni Giustizia e Libertà e a fare parte del Comando piemontese del Corpo Volontari della Libertà. Conscio dei compiti di grande responsabilità affidatigli, ricco di esperienza Idi guerra partigia111a, dotato di una volontà è di una capacità incomparabili di lavoro, profonde in questo le notevoli energie intellettuali, morali e fisiche. Fu degno continuatore dell'opera iniziata da Paolo Braccini, che nel martirio lo aveva preceduto. Alle Formazioni Giustizia e Libertà riusci a dare un incremento notevolissimo ed un compito organico inquadramento, da affinarne la sensibilità politica ed accrescerne lo spirito e la capacità di offesa. Al movimento partigiano nel suo assieme diede l'instancabile apporto ICiellasua attività, adoperandosi al massimo perchè fra le varie formazioni si raggiungesse una totale e proficua collaborazione nella comunità di sforzi e di intenti. Va di lui ricordata infine l'iniziativa di stabilire contatti col movimento francese di resistenza nelle regioni di frontiera; contatti che furono e sar=o fecondi di risultati non solo sotto l'aspetto della collaborazione militare, ma anche perchè con essi sono state gettate le basi della nuova solidarietà italo-francese nella lotta contro il nazi-fascismo e per la nuova Europa. Duccio Galimberti è e resterà, nel ricordo della sua opera, nel valore del suo esempio, vivo tra di noi, tra i compagni di partito e i combattenti dell'esercito della liberazione. E dal sacrificio suo, come da quello di tutti gli altri valorosi che sono caduti sul campo di battaglia, noi sapremo attingere le energie necessarie per superare vittoriosamente le dure e sanguinose prove che ancora ci incombono. LA PRIGIONIA E LA MORTE Sulla breve prigionia e sulla morte di Duqcio Galimberti abbiamo potuto raccogliere i seguenti particolari. Duccio venne arrestato nella mattJlna del 28 novembre ad 'Opera di agentli. della squadra politica nella questura di Torino e trasportato in una camera di sicurezza della questura stessa. Chi ,procedette al Sll'O primo interrogator:io fu di famigerato commissario Maselll, tristemente noto per il suo accanimento contro i combattenti per la libertà e già denunciato dalle radilO alleate - insieme al soo collaboratore Cunzi - come criminale di guerra. Il 1.o 'dicembre Duccio venne trasferito alle Carceri, dove rimase tutto il giorno successivo. Il federale di Cuneo, Ronza, informalto della sua rottura, intervenllva pN!SSOle autorità fasciste di Torino perchè DuccÌ'O venisse me&"Oa sua d'isposlzione, e vedeva esaudita }a sua richiesta grazie all'appoggio dei vicefederali Costa e Tealdy. Da sera del 2 Duccio era prelevato dalle carceri - all'insaputa della stessa squadra politlica della questura - e portato a Cuneo nella caserma delte brigate nere. Qui, dopo essere brutalmente percosso (e forse tlorturato: H suo cadaVE!'l"epresentava infatti la frattura del due mascellari) da militi agli ordini di Renzo Franchi, veni\·a ucdiso con quattro col,pl di arma da fuoco, sparatigli da tergo a bruciapelo. La morte, Istantanea, era provocata da un oolpo alla nuca con fuoruscita del proiettile dall'occhio. Cominciava allora la t:Iiiste mascheratura del delitto. Il cadavere era caricato su un camioncino e nei pI'eSSi di Centallo buttato ai margini della strada. La più evidente smentita alla versiane ufficiale dell'attacco da pante dei partigiani e dell'attentato di fuga sta nel fatto che accanto al cadavere illon ve=ero trovate tracce di sangue; il che dimOIStra che Ja morte era già avvenuta da alcune ore. La partecipazione della popol:azlone dli Cuneo al lutto per la morte di Duccio è stata immensa, n,onostante l'ondata di terrore scatenata ,proprio ,i,n quei giorni illella regione dai banditi neri. La sua tomba provvlsoI1ia nel cimitero è stata letteralmente sepolta dai fiori, tanto che le au1l<ilrltà han dovuto oroinare la chiusura del Cimitero. Sono stati operati numerOSi arresti. 8 CONTROCORRENTE

SALVEMINI Continuiamo a raccogliere tribwti e commenti scritti dopo la fine ài Salvemini. Più che espressioni di cordoglio questi scritti analizzano l'uomo e la sua opera. La scomparsa fisica dello storico e del combattente è incidentale. Salvemini vivrà nelle sue opere. La sua battaglia polittca sarà ricordata come simbolo di purezza e di coraggio. Noi vogliamo contribuire a tener vivo il suo nome. Questi scritti dicono sopratutto quanto profonda sia l'ammirazione degli italiani che pensano per le battaglie combattute da lui in difesa del popolo e del suo paese. C'è ragione di essere orgogliosi e fieri di questa testimonianza per un combattente col quale abbiamo avuto la fortuna di lavorare in difesa della povera gente. Vogliamo che i lettori di CONTROCORRENTE - che hanno seguito ed ammirato il grande storico - seguano con not questa superba espressione ài rispetto e di ammirazione. ENZO TAGLIACOZZO ll Ponte La scomparsa Idi un Maestro come Gaetano Salveminl, che per un sessantennio riusci ad influenzare tre generazioni di italiani nonchè una vasta cerchia di persone in Francia, Inghilterra e soprattutto negli Stati Uniti, c'induce a chiederci in che senso si può dire, senza tema 'di esagerare, che Egli sia stato uno dei maggiori educatori vissuti nel nostro paese nell'ultimo cililquantennio. Siamo convinti che una persona, purchè sia un Salvemlni, può da sola esercitare una influenza benefica perfino superiore a quella di una schiera d'insegnanti e pedagogisti. A chi guardi superficialmente, può sembrare ohe nel corso della sua esistenza ricca ed intensa Salvemlni abbia disperso le sue esuberanti energie ·in troppe direzioni diverse. Insegnante medio e universitario; storico del Medio Evo, dell'Età MOlderna e Contemporanea; brillante polemista socialista tra la fine del secolo scorso e il primo decennio del 900; fondatore e direttore per un decennio di un suo settimanale politico; capo della Federazione degli In,segnantl Medi nonchè studioso e riformatore nel campo dei problemi scolastici; organizzatore del contadini pugliesi; tenace oppositore dei corrotti metodi elettorali del Mezzogiorno in epoca glolitttana; conoscitore originale e profondo della questione mericilonale; avversario del nazionalismo e delle avventure coLoniali; interventista e volontario, a 40 anni, nella prima guerra mondiale; sostenitore, durante il conflitto, del programma mazziniano di politica estera, e quindi contrario all'annessione all'Italia di territori appartenenti ad altri, fossero greci, tedeschi o jugoslavi; avversario del fascismo fin dal suo sorgere perchè violatore dei principi! di libertà e democrazia; promotore del primo giornale clandestino quando i fascisti soppressero la libertà ~i stampa; dimissionario dalla sua cattedra universitaria ed esule volontario per non piegarsi alla dittatura fascista; nel ventennio dell'esilio, il più intelllgente tra gli avversari del fascismo che riusci a dimostrare con la parola e con gli scritti in Francia, in Inghilterra, negli stati Uniti di che lacrime e di che sangue grondasse quel regime spesso blandito dagli uomilill di governo e dalla stampa del paesi democratici; censore della nuova democrazia DICEMBRE 1957 9

italiana emersa 1 dalla guerra e dalla liberazione: ecco un nudo ed incompleto elenco delle principali buone cause alla cui difesa Salvemini dedicò le sue energie. Per dare un'idea della mole di lavoro accumulato da quest'uomo straordinario basterà dire che se si volessero ristampare tutti i suoi scritti storici e politici non sarebbero sufficienti una trentina di volumi di trecento pagine l'uno. C'è stata nella esistenza di Salvemini una mirabile unità di pensiero e di azione, di ricerca storica e di attiVità politica che raramente si trova in altri. Il filo conduttore per la comprensione idi Salvemini è che, abbia fatto storia o politica, Egli è stato soprattutto un grainde educatore e maest110 di vita morale. Benchè la sua carriera universitaria fosse bruscamente interrotta dal fascismo nel 1925, quando Salveminl scelse l'esilio, era già riuscito a indirizzare ed influenzare non pochi studenti, alcuni dei quali sono stati o sono oggi tra i nostri migliori storici e professori universitari. Ne ricorderemo solo alcuni: Nello Rosselli e Federico Chabod, Pietro Silva e Raffaele Ciasca, Ernestlo Sestani .e Piero Pleri. Ma quante diecine e forse centinaia di giovani che sono oggi insegnanti liceali non seguirono i corsi di Salvemini o si laurearono sotto la sua guida ricevendone ammaestramenti di cui certamente non si sono dimenticati? E questa fu soltanto la sua opera di professore. Senonchè fin dalla gioventù sa1vemini non si accontentò di ammaestrare dalla cattedra, e senti il bisogno di comunicare il suo pensiero a cerchie sempre più vaste di persone. Ed ecco che scrisse libri di storia come il "Mazzini" e la "Rivoluzione francese", che, pur essendo opere di scienza, erano animate da alte idealità politiche e sociali, e furon lette da un gran numero di persone colte. A ciò aggiungasi la sua opera di polemista di grande vivacità ed efficacia, profusa con una generosità da gran signore In una miriade di giornali e riviste, da!Ja "Critica sociale" di Turati ali' "Avanti!", dalla "Educazione politica" di Arcangelo Ghislerl al "Secolo", al "Tempo" a tanti altri fogli. Il suo settimanale "L'Unità" fu certamente fra il 1911 ed il 1920 la palestra di studi politici più viva che esistesse In Italia, e sulle sue ,pagine si formarono i migliori giovani della classe dirigente Italiana. E quando la democrazia italiaina venne travolta dal fascismo, anelato al governo con l'appoggio degli elementi più conservatiVi della società italiana e perfino dei poteri del vecchio Stato liberale, molti del giovani formatisi sulla salvemlnlana Unità divennero i leaders de!Ja resistenza alla dittatura. Fra i combattenti antifascisti che si formarono alla scuola di Salvemini (alcuni dei quali patirono prigione, esilio, o furono uccisi per le loro idee) ricorderemo solo pochi nomi che farebbero da soli la gloria di qualunque maestro: Piero Gobettl, Carlo e Nello Rosselll, Giuseppe Donati, camll!o Berneri, Ernesto Rossi, Umberto Zanotti-Blanco. E quanti altri non lessero In quegli anni l'Unità essendone fortemente Influenzati. Da Tommaso Fiore a Guido Dorso, da Angelo Tasca ad Antonio Gramsci, si può dire che non vi sia stato scrittore politico In Italia della generazione che era sui vent'anni allo scoppio della prima guerra mondiale che non abbia Incontrato sul suo cammino Salveminl. E si aggiungano, se si vuole considerare la cerchia sempre più vasta di persone raggiunte dal suo pensiero e dalla sua azione, i professori da lui 10rganlzzati nella Federazione degli Insegnanti Medi e le migliaia di contadini pugliesi che affollarono i comizi In cui Salveminll si batteva perchè al lavoratori analfabeti venisse accordato il diritto di voto, e 10 CONTROCORRENTE

propugnava l'abolizione del 1dazlosul grano e del premi concessi mediante le tariffe protettive ai baroni dell'acciaio e dello zucchero. Nè bisogna credere che l'esilio significò per Salvemini Il silenzio Infecondo. Al contrario, le sue energie si moltiplicarono, e la sua parola e i suol scritti ebbero una risonanza sempre più vasta in ambienti di lingua francese, inglese, spagnola. Salvemini continuò a fare scuola anche all'estero dalle cattedre delle grandi università americane di Yale e di Harvard, o mediante gli articoli di giornale e di rivista e i Jibri, tradotti In varie lingue. Chi scrive lo c-0nobbe negli S. U. nel 1940 ed appartiene quindi alla terza generazione dei suoi discepoli. Come ogni vero maestro Salvemini era socratico. Non imponeva mai agli altri le sue opinioni e Incitava i discepoli a trovare da se stessi la verità, pur guidandoli con pazienza ed amore nelle loro ricerche. Ascoltava attentamente anche Il discepolo più modesto e teneva conto del suo punto di vista e delle sue critiche e suggerimenti semprechè li ritenesse di buon senso e avanzati in buona fede. Credeva profondamente nei princlpii di libertà e democrazia e viveva quel principi! nei suoi rapporti con 1 discepoli. Rare volte cl è accaduto Idi trovare una persona cihe fosse altrettanto liberale, tollerante, aliena da qualsiasi dogmatismo. Madre Natura lo aveva dotato di. un temperamento focoso e impulsivo, ma egll riusciva a frenare 11 radicale e 11 ribelle che sonnecchiava in lui e ad essere rispettoso cli chiunque credesse come lui n'ella libertà di pensiero e di critica. Naturalmente contro 1 negatori dei suol princlpii, contro i totalitari di destra e di sinistra non transigeva. Quando conobbi Salvemini negli Stati Uniti avevo più di 30 anni, ed ero quinldi già formato da precedenti esperienze. Eppure, la consuetudine con Salveminl, con cui rimasi in quotidiano contatto per tre anni, tra il 1941 ed Il 1944, in qualità di suo assistente all'Università di Harvard, è sta.ta per me una esperienza decisiva. Quei tre a,nnll furono 1 più belli della mia vita, e 11lavorare per Salveminl e con Salvemini mi dette un senso di pienezza spirituale e di entusiasmo che non ho più sperimentato In eguale misura dopo di allora. E sono sicuro che moltissimi altri discepoli e collaboratori di Salvemini nelle altre battaglie in cui si impeginò a fondo direbbero la stessa cosa. Lavorando con sa1vemini si aveva il senso di partecipare al'.l. una eccitante avventura intellettuale. Il Maestro riusciva ad infondere nel discepolo Il suo entusiasmo per la ricerca della verità storica, ed il senso dell'importanza del lavoro che si stava facendo. Incitava al lavoro, mostrandosi riconoscente per qualsiasi risultato, per quanto modesto, accertato attraverso gli sforzi del collaboratore, per qualsiasi anche minuscolo frammento di verità ritrovato. La sua Illimitata devozione al lavoro e al dovere era contagiosa. Per lui si rinunziava volentieri alle domeniche e alle vacanze estive, dato che Il Maestro non conosceva vacanze. Soprattutto, si aveva il senso di dare una mano, di portare un contributo, sia pure piccolo, ad una causa che trascendeva 1 nostri interessi personali. In America Salvemin1 aveva impegnato una delle sue più belle battaglie: quella mirante ad muminare l'opinione pubblica del paesi anglosassoni sul problemi Interni ed internazionali italiani, per ottenere che l'Italia, che stava perdendo la guerra, non perdesse pure la pace, per fare in modo che Il suo territorio nazionale non fosse mutilato, che i vincitori distinguessero tra governanti fascisti colpevoli e popolo italiano rron responsabile delle malefatte del fascisti. Il Maestro aveva dedicato a questo com:plto le sue mlgllori energie. Alcuni di noi sentirono che bisognava aiutarlo, non lasciarlo solo. DICEMBRE 1957 11

Per rendere giustizia a Salvemini educatore occorrerebbe un lungo studio. Forse, anche il poco che abbiamo 1detto servirà a chiarire in che senso dicevamo che un solo Maestro della sua tempra riesce a smuovere maggiori energie intellettuali e morali a fin di bene, che intere falangi di educatori comuni. Ma i veri Maestri come Salvemini sono non meno rari dei grandi artisti e dei grandi scienziati. LEO VALIANI Ma tu scrivi pure, camminando per la tua via. Si tratta di "muovere un po' le idee". Questo importa. Addio, bollente amico". Cosi, in una lettera ancora inedita del 4 maggio '98, scritta alla. vigilia d'essere imprigionato e condannato per i tumulti milanesi contro la carestia, che non aveva contribuito a provocare e che non intendeva trasformare in alcuna rivoluzione, premendogli soltanto di non abbandonare il proletariato alla deriva, Filippo Turati prendeva commiato provvisorio da Gaetano Salvemini, il giovane collaboratore meridionale della sua "Critica sociale". Dieci anni dopo, quando si diffuse la notizia, per fortuna inesatta, della scomparsa di Salvemini sotto le macerie di Messina colpita dal terribile terremoto, (in cui peri tutta la sua famiglia) Turati, che si rifiutava di credere ad una cosi grave perdita, defini il suo grande amico come "il più colto dei socialisti italiani". Oggi, sono già 45 anni che Gaetano Salvemini, pur non cessando mai di restar fedele agli ideali socialisti della sua gioventù, si rese indipendente dallo stesso partito socialista, per poter meglio camminare per la propria via, per difendere più efficacemente i derelitti del Sud, che l'organizzazione operaia concentrata nelle regioni industriali, e in Val Padana, allora ignorava. Salvemini infatti voleva stimolare le idee di tutta la nazione, e non di una classe sociale soltanto. Ed è cosl che, ~lla tormenta della prima guerra mondiale si trovò a "nuotare contro il torrente", secondo l'insegnamento degli ideologi meridionali che avevano dovuto affrontare, attraverso i secoli, il rogo, il patibolo, il linciaggio, nella battaglia 12 Enzo Tagliacozzo L'Espresso per la libertà, contro gli oscurantismi, vecchi e nuovi. E' noto che il fondatore del meridionalismo radicale aggressivo, lo Ispiratore del "Non mollare" e di "Giustizia e Libertà" nella lunga lotta senza quartiere contro la dittatura fascista, il polemista più impulsivo e tagliente della democrazia italiana, il fustigatore implacabile di ogni malgoverno, consorteria, tirannide, corruttela e viltà, fu altissimo scienziato, uno dei maggiori maestri degli studi storici; forse il solo fra gli italiani che potesse vantare una sua. scuola anche nei paesi a,nglo-sassoni. Come l'uomo d'azione e lo scienziato si conciliassero in lui, l'ha spiegato egli stesso, una ventina di anni or sono, in una sua lezione universitari-a americana, dedicata al problema se e in qual misura la storia possa dirsi scienza. "Io sono lungi dal negare, confessava, che il piacere del lavoro intellettuale disinteressato è il più bel privilegio concesso allo studioso. Se dovessi tornare ,a nascere, chiederei di essere dotato di nuovo di questo privilegio, anche se dovessi di nuovo passare la mia vita in quella categoria economica che gli statistici definiscono "titolari di piccoli redditi". Ma altro è il dire che lo studioso dev'essere lasciato libero nell-a sua opera in modo che egli non si senta obbligato a trasformare i risultati in dollari e centesimi ed altro il proclamare che la società non ha alcun diritto di aspettarsi una utilità pratica dell'opera degli studiosi". Gaetano Salvemini apri nuove prospettive, e diede respiro più ampio, già sessant'anni fa, alla. storiografia del Medioevo italiano, con i suol lavori sulla vita sociale nel comune di FiCONTROCORRENTE

renze. Quasi contemporaneamente, volgendo l'occhio alle ultime fasi del Risorgimento, inaugurò la storia dei partiti politici italiani. Introdusse poi nella cultura italiana la considerazione moderna, realistica, non mitologica, della Rivoluzione francese. Sottopose via via ad esame critico la storia della politica estera italiana, dilucidandone i momenti cruciali, dal compimento dell'Unità alla seconda guerra mondiale. Si diceva, ed era, discepolo, idealmente, dell'empirismo e del federalismo di Carlo Cattaneo, ma scrisse il più bel libro che si abbia su Mazzini, romantico ed unitario. I suoi discepoli prediletti, Carlo e Nello Rosselll, furono gli ultimi grandi mazzinLani di pensiero e di azione. Nonostante la veemenza, e talvolta unilateralità, come si addice del resto a chi è animato da travolgente e profonda passione, della su,a polemica politica, negli articoli di Salvemlni, sparsi lungo tutta una vita ln numerosi giornali politici, socialisti, liberali, radicali, anche nella rivista "L'Unità", che segue la fase culminante della sua battaglia volta a sollevare il Meridione contro chi lo sfruttava, lo storico genuino è sempre presente. Del Mezzogiorno, di cui fu l'apostolo, cosi come del socialismo italiano al quale aveva aderito, giovanissimo, negli anni di reazione, quando vi aveva scorto, per dirla. con le sue stesse parole "un partito di azione liberale con bandiera socialista", e di cui incarnò sempre, dentro o fuori del partito, una delle tendenze, quella dei "rifonnisti dissidenti", fautori delle grandi riforme strutturali, amministrative, scolastiche, fiscali, dogoanali, in contrapposizione tanto al riformismo corporativo o ministeriale, quanto al rivoluzionarismo, scrisse sempre con il senso critico del cultore di storia e li analizzò con gli strumenti del sociologo. Fu tra i primi, se non il primo, ad accorgersi dell'importanza decisiva dei partiti che poi avversò tenacemente, J.a democrazia cristiana di cui predisse fin dal 1897-98, fra l'incredulità degli altri socialisti, la grande diffusione avvenire nelle masse popoDICEMBRE 1957 lari, non meno che nelle fila della borghesia, e il fascismo, del quale segnalò, incontrando lo scetticismo dello stesso Gramsci, la. straordinaria capacità di violenza, facilmente vittoriosa, in occasione del primo assalto degli "arditi" e degll studenti allo "Avanti!", nell'aprile del 1919. Combatté Giolitti con l'asprezm dell'uomo di parte e ne fu violentemente combattuto, senza esclusione di colpi, con quel questori, mazzieri e camorristi, di cui Ugo Ojetti fece il ritratto sul "Corriere della Sera", in occasione delle memorabili elezioni del 1913. Tuttavia è stato un suo scolaro italoamericoano, William Salomone, a darci una delle storie più obbiettive, equilibrate dell'età giolittiana, e Salvemini ne dettò la prefazione, per riconoscere la positività d'insieme, pur nella riconferma della valldità delle sue critiche passate, del governo democratico, a.ncorchè zoppicante, instaurato da Giolltti. Fu il primo tra i fuorusciti italiani Elllltifascistl a guardare verso la democrazia americana. Ma negll Stati Uniti, in piena guerra, nel mezzo della "Grande alleanza", che pretendeva la "resa incondizionata" dei paesi nemici, Gaetano Salvemini osò e seppe condurre una durissima campagna di stampa, in difesa dell'integrità nazionale e dell'indipendenza politica dell'Italia, contro le tendenze imperialistiche o paternalistiche latenti a Mosca, Londra e Washington. Cosi agendo, rivalutava nei fatti, contro le velenose calunnie nazionaliste e fasciste d'un tempo, 11 tentativo di politica estera italiana democratica, che aveva impostato tra il 1915 e il 1918 con Amendola e Albertlni. Tornò in patria nel 1947, per finire a Firenze il suo insegnamento universitario. L'anno prima di tornare, l'indomani della vittoria della Repubblica, scrisse agli amici, egli che quattro decenni avanti aveva rimproverato ai socialisti di non essere coraggiosamente repubblicani, di non lasciarsi prendere dall'euforia. Gli sembrava che la Repubblica italiana corresse il pericolo di nascere clericale, cosi come la Terza Repubblica fran13

~~ -era 'nlita n1bnàrtihica e 'lo rE!s'tò -fino-a che i radicali non la riconqui- ·starono alla democrazia, col sostegno -delle masse popolari di città e cam- ;pagna. Come si debba condurre la EDITORIALE E' scomparso silenziosamente, mentre attendeva infaticabile alla Storia della Triplice Alleanza. Si è congedato socraticamente dagli ainici fraterni, dai medici che lo avevano ass!.stito, dagli allievi; non ha voluto pubblici funerali. Ha rifiutato la vanità post-mortem, come aveva sempre rifiutato, da vivo, gli orpelli, le vanità, 1 riconoscimenti ufficiali. Era un uomo sostanziale, un tipico "repubblicano" nell'eccezione universale. Due grandi amori nella sua vita: una patria libera ed una. cattedra libera. E fu, coerentemente, senza nessun compromesso, un cittadino libero ed uno studioso libero. Alla sua opera di cittadino libero lo storico darà l'adeguato risalto iilella storia della resistenza al fasc!.smo ed a.I totalitarismo internazionali dai prodromi alla f,ase estrema: il contributo di Salvemini, uomo di pensiero e d'azione fu essenziale. Dalla battaglia per i "cafoni" del Mezzogiorno che inizi.a. nel 1896, a ventiquattro anni, a quella anticolontalista e antinazionalista che gli ha. valso ieri come oggi ingiurie e minacce e incomprensioni, alla campagna contro i si.sterni del sottogoverno giolittl..ano e contro la monarchia, alla decisa posizione interventi.sta ed antiabsburgica, alla iniziativa dell'Unità che prepara i fermenti che contribuiranno a salvare la cultura italiana dalla asfissia ventennale, all'estrema lotta contro il fascismo in Italia ed allo estero, condotta da ambedue le parti senza quartiere, alla fiera ed indipendente posizione verso gli Alleati vittoriosi è tutta una trama di coerente condotta politica. che 11tempo ha ampiamente dimostrato dotata di antiveggenza ed ispirata ai migliori e permanenti interessi del nostro Paese. 14 'lotta ·per ·renèiere èiavv-ero repubblicana, democratica, laica, la nostra Repubblica, lo dicono i suoi scritti di quest'ultimo decennio. Leo Vallanl La VoceRepubblicana Per Salvemini, studioso libero, parla l'immensa mole dei suoi scritti, vo-• lumi poderosi, saggi, articoli, recensioni accumulata in oltre un sessantennio d'originalissima, onesta, critica ed autocritica attività di pensiero, che lo pone tra i maggiori storici della Italia moderna e del mondo contemporaneo. Uman!.ssimo, profondamente buono, moralmente integerrimo, Salvemini fu "maetro" ed "amico" incomparabile. Gli allievi del suo lunghissimo magistero italiano ed internazionale sono legioni: tutti furono curati, incoraggiati, rincuorati da un ma.estro che ad ottantadue anni suonati non temeva la calura ftorentiiila e tre piani di scale per essere presente alla sessione di laurea. L'università Harv.ard, la più grande università d'America, lo ebbe nel suo corpo accademico: la pensione che gli fu assegnata, fu da lui destinata alla chiamata di un altro giovane professore italiano di storia. Quando nell'inverno del 1952 Salvemini lasciò per sempre Harvard, Boston e l'ospitale e stimolante ambiente in cui aveva lavorato tanti anni, fu salutato ed onorato come raramente accade nel mondo accademico internazionalo permeato di formali parità ed eguaglianze. n cordogli.o degli amici vicini e lontani, di ogni ceto e condizione sociale, ci testimonia l'affetto e la simpatia che la spiritualità e la bontà di quest'Uomo hanno ispirato in ogni momento della Sua vita, anche quando la sua "intraiilSigenza" è sempre più assoluta e la sua polemica più ingiusta. Il Salvemini studioso fa parte ormai della cultura storica; ma 11Salvemini che male potrebbe definirsi "minore", il'Salvemini che portava nello sdrucito CONTROCORRENTE

baule, tra le sue cooe, i balocchi dei suoi bambini periti nel terremoto di Messina; il Salvemini del dignitooissimo e povero esilio americano; il Salvemini degli amici e dei discepoli, sincero fino all'intolleranza, critico dei luoghi comuni e delle banalità fino all'esasperazione, polemico e aspro ma sempre scrupoloso e animato dal più onesto desiderio di capire, è una figura che difficilmente alcuno dimenticherà. Tutto in lui era esemplare, moralità, coerenza e limpidezza, soffuse - non è inutile dirlo - da un salone di poesia. Uno lettera dal carcere Pubblichiamo una lettera dal carcere di Gaetano Salvemini alla moglie Fernanda Luchaire. Salvemini fu arrestato a Firenze nel giugno 1925 in seguito alla denunzia del tipografo Pinzi al processo per il giornale clandestino "Non Mollare". Assolto alla prima udienza, i fascisti lo cercarono per ucciderlo . .Mia cara vecchia, spero che tu abbia ricevuto la lettera che ti scrissi mercoledi 10 giugno, da.Ile carceri di Regina Coel! di Roma. Non posso scrivere che una sola volta la settimana. E quindi tu non devi impen,sierirti dei miei lunghi silenzi. Ti scrissi da Roma che ero calmo, sereno, sicuro di me. Ti confermo la stessa informazione dopo questa settimana di esperienza. La mia vita materia;le non mi riesce quasi punto penosa. Ho una stanza pulitissima, esposta a settentrione, quindi fresca; vedo dalla finestrella un discreto rettangolo di cielo, animato da nuvole e da rondini e da passerotti. Vedo anche un cortile e un corridoio da cui passa continuamente della gente: occupazione tutt'altro che noiosa il vedere chi passa, riconoscere chi è già passato, prender nota dei nuovi venuti, ecc. La mattina, dalle 8,30 alle 10, ho la cosi detta "aria", vado cioè a prendere aria in un chiuso di 7 metri per uno e mezzo. Faccio 250 volte, su e giù lo spazio messo a m:ia disposizione, e cosi combino un chilometro e mezzo di passeggiata: assai più di quanto non fossi abituato a fare quando ero a piede libero. In fondo, noi studiosi siamo dei carcerati volontari: la clausura che deve essere atroce per un contadino avvezzo a vivere all'aria aperta, riesce punto grave per uno di noi. Essere in prigione, in fo~o, è come essere in un convento medioevale. Certo, questo posso dirlo perchè ho una cella a pagamento (due lire al giorno: non ti preoccupare per la spesa!). Se dovessi vivere in promiscuità con altre persone, la penserei - temo - diversamente. Il personale di guardia e di servizio del carcere è con me di una bontà e di una uman,ità che mi commuove e quasi mi rendono gradito questo soggiorno. La povera gente ha un gran'de ingenuo rispetto per i "signori"; se poi un "siginore" è un "professore" il rispetto diventa qualcosa di analogo a ciò che i credenti sentono pel sacerdote. Peccato che i sacerdoti, i signori e i professori siano, in generale, cosi poco degni di tanto rispetto. Insomma, cara la mia vecchia, fa conto che io stia non a Firenze, alle Murate, ma a Londra, in una stanza di DICEMBRE .1957 15

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