alle responsabilità immediate. All'alterigia dei rappresentanti dello Stato Etico, all'autorità esperta e indiscussa dei Maestri di Confusione e dei Dottori d'Iniquità si risponde non col solito argomentare "comprensivo" di chi vuol mostrarsi culto e civile, ma col puntare i piedi e col dare a quella gente fermamente del buffone, titolo che si può ampiamente dimostrare meritato. Ai soprusi clericali non vedeva che una risposta ugualmente concreta del cittadino. "Bombe 1n Vaticano. Che vuol che altro capiscano? La paura con quelli fa novanta. Ma lo vedi che nessuno prende l'iniziativa .... " Per oor l'esem;plo, metteva petardi sotto agli arcivescovi e si prendeva le querele impassibile. I querelanti si affrettavano poi a rimetterle pur di non avere da affrontarlo, documenti alla mano. "Buffoni". Bisognav,a sentire Il gusto meridionale che metteva In quella parola. Se fosse vissuto ai tempi di Aristofane, avrebbe saputo farsi sentire nell'Agorà. Nella Roma dei papi, dove metteva I piedi il meno possibile, si sentiva una assurdità vivente. Dice bene Ernesto Rossi: la impopolarità che Salvemini raggiunse in certi momenti non è stata mai raggiunta da nessun altro uomo politico italiano. Dei tempi in cUi era stato conclamato e vituperato come iantiitaliano e v11erinunciatario per la sua politica della nazionalità, rimaneva = ,appiccicaticcio ricordo nella mente del pubblico, uso a sapere che tutto può andare a posto purchè cl siano i buon,i sentimenti. Quello Il, si vede che non era una buonia persona, ecco, eppoi gli mancava 11senso storico. "Ma che senso storico, commentava Salveminl con una delle sue risate, a me mi manca 11 senso comune". Era proprio il senso comune che gli dava forza di storico. Ricordo ancora quel giomo d'invernio del 1916 (ero ragazzino allora) in cui Saivernini giunse a casa nostra In licenza dal fronte. Si scrollò di dosso la mantellina di fanteria, s'impancò di fronte a un piatto di riso ial burro, e disse: "Adesso che c'è la rivoluzione in Russia, noialtri si può cominciare a dire di aver avuto ragion.e qu.ando si chiese la guerra. Ed era tempo". Era contento, sembrava sprizzasse contentezza anche la barbetta rossobrizzolata. Glielo ricordai molti anni dopo, ed ebbe un sorriso mesto: "Bimbo mio, vedi come si ragiona". Il ragionamento invece era chiaro, e di buon senso. Non fu tanto, come si dice, un sentimento miazziniano (Mazzini gli dava noia) che lo spinse ,a sostenere una politica delle nazionalità, fu la logica indicata dagli eventi. La retorica proterva del1a "italianità" si ipnotizzava sulle ali tarpate della Vittoria e su fette di Dalmazia, mentre nella realtà si delineava ovunque una nuov,a Europa con cui si trattav,a di venire a patti. Pensieri per la vecchia Europa? Ne ebbe anche lui, certo più di Sonnino e dei nazionalisti, che nè prima nè dopo pensarono a niente. Più tardi, quando si nominava Francesco Giuseppe, si alzava e faceva l'inchino con comica serietà: "L'ultimo grande gentiluomo, signori". Ma le nostalgie possono prendere consistenza nella mente di ambasciatori in ritiro, non in quella dello storico e del politico. Fu un pensiero di chiara politica nazionale quello che spinse Salvemini a chiedere un accordo con le nazioni nascenti, fu assenza totale di pensiero e autentico dispregio per Il paese, se non come oggetto di declamazione, che spinse i goffi dicitori a bollarlo "r~unciatario". E cosi gli si fece il personaggio, per non aver da ragionare contro di lui. Prima rinunciatario, :poi, si sa, rinnegato, sempre negatore, velenoso, antlpatriota, mentalità protestantica, incapace di quella comprensione, di quel manzoniano qualcosa da cui viene perdono e conforto. Sembra una caricatura, ma passava per giudizio maturo fra la gente cosiddetta per bene, anche quella che ha dimenticato le ubbie nazionaliste, che parla di storia e intende conformismo; su su fino al fllosofl, al fabbriOTTOBRE 1957 9
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