la bronchite lo avrebbe portato via. E poi che cosa lo aspettava? Lo ha detto Panfilo Gentile nel Corriere della Sera, narrando il loro incontro con inaspettata compassione: "La miseria di una stanzetta, la vecchiaia e la solitudine". Ma appena gli fu restituita la, cattedra, tornò. "Senti, spiegava, quel che mi può capitare è ormai di ordinaria amministrazione. E se riesco a salvare quattro menti di giovani, sono pronto a crepare senz',altro, perché quei quattro, non c'è rimedio, diventano quattrocento e con quelli si può ancora salvare tutto". Secretosque pios, c:tantem jura Catonem . ... Tornava a mente alle volte il verso virgiliano, nel vederlo fra i suoi giovani. Ma era soprattutto per via del contrasto. Ero. cosi poco "romano" e catoniano. Non lo si può immaginare in quella Valletta dei Giusti in Eliso, fra giuristi e filosofi del diritto. Sfascierebbe tutto dalla noia. Conviene pensarlo nelle Isole dei Beati, con gli Argonauti, Palamede, Antigone, gli eroi eponimi della gioventù del mondo, gli uccisori di mostri, quelli che infransero divieti nefandi. "Quando tu pensi all'Italia - diceva - pensa che ha dato una volta tanto l'immoaMe di una gioventù eterna. Pensa a Guidarello, a Ilaria del Carretto. Più in là, non ci badare". Giorgio De Santlllana I I non conformista Quando, dopo vent'anni di esilio, Salvemini tornò fra noi, nel luglio del 1947, premisi all'articolo, in cui gli davo il benvenuto, le parole di Alcibiade su Socrate, nel Convito: "Egli è somigliantissimo a quei sileni che si vedono nelle botteghe degli scultori, che gli artisti atteggiano con zampogne o flauti, e se tu l'apri, dentro vedi i simulacri degli dei". Questo passo mi viene di nuovo in mente, ora che Salvemini ci ha lasciati. Salvemini, come Socrate, somigliava a un vecchio sileno: cranio grande, modellato con vigore; fronte ampia, resa più vasta dalle calvizie; occhi piccoli, in cui si leggeva la bontà e la intelligenza; naso camuse; zigomi pronunziati; bocca ampia, che nel sorriso scopriva una gran chiostra di denti sopra la barba a punta; spalle larghe; figura tozza; passo pesante. Un uomo che veniva dai campi; non dai salotti letterari. E, come Socrate, chi l'apriva trovava dentro i più preziosi simulacri degli dei. Con l'aiuto di una memoria prodiOTTOBRE 1957 di ERNESTO ROSSI giosa e sul fondamento di una vastissima cultura umanistica - di cui aveva fatto midollo delle sue ossa e sangue del suo sangue - Salvemini afferrava con straordinaria prontezza i rapporti fra le idee più lontane e ne deduceva le conseguenze implicite con un rigore logico che non lasciava alcuna incrinatura all'equivoco. Chiarezza equivaleva veramente per lui a onestà. Si dava sempre cura di mettere bene in luce i primi principii, i presupposti non logici, dei suoi ragionamenti. L'interlocutore li poteva anche rifiutare, dichiarando una diversa scala di valori. Salvemini era l'uomo più tollerante del mondo: ammetteva che altri guardasse gli avvenimenti da punti di vista anche opposti ai suoi. Ma non discuteva per il gusto di chiacchierare; discuteva per convincere, o per essere convinto, e sapeva che non è possibile intenderci se non si parla lo stesso linguaggio. A chi rifiutava le premesse del suo ragiona.mento chiedeva solo di prender coscienza di quel che significava tale rifiuto, e di trarne le conseguenze fin'in fondo, conformando l'azione al 11
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