Controcorrente - anno XIV - n. 2 - set.-ott. 1957

canti di nebbie, per i quali, come diceva Salvemini deridendoli, "tutto ciò che è reale è razionale e quindi va scappellato come prodotta della storia". Siccome Salvemini, invece, rifaceva i conti, cl si rifugiava nella oscura speranza che non potesse, In alcun modo, mai, aver ragione. Mi diceva un grande critico, e Intendo grande davvero, mente sagace e non illusa: •'Salveminl, lo vede, a ogni colpo fa padella, che vuol che conti?" Detta proprio ai tempi dell'Anschluss, era parola da far riflettere. Fu allora sotanto che capii come in Italia l'essere al potere, il rimanervi come che vadano le cose, significa aver fatto centro, perchè i disastri vanno da se, sono colpa della solita sorte jettata. Cosl chi predice non conta, a mena gramo. Mussolini per conto suo non era tanto sicuro, e pagava i suoi Barzlni per descrivere Salvemini come uno scritturato e un sinistro pennivendolo. Teneva lui, però, un esercito di stipendiati a fargli controbatteria all'estero, col risultato almeno di fargli sprecar tempo, perchè il vecchio, da buon cane da guardia, si perdeva a far bau bau appresso all'infima razzamaglia e minutaglia dell'italoamerlca, e no11i poteva fare quanto avrebbe voluto a difesa degl'interessi d'Italia. Tuonava Mussolini dallo storico balcone: "Il rinneg,ato Salvemini ... " La gente urlava Duce. Con durissima volontà, si andava armando la prora per salpare verso il mondo. Venne lo scontro, l'Italia si sfasciò come un barcone fatiscente, ma tutto .andò avanti come prima. Le triste faccie d'intrallazzatori che siedono a via Veneto e fanno legge al Parioli lasciavano cadere negligentemente che Salvemini era un astioso e un cattivo come tutti i falliti. E poi, dicevano, che ci sta ,a fare in America? Ci rimanga. Passava.no per le menti fugaci visioni di dollari, di quelli che non girano per Roma. In quel primo dopoguerra, con tanti corrispondenti esteri che cercavano di orientarsi nella selva politica, avevo suggerito ai miei .amici il "Salvemini test" per le interviste, una specie di reazione Wassermann che si dimostrò pratica ed efficace. Spiegavano i politici comecchè all'estero non si comprendeva l'Italia, si diffondevano in discorsi nobili, generosi e patetici, ma bastava far quel nome: da come reagivano si misurava subito quali e quante magagne avessero da occultare. Togliatti aveva capito, e cautamente lodava il vecchio maestro pur dicendolo "fuori della realtà". E poi, diceva anche lui, è stato troppo in America. E' ben vero che Salvemini rimase attaccato al suo eremo di Harvard più che a qualunque altro luogo. "Widener Library - diceva - gli ,amici, dodici ore di sonno filato, che vuoi di più? Sei in Paradiso". In quello s'intende che è il Terrestre, la perfezione della vita attiva. Quando s'impancava, anche li, di fronte a quelle enormi portate di riso al burro e formaggio che gli offrivano le sue vestali per confortarlo ("Sono tanto cari, qui, ma lo vedi che cosa si mangia? Sono ciechi nella bocca"), noialtri gli si diceva: "Salvemlni, via sia buono, pensi al dottore, un pò di livore rinunciatario ...". Ma lui rispondeva con una delle sue risate: "Non rinuncio. La Decima Musa regna in cucina". Era un gaudente delle cose semplici e della amicizia. C'era qualcosa di antico e di monastico nel modo in cui assaporava il lavoro e la pace dell'anima, come fini in se. La sua stanza, ovunque fosse, diventava una cella. La "documentazione" si ammonticchiava sul pavimento, disposta in ampi cerchi concentrici attorno alla sedia; erano quelle le rote magne in cul operando se ne stava contento. Gli studenti di Lowell House scorgevano a ogni ora nel vano della finestra quel cranio lucido chino su una scrivania nascosta, e dicevano In tono reverente: "Dig the Old Boy up there ... " Lo si era avvertito che se tornava a Firenze, in case mal riscaldate, 10 CONTROCORRENTE

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