L'Avvenire dei Lavoratori - anno XXXV - n. 12 - 30 giugno 1944

Bi Anno XXXV (nuova serie) N. 12 Zurigo, 30 Giugno 1944 LIBERARE E FEDERARE! QUINDICINALE SOCIALISTA Re dazi O n e e A mm in i strazi on e: Casella postale No. 213, Zurigo 6: Conto postale No. VIII 26 305: Telefono: 3 70 87 Abbonamenti: 24 numeri Fr. 6.-, 12 numeri Fr. 3.-, una copia Cent. 30 Il no~tro Il nostro socialismo ha per fondamento la libertà umana. Alla base stessa delle lotte di classe noi individuiamo questo sforzo secolare dell'uomo per distruggere tutte le limitazioni della sua personalità deformata dalle forze da lui stesso create. Il senso profondo della lotta di classe è, quindi, nello sforzo liberatore contro tutto ciò che mutila, sfigura la personalità umana. Schiavo michelangiolesco imprigionato nella materia classista, il proletariato non può svincolarsene seooa restituire a tutti gli uomini il loro volto umano. Ora, questo atto di liberazione non è possibile che se il proletariato ha in sé la coscienza di quella realtà umana che già è in lui allo stato latente e che si tratta precisamente di esprimere. In questo senso la coscienza di classe proletaria, lungi dall'escludere la nozione dei valori di umanità integrale che si collocano oltre i limiti di classe, la implica come il blocco di marmo che l'artefice si appresta a scolpire implica la statua perfetta. Lungi dal dissolvere tutti i valori umani in termini di classe, importa quindi dissolvere tutta la realtà di classe in realtà umana. Ma questa metamorfosi non è il risultato di una pura integrazione ideale, bensì di una trasformazione reale. All'ipocrisia del moralismo astratto, che lascia inalterati i rapporti oppressivi, noi opponiamo il brutale realismo della lotta di distruzione effettiva dei rapporti oppressivi; alle chiacchiere inconcludenti dei moralisti noi opponiamo l'azione liberatrice dei lavoratori. Ma questa azione liberatrice sarà tanto più attiva e concreta quanto più essa sarà animata dalla coscienza di ciò che deve essere realizzato. L'integrazione nella coscienza di classe della nozione di libertà non è una sintesi arbitraria, ma una necessità rivoluzionaria; non una concessione alla realtà contingente, ma una condizione della realtà permanente, umana. La nostra concezione democratica deriva da questa necessità rivoluzionaria e si risolve in termini di autonomia. Se il formalismo democratico ci lascia indifferenti, il contenuto di autonomia individuale che è implicito nella demòcrazia politica è per noi socialisti qualcosa <li essenziale, di fondamentale. Nella lotta che oppone oggi le forze del lavoro e quelle della reazione, il problema è di intendere come queste nozionii. di libertà e di autonomia politica possano non soltanto animare i lavoratori, ma permanere come criteri dominatori dell'azione anche quando l'azione, secondo la sua dialettica brutale, detta a sé stessa le sue leggi imperiose. L'azione rivoluzionaria pone a sé delle esigenze che paiono escludere ogni no~one di libertà. In un esercito che lotta, l'individuo si dissolve in un ente collettivo che reagisce con riflessi incommensurabili con quelli dei membri che lo compongono. L'equilibrio armonico dei rapporti tra individuo e società è distrutto nell'atto in cui l'ente collettivo - esercito rivoluzionario, Stato rivoluzionario - si costituisce come qualcosa che trascende gli individui e li subordina inesorabilmente alle esigenze della lotta. Questo è inevitabile. Questa è la ipoteca di tutte le guerre, di tutte le rivoluzioni. Ma è proprio nel modo di questa momentanea abdicazione che il nostro socialismo si differenzia da quello delle altre correnti proletarie. Se la dialettica rivoluzionaria impone a noi di rinunziare nell'atto della lotta a ciò che è il senso e il fine della lotta, lungi dall'installarci in questa momentanea rinunzia, noi la risentiamo come il tragico prezzo dell'azione. Vincolati dalle esigenze ferree del conflitto, noi le accettiamo perché eluderle non è possibile, ma le accettiamo come l'ipoteca terribile e non già come la situazione agognata. Al di là delle esigenze del conflitto che ci attanagliano, noi non per-diamo coscienza dei fini del conflitto e la vittoria per noi è sinonimo non solo dell'abbattimento dell'avversario, ma essenzialmente del superamento delle condizioni che l'hanno resa possibile. Non si tratta, per noi, di fare del prezzo della vittoria il premio della vittoria. Si tratta, per noi, di far della vittoria l'attohberator~er eecel- . ,. ~oc1a •~mo lenza di quella inumanità che la condiziona. La taglia che la lotta ci impone noi la subiamo, ma il premio della vittoria ci è dato precisamente col riscatto da questa tragica taglia. Se noi riusciamo a portare attraverso il conflitto questo senso tragico di rinunzia momentanea - e la tragedia vera delle rivoluzioni e delle guerre più che nelle rovine e nelle stragi è in questa rinunzia - noi ne usciremo portatori della vittoria vera, libera, umana. I socialisti che non intendono le esigenze dell'azione rivoluzionaria e, in nome della libertà, arretrano di spavento di fronte alle condizioni del suo trionfo, noi li collochiamo sullo stesso piano dei rivoluzionari che si buttano nella mischia senza risentire nella loro coscienza il ferro bruciante della tragedia che vivono. I primi sono destinati ad assistere alla mischia riempiendo l'aria dei loro inutili gemiti e lamenti; i secondi usciranno dalla mischia avendo distrutto in loro stessi le ragioni che possono darle un senso. Il nostro socialismo né si vale della libertà per disertare l'azione, né si vale dell'azione per rinnegare la libertà. Libero, democratico, umano, il nostro socialismo è costruito alla misura degli avvenimenti brutali che devé affrontare e dei fini universali che deve far trionfare. Un abisso ci separa dai democrati che trasformano la libertà, la democrazia, la pace, in frasi vuote dietro alle quali noi scorgiamo la realtà dell'abdicazione - punto tragica questa - di fronte ai doveri da compiere. Ma egualmente lontani siamo da quei rivoluzionari che dalle ferree esigenze dell'azione ricavano argomenti per rinnegare la libertà, oppure della libertà si servono unicamente come tema propagandistico, svuotando cosi le loro lotte di ogni contenuto umano. Atti ad affrontarle, essi non sapranno mai esprimere da esse il loro senso profondo e, simili al dannato dell'inferno dantesco, si volgeranno infine coi denti contro sé stessi, come dimostrano note dolorose vicende. La dittatura di un partito tonnentato da feroci lotte intestine sarà la conclusione di una vittoria priva di ogni fermento animatore di una società di uomini liberi. Il nostro socialismo, che non è il risultato di una pura elaborazione teorica, ma il prodotto di una consapevole attività rivoluzionaria, si pone di fronte alle evasioni pusillanimi dei chiacchieroni «democratici» e all'automatismo formalmente classista dei rivoluzionari negPtori della libertà, come l'espressione cosciente delle esigenze di azione della classe lavoratrice contro il fascismo. Esso solo può dare alle vittime dell'oppressione il senso pieno e totale dei valori umani che si tratta di affermare; esso solo può formulare i criteri della azione necessaria. Profondamente unitario, tende a raccogliere in un unico organismo politico tutti coloro per i quali la libertà non è soltanto un ideale astratto, ma una realtà che deve essere creata. e tutti coloro per i quali la lotta di classe non è soltanto l'urto di interessi contrastanti, ma l'atto creatore della libertà.· Profondamente rivoluzionario, non esclude i problemi del1'::.zione e neppure li risolve nel naufragio dei propri principì. Al contrario, attraverso l'azhme, realizza i propri principi. Profondamente umano, infine, restituisce ai lavoratori il senso vero del loro destino. Nato nel clima storico di un capitalismo decadente, le cui contraddizioni si esasperano nelle forme mostruose del fascismo e della guerra, il nostro socialismo è il portatore dei val;ri politici, moraJi e sociali che sulle rovine del fascismo costituiranno le basi della civiltà di domani. G. Saragat. I re~pon~abili 1 ° Un giudizio preciso sulle responsabilità politiche cli questa seconda guerra mondiale è di una importanza fondamentale per una giusta ed efficace politica socialista. La differenza notevole tra la profondità e l'acutezza della critica socialista all'epoca della prima guerra mondiale e la sua odierna incertezza e debolezza, è il risultato della deleteria prevalenza, nelle maggiore correnti del movimento operaio, di interessi particolari e statali su quelli mondiali e proletari. 2° Alla definizione superficiale e «propagandistica» della guerra attuale come guerra tra ideologie o guerra tra popoli di spirito e mentalità tra loro incompatibili, i socialisti devono sistematicamente opporre la definizione della guerra come frutto delle contraddizioni insanabili della società moderna dominata dal capitalismo monopolista. Se è vero che l'iniziativa dell'aggressione bellica è partita dagli stati fascisti, è anche vero che le responsabilità del fascismo sono esse pure, in ultima analisi, responsabilità della classe dirigente. 3° La tesi delle responsabilità collettive nazionali dei paesi «aggressori» avrà dopo questa guerra una parte essenziale nella giustificazione della politica estera delle grandi potenze vincitrici. Il sistema politico interno che esse cercheranno d'imporre ai paesi vinti, gli interventi nella loro economia, la spartizione dell'Europa in zone d'influenza, saranno giustificati con l'affermazione generica della corresponsabilità dei popoli nella politica dei loro governi. 4o Alla falsa tesi delle responsabilità collettive nazionali i socialisti devono sistematicamente opporre la tesi delle responsatbilità di classe. La tesi delle responsabilità dei popoli, oltre a servire agli imperialisti vincitori per soddisfare i propri scopi egoisti, servirà anche ai veri responsabili e complici del fascismo e della guerra per nascondere, dietro le spaJle della nazione ingannata e tradita, le proprie precise e inconlfutabili responsabilità. 5° L'affermazione delle responsabilità delle classi dirigenti e dei loro istituti politici tradizionali, nel fascismo, nel nazionalsocialismo e nella guerra, è il solo punto di partenza vero e giusto per una politica di concreto e duraturo rinnovamento nell'interno dei paesi vinti e per la ricostruzione e la riconciliazione dell'Europa e del mondo. Il sentimento popolare, fieramente avverso alle classi, ai ceti, agli istituti, agli uomini responsabili e complici del fascismo e della guerra, è la leva più potente per la creazione di un ordine nuovo. La migliore politica socialista è quella che opera su questo distacco, per approfondirlo, per renderlo definitivo e irreparabile, per renderlo sempre più cosciente. Tutto il popolo tedesco? Ed ancora torna a galla la questione, allorché si discute di politica, se il popolo tedesco sia da identificare con Hitler e con il nazionalsocialismo e da rendere responsabile per tutto ciò di cui questo regime si è reso colpevole di fronte al mondo. E durante tali discussioni, quanto più ci si allontana dal 1939, sempre più si accumulano gli errori riguardo dati di fatti ed avvenimenti. Cominciando dalla errata affermazione che nel marzo del 1939 la maggioranza del popolo tedesco abbia optato per Hitler e per il suo partito, non .;i fa che sentire una quantità di ::..fformaziorii c.:he non fanno che falsare la realtà delle cose. Non si tratta di una disC'ussione accadernica tra degli storici, ma di una questione di grandissima attualità la cui importanza non ha bisogno di essere sottolineata. Presenta perciò grande interesse la circostanza che la «Deutsche Gewerkschaftszentrale» di Inghilterra ha pubblicato sotto il titolo «Das andere Deutschland, Tatsachen und Zahlen» (L'altra Germania, fatti e cifre) un volume il quale manifestamente ha lo scopo di controbattere coloro i quali vogliono rendere responsabile tutto il popolo tedesco. Tale pubblicazione fi costituita da materiale proveniente VINO E SANGUE Verso il fondo ritorna la tua luce d'incolmabili abissi. Nella calo dei vivi si fa sera s'avvicendano i giorni, per pietà. Qui la pena diventa frenesia omicida, da urlare come cani alla luna, nero vino sui tavoli la fame, il sangue un rombo d' autocarri improvvisi in frane d'erba. Stanchi. Stanchi dell'alba imputridita sui visi, come corda monotona sui vetri usciremo lunari dalle case incontro al vento verde di naufragi. Tornano lentamente le derive del tempo: madri, padri morti in piedi, in silenzio, dietro l'uscio a foci d'aria i bambini sepolti nei cortili, freddo odore di lacrime e di terra. Ma noi scacciati a primavera usciremo dai carceri, bastardi d'odio e di miseria. Cantando eantando a cigli secchi seguiremo le piste delle scuri fin dentro nei granai per avventarci agli astri per morire, con gli occhi spalancati. dagli ambienti del movimento anti-nazista dei lavoratori tedeschi. Le cifre portate da ex-funzionari del movimento sindacale germanico son'.> fondate su dati ufficiali tedeschi e su informazioni esportate clandestinamente dal Terzo rreich: il quadro che esse dipingono è tuttavia certamente incompleto. Prima di tutto il volume ci ricorda che i nazional-socialisti nelle elezioni dei consigli di fabbrica del 1931 ottennero soltanto il 0,7 °,o dei voti; e che allorché essi osarono nel 1934 e nel 1935 dopo la presa del potere ripetere tali elezioni, malgrado le manovre intimidatorie e la confusione i risultati furono per essi cosi poco incoraggianti che i risultati non vennero pubblicati e le elezioni non vennero più ripetute. Ecco alcune cifre tra quelle riportate: nei primi anni della tirannide nazionalsocialista vennero inflitti 600 000 anni di prigionia per «delitti contro lo stato». Il numero dei condannati a morte fino a tutto il 1938 viene valutato a 12 000. Nell'aprile del 1939 in Germania si trovavano in carcere 302 562 detenuti politici. I registri della Gestapo contenevano i nomi di circa due milioni di persone politicamente sospette. Dopo l'inizio della guerra è stato sempre più difficile ottenere informazioni attendibili dalla Germania, circondata da una seR1pre più impenetrabile muraglia di fronte agli altri paesi. Tuttavia i compilatori del libro dalla lettura della stampa tedesca ufficiale nel periodo breve dal novembre 1939 al marzo 1940 desumono delle cifre, certamente inferiori alla realtà, di 92 esecuzioni e di 17 casi di morte avvenuti «durante tentativi di fuga» o per «resistenza verso la forza pubblica». A cominciare dal 1942 furono pronunciate le seguenti condanne a morte per manifestazioni di lotta illegale: il lo febbraio contro tre ferrovieri di Berlino e contro cinque altre persone, il 19 febbraio 11 condanne a morte per reati politici, il 19 marzo 2, il 30 marzo 6, al principio di maggio 32: alla fine di settembre, nel corso di 10 giorni, 47. Il corrispondente da Berlino dell'«Afton Tidningen» valutava allora il numero quotidiano delle esecuzioni in Germania ad almeno 10. Si ha notizia anche di non rare sommosse di soldati: cosi soltanto a Nancy furono fucilati 63 soldati ed a Bielgorod 90 soldati per ribellione. Non c'è bisogno di dire che questi dati verosimilmente sono molto, molto inferiori alla sinistra realtà. Probabilmente soltanto tra qualche anno e soltanto approssimativamente si potrà farsi un'idea della portata del terrore nazionalsocialista esercitato contro il proprio stesso popolo e del coraggio e dello spirito di sacrificio di tanti. E soltanto allora questi dati potranno portare un po' di luce sull'oscurità di questa triste· epoca d~lla storia della Germania. Federalismo e socialismo Il federalisnio non è cla confondere con l'autonomismo o regionalismo conservatore, di cui è anzi proprio l'opposto: questo infatti, esempio classico la Vandea, sorge nelle regioni più arretrate per salvare gli esistenti rapporti sociali minacciati dal progresso, mentre il federalismo è il coronamento di un vittorioso moto liberatore e rappresenta la forma più adeguata di aiitogoverno politico e amministrativo. Liberare e federare sarà la parola d'ordine clella prossinia rivoltizione europea. I. S.

Bib Problemi tecnici italiani: L'I.R.I. Ciò me fu L'Istituto di Ricostruzione Industriale fu creato nel 1933 con uno scopo inizialmente finanziario. Esso doveva rilevare e gestire i grossi pacchi di titoli industriali che pesavano troppo nei «dossiers» delle ·banche principali e che minacciavano di sommergerle. Agli sportelli della Banca Commerciale si era, tempo prima, verificato il panico ed i furgoni di biglietti avevano dovuto accorrere dalle capaci casse della Banca d'Italia. Che era accaduto? Che stava accadendo? Null'altro che uno dei tanti fenomeni dell'inflazione industriale e finanziaria. L'economia fascista, che teneva sulla facciata gerarchi e ministri incompetenti, era in realtà governata da finanzieri e da industriali esperti ed avveduti. Dopo aver finanziato la marcia su Roma, essi si erano presentati a Palazzo Viminale per riscuotere il conto ed avevano inaugurato quella politica economica dei primi anni che vide, pur tra i sobbalzi dell'assestamento, crescere a dismisura la fortuna delle grosse aziende e dei grossi affari. L'euforia, che allora dominava, induceva i Consigli di Amministrazione ad estendere la produzione ed i traffici, ad accrescere gl'impianti, a raddoppiare o a decuplicare il capitale. Le banche assorbivano e ricollocavano titoli industriali e il volume degli affari trattati in borsa era enorme. Il mercato non acquistava tutti i titoli emessi? Che importava! Le banche avevano le casse rigurgitanti di depositi a risparmio e a conto corrente: potevano benissimo tenere in portafoglio centinaia di milioni in titoli, tanto più che la differenza fra i tassi di riporto e di anticipazione e gli interessi sui depositi era assai vantaggiosa. Euforia industriale ed euforia finanziaria. E' vero che qualche delusione c'era stata, ma erano episodi dimenticati. Se Pogliani aveva mancato il colpo, Toeplitz aveva trionfato e riteneva di aver creato, con la sua banca e con le banche satelliti, una grande industria italiana. Gli istituti di credito più prudenti avevano resistito per qualche tempo alle tentazioni speculative, ma infine si erano messi nella corrente. La corsa era divenuta generale. Frattanto lo Stato, che assisteva compiaciuto a questa danza di miliardi e che anzi si vantava del nuovo slancio dato dal regime all'economia, utilizzava per conto suo i depositi delle Casse di Risparmio, delle Casse Postali e degli altri istituti del genere. Ad un certo punto, nel 1929, tutti: industriali, banche ed enti pubblici, si trovarono indebitati verso i possessori di titoli privati, di titoli pubblici e di depositi presso istituti di credito e risparmio. Il «boom» di Wall Street fu per molti un colpo di gong che risuonò nella notte all'improvviso, ma il gran pubblico non si rese conto dei riflessi che ciò avrebbe avuto solo più tarcli sull'economia italiana. Tutto seguitò ancora per qualche anno apparentemente come prima, senonché, nelle grosse anonime indebitate, la crisi maturava, il rapporto fra capitale azionario e valore degli impianti veniva alterandosi, e la curva dei proventi industriali non saliva con ritmo uguale a quella delle spese ordinarie e degli interessi passivi. Nel 1931-1932 la crisi era già minacciosa in vari settori. Sorse la Sofindit (Società Finanziaria Industriale) per il «risanamento» di certi «portafoglio-titoli» alquanto preoccupanti, sorse infine l'I.R.I. con scopi più vasti. Istituto di diritto pubblico esso non doveva limitarsi, come la Sofindit, al salvataggio delle banche, ma bensì rilevare le maggioranze azionarie, accertare la consistenza delle aziende, accordare i finanziamenti necessari, amministrare e controllare con uomini e mezzi propri e infine restituire all'«iniziativa privata» i complessi industriali risanati. Il meccanismo era tecnicamente giustificato, ma socialmente ed economicamente nefasto. 1919 (25 anni addietro) 1 luglio: Tentativo controrivoluzionario a Budapest capeggiato da ufficiali dell'antico recrime. - Continua a Milano il congresso della Lega Proletaria Mutilati e Reduci di Guerra: è stato esaminato in particolare il problema dell'assistenza medico-legale alle vittime della cruerra. - Agitazioni per il caro-vita a Cesena ; a Forlì. - Le autorità inquirenti tentano a Boloana il salvataggio degli ufficiali colpevoli dell'~ccisione della compagna Graisi e di tre ferimenti. 3 luglio: Discussi on i sulla costituzione all' ~ssemtaea Nazionale Germanica. - In Germama: tumulti contro il caro-vita, scioperi ferroviari, d is,cordie tra capi e gregari nelle file proletarie. - A Imola, durante uno sciopero i carabinieri spara.no sulla folla: 4 morti. 4 luglio: Sciopero generale a Firenze: req uisizioni e saccheggi da parte della folla esasperata per il caro-vita. - Tumulti per il caro-vita a Prato, Pistoia, Ancona, Imola, Palermo, Reggio Emilia. - A Forlì per r~so_lvere il_ p~oblema del caro-vita e dei prezzi si è costituita una commissione proletaria cemposta da rapI passaggi erano infatti i seguenti: il capitale finanziario-industriale si era avventurato in imprese speculative sproporzionate sulle quali aveva tuttavia abbondantemente lucrato? Assottigliato il risparmio privato e giunto sull'orlo dei grossi fallimenti aveva chiesto l'aiuto dello stato e cioè di altre categorie di risparmiatori e di contribuenti? Ebbene, a spese di questi le aziende venivano risanate e, qui stà appunto l'assurdo economico e sociale, riconsegnate a g 1 i stessi gruppi responsabili dei passati errori perché vi ricominciassero le loro speculazioni. Strumento tipicamente di classe l'I.R.I. fu invece presentato come una grande opera di giustizia e di ricostruzione del regime. Se il classismo degli interessi è talvolta anonimo e impersonale, nel senso che la classe dominante punisce i propri ceti o gruppi più notoriamente responsabili e incompetenti e li sacrifica, nei paesi ove con la dittatura si supplisce alla debolezza intrinseca dell'economia e della moralità, i ceti e i gruppi più responsabili non scontano le proprie colpe, non sono denunciati dal pubblico scandalo, e riescono sempre a riemergere e a dominare. In Italia quasi tutti gli esponenti del capitale finanziario specifico e di quello più tipicamente industriale hanno superato la guerra e il dopoguerra arricchendosi; hanno creato e accompagnato a Roma il fascismo deponendolo pomposamente sui sette colli dove rimase imprigionato; hanno speculato sul risparmio privato fin che hanno potuto, hanno chiesto l'intervento dello Stato, e l'I.R.I. non fu che una delle tante forme usate, per utilizzare a scopi di classe anche il risparmio pubblico; hanno riavuto le loro aziende risanate guadagnandovi nel riacquisto; hanno lucrato sull'impresa d'Etiopia, sull'ante-guerra, e sulla guerra; oggi lucrano sull'occupazione degli uni e degli altri, sui tedeschi, sugli inglesi e sugli americani e si preparano a lucrare sull'antifascismo, sulla ricostruzione e sulla nuova Italia che uscirà dalla sconfitta di cui sono i responsabili. Ma in qual modo questi gruppi permanenti si salvano da qualunque tempesta? Perché essi vivono sul fondo o incastrati come le ostriche alle palafitte subaquee che reggono tutti i regimi! Essi vivono nell'anonimo e nell'Anonima, non si espongono che raramente e preferiscono governare dalla penombra, ma governare davvero, piuttosto che governare per procura mostrandosi sui balconi e nelle piazze davanti ai microfoni. L'I.R.I. li ha visti passare tutti cotesti signori dalle sue sale e dai suoi salotti di via Versilia 2; tutti coloro che hanno ricoverato in quel pubblico sanatorio le loro aziende maggiori e quelle minori dei loro soci ed amici, tutti coloro che fra poco vanteranno benemerenze antifasciste perché qualcuno di essi ha favorito la congiura monarchica dal 1943 in avanti. Vogliamo nominarli una buona volta? Vpgliamo dire i nomi di quanti sono passati per le anticamere dell'I.R.I. o vi hanno mandato i loro agenti d'affari? La critica classista può talvolta, e ora lo deve, assumere la forma di accusa. Essi sono i Marinotti, i Donegani, gli Agnelli, i Puricelli, i Volpi, i Bevione, i Cenzato, i Vallauri, i Cini, i Gaggia, i Bocciardo, i Rocca, i Mattioli, i Marasini, i Bruno, e non ne abbiamo nominati che per meno di un terzo! Molti di questi signori vanteranno il loro tiepido fascismo del passato, il loro tiepido antifascismo degli ultimi tempi e lacrimevolmente si batteranno il petto. Vi sono fra di loro i più e i meno fascisti, i più e i meno responsabili? Certo. Ma che conta ciò quando la responsabilità è di classe ed è responsabilità storica? Si potrà ricordar loro come si svolgevano e come finivano, in via Versilia, i risanamenti «dell'Ufficio smobilizzi». Gli amministratori più responsabili delle vecchie aziende compromesse venivano «accantonati» e sostituiti con elementi di altri gruppi. Nei posti che questi ultimi lasciavano vacanti presentanti dell'amministrazione municipale, della Camera del Lavoro e delle Leghe di tutti i partiti. - Solenni funerali alle vittime della controrivoluzione a Budapest. 5 luglio: Agitazioni e dimostrazioni contro il caro-YiYeri a Torino, Roma, Bari, Palermo, Samoierdarena. - In un'intervista a un rappres~ntante dell'United Press Trotzky ha dichiarato che la situazione militare dell'esercito rosso è ottima e migliora giornalmente. 6 luglio: La Confederazione Generale del Lavoro indice lo sciopero generale per i giorni 21 e 22 luglio in segno di prole ta contro gli inten·enti degli alleali contro le repubbliche proletarie. - In Italia il Consiglio dei ministri ha approvato un programma di azione contro il caro-viveri comprendente pene severe contro i profittatori e calmieri vari. Viene comunicato che la vendita in vigore del pane sotto-costo costituisce un onere di più di un miliardo all'anno. - Tumulti a Firenze con violente repressioni della polizia, assalto ai negozi di generi alimentari a Milano: il sindaco di Milano impone un ribasso dei prezzi del 50 per cento. - Il re d'It:1lia ha firmato il decreto per cui il Duca di Genova cessa dalla carica di luogotenente generale del Regno. 8 luglio: Si apnuncia. a Milano il tesseran 1anco erano subito ricollocati i «sacrificati» di ieri. I direttori generali della Cieli, della Terni, della Stipe!, della Ansaldo, della Romana, della Meridelettrica, della Montecatini o della Snia venivano liquidati con indennità di qualche milione ciascuno e passati, subito dopo, ali' Alfa Romeo, alla Sip, ali' Ansaldo, alla Dalmine, alla Terni, ecc. a condizioni migliorate. I pacchi di azioni che venivano rilevati dallo I.R.I. al prezzo di listino, venivano ceduti dopo qualche anno agli stessi gruppi, che alla porta della clinica attendevano trepidando i figlioletti risanati, a prezzi inferiori al listino di borsa. E se i prezzi erano quelli del listino era perché le quotazioni erano tenuto artificialmente basse. Ciò era per l'I.R.I. un gioco da ralazzi. Il gran d m a i tre cui si n i e r di questa colossale mistificazione fu per molti anni Alberto Beneduce. Tale fu l'I.R.I., gloriosa creatura del Regime. Ciò me do-vrà essere L'I.R.I., navigando col vento in poppa perché rispondeva magnificamente all'interesse di classe che l'aveva creato, passò rapidamente dalle funzioni di risanamento e di smobilizzo a quella di gestione di due fra le più importanti branche dell'economia italiana: l'industria pesante, le costruzioni e i trasporti navali. La Finsider e la Finmare non ebbero finalità transitorie bensì permanenti. La prima non fu che if nucleo centrale della grossa metallurgia, passiva ma protetta dallo Stato per vecchi e nuovi motivi bellici, la seconda aveva più ampi programmi di espansione e di reddito. A parte la considerazione che, là dove lo Stato colma col pubblico denaro le perdite delle aziende di pubblico ( ?) interesse, dovrebbe essere escluso il profitto privato (ma per la moralità capitalistica tale piccola contraddizione non entra neppure in linea di conto), la Finsider e la Finmare rispondevano senza dubbio ad una concezione moderna, per quanto male applicata, di gestione centralizzata di grandi complessi industriali omogenei. Prima di passare all'esame di ciò che l'I.R.I. potrà e dovrà essere in avvenire (ciò che essa non dovrà essere è implicito in quanto si è già detto) si può concludere che le sue finalità di risanamento industriale erano solo astrattamente lecite mentre le sue finalità di gestione permanente erano concretamente giustificate. Le posizioni possibili di fronte all'Istituto Ricostruzione Industriale nel dopoguerra sono tre: o sopprimerlo riconsegnando all'economia privata o collettiva le aziende da esso gestite; o conservarlo affidandone la direzione e il dominio agli stessi gruppi del passato; o trasformarlo e utilizzarlo a scopi di interesse veramente collettivo. Il difetto delle prime due soluzioni si denuncia da sé. La terza si presenta come una grandiosa possibilità. L'industria italiana uscirà dalla guerra in gran parte smantellata, comunque profondamente ferita. Tuttavia l'estensione e la profondità delle rapine e delle ferite differirà assai a seconda delle zone e delle categorie. n disagio finanziario e monetario sarà invece uniformemente generalizzato. Se l'intervento clinico o chirurgico dell'I.R.I. fu invocato prima della guerra da più che 400 aziende grosse e medie senza contare le minori. la ricostruzione industriale post-bellica richiederà il ricovero della più gran parte dei complessi industriali italiani. Più che finanziario il risanamento dovrà essere economico, in quanto nel campo della finanza pubblica e privata si dovrà dire quasi sempre: «quello che è perduto è perduto», mentre nel campo delìa produzione si dovrà dire quasi dovunque: «quelle che è distrutto va ricostruito.» Non si tratterà di riassettare i capitali azionari delle anonime per riconsegnarli più tardi, rivalutati, ai loro ex-proprietari, · ma di rimettere insieme gli impianti e il patrimonio industriale delle aziende. La «Sezione risanamento economico» di quello che sarà l'I.R.I. nel dopoguerra, sia pure con nome mutato, avrà funzioni di autentica mento di generi alimentari vari, dopo che da più tempo esso era stato abolito. - ] l Consiglio Superiore degli Alleati ha deciso di nominare una commissione di 4 generali per inquirire ugli incidenti di Fiume. - Rispo ta negativa dei rappre entanti delle grandi potenze all'Au tria che chiedern l'ammissione nella Società delle Nazioni. 9 luglio: Dichiarazioni del primo ministro Nitti alla Camera italiana: promes a di la sa sulle fortune di guerra, di prov\'edimenli contro gli intermediari. di impo te progres i,·e sul patrimonio, della riforma elettorale. 10 luglio: Alla Camera italiana il ministro del tesoro Schanzer compie un'e po izione della situazione finanziaria: le spese di guerra ammontano a 90 miliardi. - Il congre so dei sindacali tedeschi si è pronunciato per la neutralità dei sindacati stessi ed ha preso disposizioni per l'organizzazione del lavoro nelle fabbriche e per la costituzione dei consigli aziendali. - L'Assemblea nazionale di Weimar ha ratificato il trattato di pace. 11 luglio: Le missioni dell'Intesa in Austria e in Ungheria collaborano attivamente all'organizzaziolile della guardia bianca ungherese. - Discorso del presidente Wilson al Senato americano; il trattato di pace sarà un pezzo di ricostruzione, nel senso che dalle officine smozzicate e semidistrutte bisognerà trarre complessi vitali, che stiano in piedi non più sugli interessi di uno stato suicida o di ristretti ceti accecati dall'egoismo di classe, ma bensì sulla razionalità tecnica, sulla utilità produttiva nazionale e sulla convenienza di scambio internazionale. Amministratori e tecnici dovranno essere scelti al di fuori del solito vivaio dove l'alta borghesia alleva le trote più grosse e vi immette con parsimonia pochi avannotti selezionati. L'I.R.I. dovrà cessare di essere un buon affare per capitali e persone, per grossi profitti e per alti stipendi. Aria nuova in Via Versilia vuol dire gente nuova e gente pulita. Quello che era un controllo prevalentemente finanziario esercitato con le maggioranze nelle assemblee e coi «soliti amministratori» nei consigli, dovrà trasformarsi in una direzione prevalentemente tecnica, secondo un tecnicismo che non risolva i problemi dell'azienda negli interessi della sola azienda, né in quello del solo capitale azionario, ma bensì nell'interesse di tutta l'economia, che è quanto dire del lavoro, della produzione e del consumo italiano e internazionale. Le aziende ricostruite potranno essere «rimesse in circolo» nelle nuove forme di gestione che saranno loro attribuite, a condizione che, né durante la riedificazione, né al momento dell'uscita dal cantiere, sia tollerato alcun indebito arricchimento speculativo. La «Sezione gestioni permanenti» risponde ad una esigenza moderna di coordinamento e di direzione unificata dei complessi produttivi omogenei (la Montecatini non è un complesso produttivo omogeneo) ai quali lo stato fascista non ha potuto sottrarsi. Che il solo fatto di toccare qualcosa significasse corromperla, che qualunque Consiglio o Direzione nominati dal regime si trasformassero in una piccola massoneria preoccupata soltanto di riempirsi le tasche, non esclude che la via fosse la buona, anche se il sistema fosse falso e gli uomini corrotti. Se la «gestione permanente» è suggerita da interessi antieconomici di difesa bellica nazionale (industria pesante), la gestione dovrà proporsi lo smobilizzo della parte improduttiva della categoria e il riattivamento su basi nazionalmente e internazionalmente razionali della parte produttiva. Se invece la «gestione permanente» è consigliata dall'utilità di potenziare con una direzione unica e coordinata gli impianti industriali già per loro conto provvisti di vitalità (cantieri navali, navigazione, industria chimica estrattiva, industria idroelettrica, ecc.), in tal caso la sua giustificazione economica è data dall'interesse collettivo nazionale. Nell'un caso e nell'altro l'arricchimento privato e ancor peggio l'arricchimento di ristretti gruppi finanziari è illecito perché significherebbe assegnare ai singoli il reddito (meglio si direbbe rendita) dell'attività economica nazionale. I grandi complessi produttivi, allo stato attuale dell'evoluzione economica, non sono infatti redditizi per forza propria, bensì per lo sforzo coordinato dell'intera collettività dei produttori, dei consumatori e dei contribuenti. Il riservare tale profitto ad un ceto finanziario che non è produttore-lavoratore, non è consumatore e contribuente che in piccola parte e non è più neppure dirigente né banchiere perché ha ceduto allo Stato (o all'I.R.I.) la direzione dell'industria e l'esercizio del credito, sarebbe la più assurda, la più antisociale, la più reazionaria delle sopraffazioni di classe. L'I.R.I. potrà. essere uno strumento di ricostruzione, mediante il «risanamento economico» e la «gestione permanente» delle aziende vitali, purché risanamento e gestione vengano operati al di fuori degli appetiti prepotenti e privilegiati della finanza anonima che abbiamo nominata, al di sopra della facciata razionalista, fascista o neo-patriottarda, dietro la quale quegli appetiti si nascondono e ancora si nasconderanno, ricostruzione cioè nel solo interesse della collettività nazionale. O aria nuova in Via Versilia o via la Via Versilia! D. G. carta se non si procede alla costituzione della Società delle Nazioni, e l'America vi deve prendere parte. 12 luglio: Cessazione del blocco contro la Germania. - In Italia si cerca inrnno con calmieri di porre freno al caro-,·ita. - 11gruppo parlamentare socialista italiano ha presentalo un articolo contenente la proposta dell'estensione del ,·oto alle donne. 13 luglio: II ministro della guerra italiano Albricci ha promesso alla Camera una rapida smobilitazione. - Navi da guerra francesi, inglesi ed americane a Fiume. - Il primo mini tro francese Clemenceau ha dichiarato che fino a quando non si avrà la risoluzione della questione Fiumana l'Italia non deve avere alcuna prevalenza a Fiume. 14 luglio: La Camera italiana vota la fiducia nel gabinetto Nitti con una maggioranza di 144 Yoli. - A Luce1:a durante una manifestazione contro il caro-vita i carabinieri sparano sulla folla: 8 morti e 30 feriti. 15 luglio: Gli ambienti borghesi d'Italia preoocupati per l'imminente sciopero generale. - I sindacati americani vogliono la pace con la Russia. - Il Consiglio Nazionale Socialista Francese è contrario alla ratifica del traMato di pace. •

E cosi perdemmo la pace «Come la corruzione è venuta dall'alto ed ha contagiato il popolo cosi il rinnovamento avrà la sua origine dal popolo e dalle masse e si diffonderà verso l'alto. La grande massa costituita dai "piccoli uomini,,, dai contadini, dagli operai, dagli artigiani, dai piccoli commercianti è nell'insieme ancora sana. In qualche sito sorgerà una nuova Francia, forse anche lungo tempo prima che la guerra sia finita, ed essa prenderà parte a fianco dell'Inghilterra e dell'America al lavoro di riedificazione di un mondo libero e pacifico nel quale l'individuo non sia consegnato, mani e piedi legati, in balia dello stato ma nel quale, invece, lo stato serva al benessere dell'individuo.» Ecco un paio di frasi scelte dal libro di Ha - r o 1 d B u t 1 e r , che nella traduzione tedesca porta il titolo D e r v e r 1 o r e n e F r i e d e (La pace perduta) uscito ultimamente per i tipi dell'Europa Verlag di Zurigo. Due frasi che se non sono sufficienti per caratterizzare appieno lo spirito dell'opera, tuttavia sono sufficienti a darcene un'idea. B u t 1 e r fu per 18 anni una delle personalità più notevoli dell'Ufficio Internazionale del Lavoro a Ginevra, dapprima quale vice-direttore, in seguito quale direttore, e per tal modo si è trovato in uno dei più interessanti posti di osservazione internazionale che fosse possibile immaginare. I suoi innumerevoli viaggi attraverso quattro continenti lo hanno posto in contatto non soltanto con le persone politicamente più influenti permettendogli di prendere visione in modo unico dei retroscena e delle macchinazioni politiche e delle forze che le determinavano, ma lo hanno anche costretto a studiare i popoli stessi con le loro qualità e le loro debolezze, con tutte le loro caratteristiche e le loro aspirazioni: ed in realtà Butler è un magnifico osservatore. «Un giorno passato tra le palme ed i minareti di Damietta, in un sito ove non si trovi nessuna panchina e nessun europeo, può esser per qualcuno motivo per riflettere sui vantaggi di un'economia primitiva dato che colà tutti hanno lavoro e nessuno soffre la fame. Una cena sulle rive del golfo di Salamina può insegnare a qualcuno perché i greci sono stati sempre marinai e pescatori. Un bicchiere vuotato con una dozzina di canadesi provenienti da altrettante nazioni in un bar di Edmonton o l'incontro con un nerissimo impiegato della do- .gana della J amaica che parla la lingua del re ed è fiero di portare l'uniforme del re, o un'escursione attraverso il territorio di Transkei, possono fornire ad "uno,, più elementi per l'esatta comprensione del significato dell'impero britannico che qualsiasi opera dottrinaria.» Sarebbe desiderabile che tale libro venisse conosciuto da tutti gli uomini dominati dal desiderio appassionato che si compendia nel grido: «Mai più la guerra!» Si tratta, comunque, di uno tra i più chiari e concreti documenti sulla storia del periodo intercorrente tra le due guerre e nello stesso tempo di una guida di immenso valore per quel futuro che si spera senza guerre. Le esperienze di Butler si possono riassumere in una formula comprensiva che è la seguente: la seconda guerra si è verificata perché i popoli non si erano accorti quanto piccolo fosse il mondo e quanto strettamente ed indissolubilmente la sorte e le condizioni di ogni nazione fossero legate a quelle delle altre nazioni. E se i popoli non riconosceranno con estrema chiarezza quanto i loro rispettivi destini dipendano gli uni dagli altri e non ne sapranno trarre la conclusione dell'assoluta necessità di una solidarietà politica e di una reciproca assistenza collettiva, allora avremo una terza guerra. L'Ufficio Internazionale del Lavoro di per sé era un'effettiva manifestazione di collaborazione internazionale. Esso trattava le questioni sociali dal punto di vista internazionale, col tempo andò sempre più occupandosi delle questioni economiche sotto un punto di vista interstatale, nel senso di un'economia pianificata mondiale. E grazie a personalità come Albert Thomas, Winant e lo stesso Butler l'U.I.L. divenne veramente un'organismo vitale ed una realtà percettibile anche nei più lontani angoli del mondo. Un vero e proprio spirito internazionalistico spirava da questa istituzione che, faticosamente, ma nel complesso con successo, si opponeva allo spirito nazionalistico dei governi e dei popoli. B u t l e r stesso durante tale lotta finì col rimanere sul terreno allorché in occasione di una questione di per sé poco importante ma di importanza fondamentale per quanto riguardava i principi - dal libro non è dato apprendere di più -:- non si volle sottomettere alla pressione priva di scrupoli di una delle potenze maggiori e dovette nel 1938 rassegnare le proprie dimissioni. Ma lo spirito dell'U.I.L. non è morto e il Butler ha certamente ragione quando prevede che dopo la guerra, probabilmente dotato di una ancor più larga sfera di azione, esso costituirà uno dei piloni fondamentali dell'armatura per la ricostruzione. Accanto all'U .I.L. svolgeva la propria attività la «Società delle Nazioni» la cui sede era distante da esso non più di un paio di centinaia di metri. Attività debole ed incolore. Certamente: la comparsa degli uomini politici più ragguardevoli di tutti i paesi sul palcoscenico di Ginevra costituiva una bella farsa; il mondo non ne aveva mai conosciuta una migliore. Ma non ne emanava alcuna forza. I popoli non avevano appreso quasi nulla dalla prima -guerra mondiale: dopo breve tempo essi ricaddero negli stessi errori di prima, in un isolazionismo diffidente ed egoistico, e persino sotto la minaccia dei colossali armamenti della Germania la maggior parte di essi non volle ammettere che la loro esistenza fosse in pericolo e che la loro salvezza consistesse nell'affrontare il pericolo su di un fronte unico collettivo. Uno stato dopo l'altro, i grandi, i medi, quelli piccoli, abbandonarono il sistema della sicurezza collettiva e cosi, inevitabilmente, facilmente, un paese dopo l'altro cadde vittima di un aggressore senza scrupoli. Non l'opera, la «Società delle Nazioni», ha fallito, malgrado le sue incompletezze, ma la volontà di fare uso dell'opera stessa. Come man mano questa volontà venne progressivamente meno ed infine scomparve del tutto lo si può desumere in modo meraviglioso ed appassionante dalla lettura del libro del B u t 1 e r. Perdté fallì la Società delle Nazioni? Si fa gran parlare, ora che la fine della Qualcuno si domanderà: Perché portare una guerra non sembra più soltanto un lontano tale dimostrazione proprio ora in cui tutti sono miraggio, di «piani per il dopoguerra>>, «piani» d'accordo nel riconoscere il fallimento della che tutti dovrebbero rappresentare sicura ga- Società, e soltanto ben pochi, e non i più imranzia di «pace duratura». E' sempre più evi- portanti, credono alla possibilità della sua redente che i futuri dominatori del mondo, i surrezione? governi degli stati che si chiamano potenze Perché, rispondiamo noi al posto di D e 11 , occidentali hanno intenzione di premunirsi l'opinione pubblica ritiene che la Società abbia contro ogni possibile «pericolo» prendendo in fallito per la sua stessa difettosa costituzione mano essi stessi le redini del nuovo ordina- e che ciò costituisca la prova che non è per mento e costituendo un «Consiglio dei tre principio possibile raggruppare tutti gli stati Grandi» al posto dell'imbelle «Società delle in un unico ordinamento, essendo ciò contrario Nazioni». alla natura umana. Il certificato di morte viene E' verosimile che i numerosi ed accaniti ne- quindi munito della diagnosi: «incapacità vimiei della Società delle Nazioni ed i suoi non tale». De 11 al contrario propone la diagnosi: meno numerosi delusi amici siano in ciò con- «assassinio premeditato dopo violenze per senzienti. lungo tempo ripetute». Ma è sicuro che un tale supremo Consiglio Egli non disconosce le debolezze della davanti alle porte chiuse del quale faranno vecchia concezione della Società delle Nazioni. anticamera gli altri popoli, salvo ad essere am- Egli riconosce soprattutto la sua debolezza nel messi in qualche circostanza eccezionale, è si- fatto che la Società non è mai stata una rapcuro che esso sia in grado di farci cqnoscere presentanza dei popoli ma soltanto un'asdei tempi migliori? semblea dei governi di allora e dei loro diploA questa domanda ,risponde molto chiara- matici. Perciò essa divenne la scena di intrighi mente il libro da poco arrivato in !svizzera di politici di ogni specie ed uno strumento della un inglese e cioè Gene va r a e k et di Ro- più vergognosa politica imperialista. Egli cita bert De 11 , titolo che si può tradurre con le un detto di Barthou, ch'egli particolarmente parole «L'inganno di Ginevra». stimava, «La ligue, cette vièrge, un peu faD e 11 fu il corrispondente permanente tiguée par trop de contact» (La Lega, questo presso la Società delle Nazioni di uno dei gior- vergine, un po' affaticata da troppi contatti), nali meglio informati e più autorevoli specie in espressione che in uno stenogramma ufficiale materia di politica estera, il «Manchester fu tradotta con: «troppi ballerini!» Ma dietro Guardian». Il suo nome significa competenza, questo tono scherzoso si dissimula la terribile obiettività, indipendenza di giudizio. Lo spirito verità e cioè che di un'istituzione di imporche domina il libro è riassunto già in una frase tanza vitale e nelle sue linee fondamentali ben dell'introduzione in cui egli parla per l'appunto costituita e suscettibile di miglioramenti se ne della Società: «Il comportamento della maggior fece qualchecosa di paragonabile ad una maparte dei suoi delegati fece della Società delle tura concubina che si concede a chiunque le Nazioni un'istituzione falsa che tracli in pieno voglia usare violenza. la fiducia in essa riposta dai popoli.~ Il con- Non è esatto dire che «l'istituzione ha fatto tenuto del libro fornisce le prove di una tale fallimento». I mezzi a disposizione della So- Bib 1ro1eca G I n O 8 1 art èOero stati sufficienti per i suoi scopi Lo sapevano fin troppo bene coiorò che avrebbero dovuto farne uso e invece ogni volta in cui ciò sarebbe stato necessario trovarono una scappatoia per farne a meno. E tipico fu l'episodio della mussoliniana guerra di Abissinia, allorché a ragion veduta le sanzioni furono attuate in modo cosi misurato da non raggiungere alcun effetto. Si cercava di salvare l'apparenza, si tranquillizzava il popolo eh: avrebbe voluto vedere punito l'aggressore. E s1 raggiungeva lo scopo, che era quello di «fingere di fare qualche cosa senza fare nulla». In seguito, nell'episodio spagnuolo ed in quello cino-giapponese, ciò risultò ancora più evidente ed infine a proposito di Hitler ci si risparmiò persino il gesto esteriore della convocazione per deliberazioni. D e 11 è inglese. E' un uomo che riconosce i meriti di questo o di quello quando questi meriti esistono, e nelle poche circostanze in cui Ginevra gliene ha offerto la possibilità lo ha fatto. Tanto maggior valore ha per l'appunto il suo giudizio. Questo riguarda soprattutto i governi aggressori di Mussolini e di Pilsudsky, giù, giù, fino ad arrivare al signore della guerra, Kat Exochen, l'autore di Me in K a m p f. Ma accanto ai suddetti hanno la loro parte di responsabilità le due grandi potenze europee Francia e Inghilterra o per meglio dire i loro governi in perpetua mutazione: la Francia perché all'infuori del breve periodo Barthou si lasciò sempre trascinare nella scia dell'Inghilterra, sebbene Barthou avesse dimostrato quanto fosse facile per un politico energico ed intelligente assicurare al popolo francese il primo posto in una Europa pacifica. Debolezza in Blum, egoismo in Laval e in Bonnet, mancanza di carattere in Daladier resero impossibile agli uomini di stato francesi che succedettero a Barthou di svolgere il loro dovere. Più grave ancora è l'accusa che D e 11 rivolge agli uomini politici del suo paese tra i quali egli fa unicamente eccezione per il socialista Henderson. Non che egli rinfacci agli Inglesi di «essersi barcamenati» in modo empirico per ignoranza o per buona fede o per comodità. Al contrario, caso per caso, egli ci dimostra come tutti i primi ministri: Baldwin, Macdonald e Chamberlain e come tutti i loro ministri degli Esteri: Hoare e Halifax, non escluso !'«idealista» Eden, abbiano attuato la medesima politica: atteggiarsi ad arbitri appoggiandosi sulla Società delle Nazioni, ed utilizzare infine questa situazione di arbitri per rendere inefficace lo strumento stesso della Società. Una politica senza senso? Non esattamente. Tutti questi uomini, compreso l'ex-laburista Macdonald, si sentivano i rappresentanti di una classe dominante e di un impero. Pertanto i governi come quelli di Horthy e di Pilsudsky fino a quelli di Mussolini, Hitler e Franco e del figlio di Dio giapponese, il «Tenno», destavano le loro simpatie: infatti questi costituivano i protettori del potere, della proprietà e del privilegio. Ed a ragion veduta i suddetti signori inglesi ostacolarono ogni tentativo di ostacolarli nelle loro attività. Il risveglio di popoli come quello cinese o quello spagnuolo rappresentavano per esempio un pericolo per l'impero. A ciò si aggiungano due altre preoccupazioni: il minaccioso ed incomprensibile fenomeno dell'Unione Sovietica e quello dell'ex-alleato della guerra mondiale, di colui che per averne sopportato il massimo peso era diventato la potenza predominante in Europa. La politica di equilibrio consistente nel favorire contro la Francia, in quanto prima potenza europea, un rivale - che questa volta si chiamava Germania - è una delle cause di questa politica di predominio a tutti i costi, politica nella sua essenza molto semplice, ma nelle sue manifestazioni molto discordante. La politica appunto che nel caso dell'Abissinia ha indotto De 11 al giudizio: la più grande truffa della Storia. E' importante notare che gli uomini la politica dei quali nella cornice della Società delle Nazioni è stata la causa della rovina dell'Europa e della guerra, politica che viene analizzata da D e 1 1 cosi come fa il pubblico ministero in un tribunale - sono oggi ancora ai primi posti e dirigono la politica dell'Inghilterra: Eden quale ministro, Halifax all'importante posto di ambasciatore negli Stati Uniti, Hoare, che bene meritò da Mussolini e da Franco, quale ambasciatore a Madrid. Soltanto colui il quale, agendo dietro le quinte probabilmente era più potente ed attivo di tutti, soltanto lord Vansittart, non possiede attualmente alcuna carica. E' per questo ch'egli rivolge degli appelli in nome di un ordinamento democratico della pace tale da eliminare una volta per sempre il pericolo delle aggressioni, quelle aggressioni che nessuno al mondo ha più cercato di favorire quanto Lord Vansittart stesso. Noi possediamo tre grandi documenti di accusa riguardanti le responsabilità della guerra, pubblicati tutti e tre durante la guerra. Il primo è il libro giallo del governo francese il cui valore è costituito prevalentemente dai rapporti di Coulondre da Berlino. Il secondo è costituitd dal diario di Dodd, da cui traspare il retroscena della politica di Chamberlain, consistente nel timore della Russia, nell'abbandono della Francia a sé stessa e nel servirsi di un Hitler divenuto signore dell'Europa, quale difesa contro i Sovieti. Ma l'opera di maggior valore è questa di De 11 sulla Società delle Nazioni. Ed è il caso di chiedersi perché fin;orà tali opere sono pàssate sotto silenzio e perché la stampa non se ne sia occupata e_perché non sia possibile trovarne una traduz10ne. Chi è capace di rispondere? Altrettanto importante, comunque, come quella della creazione di un nuovo ente internazionale è una seconda questione: quella degli u o m i n i che dovranno servire da ostetrici per un tale parto. La vecchia Società delle Nazioni non venne a morte per congenita incapacità vitale ma perché chi aveva l'incarico di vegliarla e di averne cura la privò di ogni possibilità di esistenza. E' chiaro, comunque, che se anche per questa progettata nuova e rinnovata Società delle Nazioni o per questo Consiglio delle Nazioni ricorreremo ancora agli stessi individui o ad altri individui della stessa specie, è chiaro che anche in tal caso non si potrà trattare che di un nuovo e clamoroso fallimento. D • • • 1z1onar10. Società delle Nazioni. Fu costituita nel 1920 in base ad un patto (Covenant) di 26 articoli, i quali formarono altresi la parte I del trattato di Versailles e degli altri trattati di pace. La sede della S.D.N. era Ginevra. Essa costituiva la traduzione in atto del punto 14 dei punti di Wilson, se non che il Congresso americano rifiutò nel 1920 di ratificare il trattato di Versailles e di entrare a far parte della Società. Il patto obbligava le nazioni membri della Lega ad astenersi da aggressioni, a rispettare le reciproche indipendenze ed integrità territoriali e a non ricorrere alla forza per la risoluzione di vertenze senza prima sottoporre queste ultime alla S.D.N. o ad arbitrati: se la S.D.N. o l'arbitrato non permettesse di giungere ad una decisione unanime e pacifica entro sei mesi, le nazioni disputanti si obbligavano a non ricorrere alle armi prima di un periodo addizionale di tre mesi. Sanzioni potevano essere decretate contro una nazione che avesse commesse un'aggressione malgrado il patto. Questo prevedeva inoltre riduzioni degli armamenti e revisione di trattati. L'assemblea della Società si riuniva annualmente a Ginevra: ogni nazione-membro avendo diritto ad un voto. All'inizio della guerra del '39 la Società era costituita da 54 membri. Il Consiglio si riuniva normalmente tre volte l'anno. La Gran Bretagna, la Francia e la Russia erano membri permanenti della Società, mentre che altri 12 membri venivano eletti temporaneamente. Dalla Società dipendevano altri organi a carattere internazionale come l'Organizzazione Internazionale del Lavoro e la Corte Permanente Internazionale di Giustizia. L'attività della S.D.N. venne fin dal suo primo sorgere ostacolata dalla non partecipaz_ione degli Stati Uniti e dalla mancanza di una forza esecutiva propFia. In pratica nessuno degli statimembri era disposto a sacrificare una parte della propria sovranità e della propria politica nazionale in favore della Società. Un altro inconveniente era rappresentato dall'abisso esistente tra vincitori e vinti dopo la guerra del 1914-18, inconveniente che sembrò attenuarsi allorché la Germania entrò a far parte della Società nel 1924. Pertanto la S.D.N. non riusci ad evitare la guerra tra Cina e Giappone nel 1932, che coincise con l'uscita dalla Società de: Giappone stesso. Seguì l'abbandono da parte della Germania nel 1933. Nel 1934 entrò, invece, a far parte di essa la Russia. Il contegno debole ed indeciso nei riguardi dell'Italia a proposito della vertenza abissina determinò l'abbandono della Società da parte di questo stato ma non riusci ad evitare la guerra. Tali eventi menomarono gravemente il prestigio della S.D.N.: ad essi seguì un fatale ritorno al sistema politico delle alleanze e dei blocchi. Dall'autunno del 1938 la S.D.N. è ridotta ad un'esistenza puramente nominale. Organizzazione Internazionale tlel Lavoro. Ente internazionale residente a Ginevra e fondato in virtù dell'articolo 23 del patto (Covenant) della Società delle Nazioni, comprendente rappresentanti di tutti gli stati membri ed avente per corpi rappresentativi: la Conferenza Internazionale del Lavoro, l'Ente esecutivo (Governing Body), gli organi ausiliari e l'Ufficio Internazionale del Lav o r o. La Conferenza Internazionale del Lavoro si riuniva almeno una volta l'anno per discutere le questioni del lavoro e per stabilire le convenzioni internazionali o le raccomandazioni relative alle condizioni del lavoro. Ogni stato era rappresentato da quattro delegati, d: cui due per il governo, uno per i datori di lavoro ed uno per i lavoratori. Due terzi dei voti erano richiesti per le raccomandazioni e le con - venzioni, per le mozioni era sufficiente una semplice maggioranza. L'Ente Esecutivo controllava l'Ufficio Internazionale del Lav o r o e nominava il suo direttore. Gli organi ausiliari erano costituiti da comitati destinati a svariate attività: L' U f f i e i o Inter - n a zio n a 1 e d e l La v or o rac1Zoglieva e distribuiva informazioni internazionali relative alle questioni del lavoro, eseguiva inchieste e possedeva una pubblicazione periodica. Comprendeva 400 membri, provenienti da 37 nazionalità. Esso ha concluso 63 convenzioni, relativamente all'orario del lavoro, alla disoccupazione, al pensionamento ecc., ed ha ottenuto 782 ratifiche.

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