Spettacolo : Via Consolare - anno IV - N.s. - n. 3-4 - feb.-mar. 1943

~ ad Cv,u, -re.al&: 1<a~ t:;ef &lim dal ~ (j-'l.teitli (/hlllJllJmLri di (J~ cll.wUJ IV - rJu.uwa Jllk - {1..eblmiùJ-.Jtlmzo 1943 XXI - ~.dl-Jl). ~ /Il FondazioneRuffilli- Forlì

.-------'--SPETTA COLOFondazione Ruffilli - Forlì VIA CONSOLARE MENSILE DEE CINE. TEATRI. RADIO. GUF Direz. Red, Amm.: Forll, Sede Littoria. Tel, 6018 • C'c. post. 816395 1( ARMANDO RAVAGLIOLI Direttore WALTER RO rcm Vice Direttore GUIDO ARISTARCO . PAOLO GRASSI Reclattori Segretario di Direzione : ENRICO CAMPORESI 1( ANNO IV - NUOVA SERIE - N.3-4 FEBBRAIO-MARZO 1943 XXI i n questo n u m e r o: di IE A N eoe TE A u (Trad, di GIORGIO STREHLER) - di BEPPE COSTA ~ di RU GG ERO OEL L' ORB O ARMANDORAUAGLIOLI ANTONIOGHIRELLI GIANNINOGALLONI WALTERRONCHI SERGIOLIFAR IEBAITIANOCARTA M. A. DENTI IEBASTIANOCARTA MARIOVERDONE GIORGIOSTREHLER ERREA GIORGIONAPOLITANO PAOLOGRASSI FRANCOROISI IL SOFISTA ALBERTOPERRINI GUIDOARISTARCO RENATMOAY FERNALDDOI GIAMMATEO ENRICOCAMPORESI MASIIMMOIDA e SERGIOSOLLIMA GLAUCOVIAZZI BALDO BANDINI IOOOCIO MAURIZBIOARENDION OSVALDO CAMPASSI FRANCOROSSI RENZORENZI BIRIMAZZINI • E' anche questionedi generazioni • Su due programmi • Leopardie il Teatro • Confusioni • Llfar e Diaghilew(!rad. di EnricaCavallo) • Coro per orchestra • Formetipiche del " balletto ,. • La musica • GiovanBattista Fagiuoli • Introduzionea Cocteau • Fatto di cultura • Teatro di Pineili • Precisazionia proposito di monopolio • Per Costa • Zibaldone • Lettera • A quandoun cinemaper i giovanissimli • Il cinemae la filosofia • Il cinemae la cultura • Il cinemacomearie • Il male del cinema • Un Duvivier Inedito: " Golem,. • Ricordi sparsi da "L' angelodel male.. di Renoir • Tra giovani ammodo - " Quattro passi fra le nuvole.. • Esempiodi essenzacontenutisticaIn un film di A. Fanck • Vieri Blgazzl, stanchezzadell' imagine • Presenzadell' Invisibile • ltiroppo musicale Cronachedei CineTealriGuf !cene e bozzetti di UGOBLATTLER• ADRIANO MICHELETTO ENRICOPRAMPOLIN• I LUIGIVERONEII 111 copertina: LUIGI VERONE•SsI cena3• per " MINNIELA CANDID.A, opera di R. MallpleroJr. ABBONAMENTO ANNUO L. 32 UNA COPIA L. 3,50 M E N S I L E E D i T O D A L G. U. F. O I F O R L J . ________ __)

MENSI LE OE I G R UPPI FASCI ST I UNI VERSI TAR I • ANNO I V • N. 3 • 4 • FEBBRAI O- MARZO 19 4 3 • XXI P. i\f. 207, ge1111aio. SUL terminare dell'editoriale dello scorso numero concludevamo - se ricordate - alla affermazione della necessità di un teatro di fede e partecipavamo certo nostro ottimismo in proposito. L' espressione è di quelle più o meno accettabili, come è ali' iuciì-ca di tutte le affermazioni, quando rimangono nel campo dei propositi generalissimi. Sarà comunque opportuno che ci spieghiamo meglio ; opportuno perchè questi nostri scritti introduttivi ai vari fascicoli di "Spettacolo,, non intJmdono essere dei comuni riempitivi, dei " pezzi,, di apertura necessari nell'economia del1' impaginazione, ma poco impegnativi, occasionali ed euforistici come è di molti altri scritti di tale specie. Essi intendono svolgere una chiacchierata organica e complessa e coerente. Vogliono contribuire- - per quanto è dei singoli uomini contribuire alla maturazione di problemi centrali di una civiltà · vogliono contri- -huire a fare luce nella discussa questione del nuovo teatro. E' una questione che in genere troppo si perde nei rivoletti delle dispute tecniche, nei rigagnoli dei fatti personali, nei meandri delle impostazioni limitate, proprie di chi guarda le cose essendoci immerso fino al naso e difficilmente riesce ad astrarsene per aiutarsi - nel comprenderle - con analogie tratte dalle circostanze concomitanti, tratte soprattutto dall' ambiente culturale e di civiltà nel quale ci si trova. Nel primo numero parlavamo addirittura - e qualcuno dei soliti pronti ad inalberarsi, dei diffidenti per voto devozionale, può avere frainteso - parlavamo d'una rilevanza del teatro per lo Stato. Una rilevanza motivata dalle vaste facoltà suggestive di una tale arte - il teatro - tanto diffDsiva da assumere colore e sostanza di costume sociale, e dalla possibilità da essa presentata di completamente sottolineare crisi di crescenza dei regimi e le loro raggiunte condizioni d'armonia. e discendeva che ambiente politico e teatro erano strettamente collegati non solo nell'origine istituzionale, ma nell'affinità della loro sostanza : ragione per cui una certa reciproca comprensione e - quasi • coincidenza (per lo meno nei propositi) è da meditarsi fra la " classe politica ,, propriamente detta e quella che possiamo definire la "classe teatrale,,. Nell' unicità del principio umano che muove tutte le arti e la socialità, c'è da trovare la ragione d'una parallelità di intenzioni e di svolgimenti, al punto da mostrarsi chiaro che, in occasione di sfalsamenti nello sviluppo tra arti e reggimento politico, si provoca una FondazioneRuffilli- Forlì irrimediabile disarmonia nel tessuto sociale, nell' ambiente di civiltà. Oggi, una tale disarmonia è riscontrabile, cagionata dalla critica revisione d'una civiltà d'altro secolo che solo apparentemente era civiltà come tale, mentre in sostanza era appena un momento di sviluppo per quella ci viltà fondamentale, di tono conforme per tutti gli uomini che, dall'epoca dell'avvento del principio germanico di riforma, si affatica per trovare i suoi stabili nessi interiori, i suoi solidi rap• porti oggettivi. Pare che ci avviamo, in campo sociale, ad una più convinta affermazione di valori oggettivi, alla affermazione non soltanto sonora, ma concreta, della validità d'un principio giuridico, d'una considerazione. fermissima clell' entità umana, viva nel complesso della società, ma viva anche e ferma in ciascun singolo. Da ciò l'auspicio d'una revisione del mondo produttivo e dei modi di partecipazione al godimento clelle riserve di beni e di motivi spirituali non solo della terra fisica, ma anche della secolare cultura giunta fino a noi. E' l' auspicio d'un mondo attivo, pieno di opere, un mondo di convinzioni positive, di ottimistico possesso delle ragioni della azione quotidiana. Ad nn tale ambiente morale, che è al fondo delle attuali esigenze politiche, - nella unici'tà dell'uomo - non può scompagnarsi una vibrazioue consimile portata verso il campo della fantasia, clella vita ricreata su un tono più alto, su cui non resistono le nostre carni, ma lo spirito si. E' per questo che anche il tea• tro non può essere che un ambiente e una poetica di cose vere, oggettive, fronteggiantisi in tutte le loro dimensioni, nutrito di rapporti misurati, di confronti di statura fra l' uomo protagonista e il mondo fisico, concreto, deuteragonista quando non antagonista. Un teatro di fede 11011 lo in•endiamo per un teatro moralistico, conformistico, giaculatorio, allo stesso modo che la religiosità basilare d' uno Stato moderno non implica una coincidenza di sacro e di profano; entrambi - Stato e teatro di fede, o religiosi chè fede non si attua se non si attingono in qualche modo i vertici della religiosità, della risoluzione del rapporto preventivo, Dio - uomo -, Stato e teatro di fede significano, nella civiltà dell'uomo moderno, coscienza di limiti sovrastanti, riconquista di rapporti e di proporzioni spaziali, nuova capacità di giudizo del bene e del male. Non si risolva tutto nel sadismo clell' autodistruzione del nostro arbitrio e della nostra sostanza, nel1' inane superamento del freno umano (il superuomo 1

è fuori della poesia, come è fuori del sentimento e della vita, a meno che • sconfitto come Prometeo • non rientri di violenza nei "limiti d'una più appassionata umanità), nel titillamento decadentistico e lette• rario. Non si risolvano gli interrogativi morali, le ansie cosmiche, i problemi delle cose circostanze nel breve giro del personaggio. Nè un astratto mondo intellettualistico personale, nè uno sfrenato mondo fantastico, nè un sentimentalismo raffinato possono contenere l'uomo. L'uomo si completa al di fuori, nelle sue proiezioni attive, nei suoi gesti che lo tolgono dall'indistinto dell' anonimo e lo fissano con un carattere. " In te ipsum redi,, ... ma "si tuam naturam mutabilem inveneris, trascende temetipsum,, . Realismo, questo? Non impegniamoci con le pa• role ed evitiamo la debolezza dell' incasellamento in formule, buono per gli e,bciclopedici da strapazzo, per la gente dalle mezze culture • la gente per cui son fatte le etichette delle scatole e gli aforismi più o meno da cioccolatini. Ricordiamo, anzi, a proposito di parole e di formule, che certune delle più recenti • anche in teatro • non avevano altra ragione di rilevanza se non quella di essere temporanee, polemiche, termini di rilancio d' un discorso, appoggi d'un trapasso dialettico. Certe riduzioni alla essenza scheletrica, certi richiami alla sostanza astratta, certe affermazioni d' un ritmo interno delle cose e delle azioni come unico carattere importante di queste, non ebbero ragione d' essere per sè • e perciò tanto rapidamente si dissolsero l'una nell' altra • ma furono estemporanei episodi d' un dibattito, espedienti per sollevarsi da una situazione statica, pulsanti per l' elettrizzazior.e d'un corpo affralito da depositi secolari. L'unica ricerca sempre valida e perennemente sostanziale per tutte· le arti è soltanto questa: ritrovare ad ogni tempo il . proprio rapporto con l' immutabile sostanza umana, adattare il diaframma oculare alla profondità di campo, ferma restando la sostanza del panorama. Ne deriva per il teatro, la giustezza della ricerca di nuove forme espressive, acutizzate nella percezione dei motivi spirituali, così come si è raffinato in ciò l'udito morale moderno; ma invalicabilità dei termini suoi propri che lo fanno campo d' una esemplare vicenda fra l'uomo e il mondo. Debbono cioè restare • qualunque soluzione tecnica venga a definirsi - l' uomo e il mondo. Ci sono segni d' un tale positivo aTvertimento fra i giovani? Possiamo dire che i giovani risentono molto la vibrazione psicologica e morale dell'epoca. Che le incertezze programmatiche, le continue revisioni d' una civiltà che si raddensa lentamente in mezzo a ritorni e ad involuzioni, li mantiene in parte nella fluida zona delle esperienze e delle ricerche formali, per altro seguite e orientate con grandiosità di proposito (Joppolo) ; altri (come Costa che stavolta pubblichiamo) stentano a liberarsi del dato autobiografico per giungere a scrivere una storia del mondo. Confondono la molteplicità delle percezioni frammentarie con una abbondanza di cose da dire, con un arioso respiro sulle cose. Altri, invece, da altre esperienze, eredi di altre ascendenze formative, stanno toccando la riva. Non ci conforta t11nto in questo ·il clamoroso successo e la intrinseca qualità costruttiva del "Vicolo senza sole,, che ha recentemente rivelato Zerboni al grosso puhhico. A parte il pascolismo delle cadenze finali d'ogni atto e un epidermico sentimento, non troviamo che il nodo dei problemi della nuova coscienza venga a fiore in tale lavoro. Ma avete sentito delle 2 Fondazione Ruffilli - Forlì "Paludi,, di Fabbri, di quella rivolta guidata da un mite contro una società i~pa_ntauata, avete afferrato quella capacità di riscossa implicita nella coscienza d' una espiazione assunta deliberatamente da uno solo? E nella " Lotta con l' Angelo ,, di Pinelli, non è il risolutivo dilemma del male assoluto e del bene assoluto che torna a gravare sulle azioni degli uomini e a determinarle? Ecco l'uomo che ha ultimato il suo viaggio di eccessive umiltà e di sfrenato orgoglio in se stesso, torna a prendere posizione nel mondo, a giudicarlo a viso aperto. Per farsi magari sconfiggere, ma per lottare secondo il suo destino. E' certo che qualche cosa matura e il resto • statene certi - matura negli addiacci degli accampamenti. Noi guardiamo ai giovani per obbligo d'ufficio, per compito di parte, dato che son queste posizioni nelle quali è chimerico poter mantenere atteggiamenti di impassibilità storica. Ma lo facciamo anche per un ragionamento maturato, fattosi convinzione attraverso le recenti diatribe. Queste recenti diatribe che hanno dimostrato la loro inconsistenza e la loro ingenerosità perchè, se una cosa hanno affermato, è stata proprio la filiazione diretta • naturale e legale • della giovane generazione di pensiero dalla precedente. Una filiazione non preYentiva e generica, ma immediata e puntuale, dimostrata dal nostro tornare oggi, in sede culturale, sui nomi e sdle scoperte che essa lanciò, anni addietro, in sede di scandalo. Ma fra l'una e l'altra c'è l'incompatibilità, la impossibilità di convivenza che c'è talvolta nelle fa. miglie fra un padre e i suoi figli. Nati da lui, fatti come lui, ma sradicati, come se tra loro mancasse un cemento, un termine di unione. E qui proprio si spiega. L'altra generazione si è limitat,; a metterci al mondo carnalmente, a darci intellettualmente gli occasionali riferimenti dell'ambiente nel quale ci ha fatto crescere • l'ambiente culturale da lei creato. Ma è stata una generazione che non ha prodotto maestri. Li ha diradati nelle scuole, li ha fatti scomparire quasi nell' arte. Ha avuto scarsezza di capacità o di volontà didattiche. Forse troppo poca certezza delle proprie po• sizioni ave,-a in sè, da non sentirsene straripare. Invece a noi, per l'impulso dei tempi che aspirano a una finale risoluzione, tutto si presenta sotto termini didattici. C'è in noi quasi più impulso ad apprendere, a studiare, ad osserYare che a produrre. Ne è prova convincente l'esuberanza di materiale ragionativo e critico dei fogli giovanili, la vastità delle ossenazioni e delle informazioni di tanti. Tutto a noi si disegna sotto un profilo didattico, educativo, organizzativo. Problema di cultura, di complessi, di scuole, di corpi. Deriva da questa nostra esigenza l'imposizione d' un teatro che postula un diretto attaccamento alla vita, un proprio innesto diretto e non più un teatro che trae dalla vita mediante le altre arti, la letteratura, la pittura, la musica. I problemi maturano storicamente nel tempo e col tempo. Le solu~ioni procedono l' una dall' altra, come ogni generazione dalla precedente. Ma il problema di un tempo è forse legato principalmente, per rispon• denze interne, alla gente di quel tempo. Forse i giovani, in genere, di questo momento sono disposti a comprendere il monito d' un teatro quale dicevamo più che gli uomini, in genere, dell'altra leva. In questo senso consideriamo avallo importante il gruppetto degli uomini che camminano in testa. ARMANDROAVAGLIDLI

su DUE PROGRAMMI J L cri1ico si pone di fronte all'opera d'arte in LIII duplice atteggiamento, quando dav~ vero il suo impegno è totale e il suo inte1cssc 1111i\·ersale. Nel momento assoluto 1 egli illumina con la sua interpretazione il fallo poetico, rifrangendo aura\'erso il suo spirito la inwizione dell'artisrn. Qui, non altro •compito•, egli si riconosce che quello di una sintesi estetica sulla conseguila o fallita poeticità dell'atto creativo, ossia una valutazione della I i rie i t à, che la distingua prima da una non-poesia, poi da tutte le altre liricità. Jn questo senso, il critico non conosce per cosi cifre se non l'opera d'arte che esami.na; può disinteressarsi non solo dei sociali o st0rici o letterari concomitanti. ma finanche delle altre opere d'ar• te del poeta stesso. Se è vero, come ci pare con la critica idealistica, che l'opera d'arte è un mondo compiuto, una creazione originale cd autonoma. t. g.uesta anche la spiegazione :1 posteriori della famosa u n i versa J i • 1 ii della poesia, che è la sua ingenuità infinita e la sua pura semp1icità. Ma non è inibito al critico un altro momento ,·alntativo, quello che chiameremo sto r i e o . E:. pur vero che storia dell'arte è storia delle opere d'arte, ma non è meno esatto che questa concezione se fosse meccanica sarcbhc inaccettabile. Fuori di ogni pretesa illuminista di progresso o daniinia• na di evoluzione, bisogna pur ammettere 11ua unità spirituale delle opere d'arte, tutte diverse certo - come assoluta condizione della loro validità - tutte nuove, ma tllt• te vòltc ad un medesimo interesse. Nè te· miamo accuse di contenutismo, quando tra• duciamo questo termine di • interesse • (che è il • sentimento • della estetica idealistica) con l'ahro di vi t a. Anche se accettassimo la presenza di una natura come atto creativo dello spirito. ~mrehbe sempre valida que~ sra posizione della aitica, di volere tessere una sLOria delle opere d'arte come una tra• ma u11itaria di soluzioni della vita. :e: qui che il contenuto, nella sua astratta determinazione isolata e retorica, riappare come sostanza dell'impegno sentimentale, un grado vago e preliminare della forma, un moment~ preistorico dell'attività poetica. Ed è qui che sc-Jturisce la giustificazione deU'indagine storica del critico, che si rivolga - al di 1~ della , forma , , unica, dell'opera - alla sua sostanza sentimentale, persino a quella di opere fallite, quando esse serbino un minimo di interesse psicologico, e insomma umano. (Del resto, mai le storie di estetica prdtica, che è )a critica, si son potute liberare da una valutazione comparativa, appunto assurda dal punto di vista formale, cioè poetico. E cosi la più valida estetica monadistica, che su11e rovine del positivismo asserisce una sua ind.ifferenza per la socialità dei motivi genetici dell'arte, ri- ';,l'nosce una possibilità di storia dell'arte f"me storia della critica, e giunge senza volere ad ammettere che in fondo una storia siffatta è l'analisi degli sta ti d •animo dei poeti, collegati sul nastro comune della storia umana). Erano indispensabli queste premesse, per chiarire a noi stessi la ragione di certe po· lemiche altrui e di certo interesse nostro per due avvenimenti critici di questi ultimi tempi, che piì, sopra abbiamo chiamato due Fondazione Ruffilli - Forlì programmi teatrali. Ogni galantuomo anebl>e potuto rilevarci la frivolezza di una tliscussione, sul piano estetico, di due pro• grammi, teatrali letterari o che aJLro non importa. E, come i programmi son quelli di Diego Fabbri. e di Beniamino lòppolo - Necessità delle intenzioni, sul n. 1 di " Speuacolo • del dicembre 1941 e Nutu sul ,wsti-o tet1tro sul n. 9-10 di • Pattuglia• del luglio-agos10 1942 - il galantuomo di cui si è accennato, potrebbe ironicamente osservarci che Fabbri e lòppolo son autori di 1cat10. e che qui'ld~ i! cn::.,o deve l1111itarsi a valutare le loro opere poetiche, la loro forma conseguita o mancata, ht loro solu- ;,iorw lirica insomma; e non i programmi. Questo (ora è chiaro) non ha più su1sc,, quando lo si voglia aggiogare al collo del· l'esegèta rome mm sua unica po~ibilità di ,ndagine. Q1.1ici interessano non le comme• die di Fabbri o di lòppolo, ma la posizione storica che e implicita nei loro programmi. I quali, magari, e augurabilmente, sono superati o scontati nelle loro opere, e perfino contraddetti dove le individuali ,agioni delJa poesi:l prendono la mano a convinziom intellettuali. Ma che ci interessano come puntualiuazione della nostra civiltà teatra le, e infine come introduzione ad una intelligenza delle loro penonalità, anche se putacaso solo aj fini di un sarcastico rilievo di incoerenza. Diremo anche che nè noi nè i due autori si è parlato di • manifesti •, e noi stessi soltanto di programmi, esclusivamente perchè riteniamo superare certe festose e pubblicitarie denominazioni che son gelos_o retaggio del futurismo marinettiano. E p_nrna di accostarci al nostro argomento, ch1ariremo che tuttavia il discorso ci si è ri• stre110 a Fabl>ri e lòppolo solo per ragioni pratiche di autodelimitazione. Forse alla scelta dei due nomi non è stata estranea la coscienza di una loro dialettica antinomia che è l'ottima cond~zione alla comprensione reciproca. Mentre altri nomi, pur storicamcr1te notevoli e magari statisticamente più accreditati. hanno minore energia critica, come pili fioco segnacolo di esigenze corali. Persino troppo immediata è la consta. razione che i doe programmi impongono a prima vista, diciamo del mero con te n ut i s m o, di Fabbri e del mero formalismo di Jòppolo. Noi stessi, in una breve nota, osservammo a propos~to del secondo come fosse malsicura la posizione quasi retorica cli Jòppolo, quando voleva suggerire la tecnica stessa della creazione teatrale; e di Fabbri 1alvolta si potrebbe dire che il suo contenutismo è addirittura scandaloso. :\fa una pili meditata elaborazione dei loro concetti porta ad avvertire la comunione profonda dei loro interessi. L'antitesi, be• ninleso, resta: ma non come opposizione estetica, piuttosto - assai acuta - come dialettica di soluzioni storiche, incompatibilit:'i assoluta di interpretazione delle vie umane. E sarebbe anche efflIIlero parlare di eticità di un Fabbri o di estetismo d1 un lòppolo; poichè il problema è_ diveno, o meglio è più sottile. Gli elementi "li rileveremo da1J'ana1isi dei rispettivi punti di vista, fatica a cui il critico si dispone sempre con un iniziale fastidio, che è la no4 sralgia della sua interiore intuizione, ma che finisce col dargli una più comprensiva Bozzetto per • Frana allo scalo nord., di Ugo Betti - Realizzato nel Teatro della Università per il Gul Roma - Bozzetto di Ugo Blattler 3

Bozzetto di Ugo BIIHtler • • La Bohème • di Puccini cd u111ana ragione della inlllizione mecleilma. Il Fabbri pone J'accenLO sull'aucsa sociale del poeta, per' affermare che aspet· tarlo ,ignifìca preparargli un clima propizio, Ol5g1 che il teatro ha smarrito la sua concre~ezza. Qui è la sua prima asserzione gratuita (nel senso che è indimostrata), quando asse\'era che • il teatro perde concretezza ogni qual volta perde contatto con lo strato sociale che lo giustifica •, per rincalzare addirittura che • il teatro è, all'origine, come fatto, una questione di classe, o una polemica o una espressione di classe, sempre •. Poi la sua asserzione è temperata dal riconoscimento che per un siffauo teatro debba intendersi • una continua espressione teatrale intorno a quei determinati aspetti delle civiltà che si vivono storicamente •, mentre le • sporadiche • anche se eminenti perso11alità artistiche, contano meno. Comincia una confusione indiavolata, che è poi · una diluizione: ma di questo direm più innanzi. Ora ci preme di giungere al nodo delta tesi di Fabbri: che è questa: è la società a stabilire un teatro, e • la società che deve ~empre poter offrire al poeta un uomo sutfìcientemente vàlido •. Sono poi consuntivi di questa convinzione, gli altri punti della nota: che il teatro è oggi poeticamente nullo appunto per colpa della società, che per que. sto il teatro dovrebbe • crearsi 1a società che gli dèsse degli uomini atti a diventare personaggi •; che il problema a ogni modo non si risolve con originalità tecniche; finalmente che il Teatro deve • prOpor$i delle intenzioni•. quella sopratutto di formarsi in platea un uomo che poi rinascerà personagl(iO sul palco. Alla sua soluzione, con paradossale coraggio, Fabbri dà il nome di • un brutto teatro, ma importante•, espressione che, a leggerla gli idealisti ita Jiani. si sentirebbero morire. Dall'altro lato. c'è lòppolo. Egli centra il suo Teatro, dico meglio la sua poetica teatrale, sul d isso 1v i men t o dei personaggi. Riassumiamo, per chi non abbia seguito le polemiche scoppiate di poi. Egli ama solo un teatro in cui i personaggi cominciano a parlare ed agire • quando già 4 Fondazione Ruffilli -.Forlì sono dissolt' •. Devono essere, inoltre, • inumani e liberi dell'umano ovvio e attuale •. lòppolo nega che ci sia poesia se non • nelle creature e nelle siltlazioni nelle qual il normale è messo al bando•; e vede la storia del teatro come una storia di superamenti di .. \numanità •, attrave1so un vago passaggio dai .. primitivi • ai romantici e da questi agli astrattisti, come poi i s..uoi motivi si definiscono. Dalla socialità educativa di Fabbri all'individualismo evasionista di Iòppo1o c'è una certa distanza. Taluno ha osservato che neppure quello di Jòppolo è individualismo inte11dcnrlosi il suo evasionismo come un esilio dell'umanità, una col1euiva migra• zione ve1so autentici universi, una diserzione dal mondo. Mentre il romantico ignorava la società, l'astrattista l'ha sofferta e se n'è liberato sol perchè se la ricrea, -più ,•era. Fabbri e Iòppolo sono sulla stessa linea, per questo senso che rinnegano J'em• pirica realtà di ciò che meramente è. Ovvio pare al primo come al secondo il dato realista attuale. Ed è sul piano • del cosciente • che lòppolo vuole l'evasione e coscienza è il sottinteso di tutta la- polemica del1":lltro. Perciò emerge chiaro che a nessuno dei due possa muoversi, in generale, l'accusa di ignorare le conquiste - ormai ar. chiviate, ma non per questo meno efficienti - dell'estetica contemporanea. Entrambi intendono, al di là dcli' incauta e-spre-sione verbale. al sentimento-espres- ~ione che il teatro realizza. Ma entrambi. questo innegabilmente, a un certo punto del programma cadono in un equivoco, che l'irritata polemica di critici autorevoli e la enfatici pseudoironia di critici ottusi. han impedito di chiarire pacatamente. A proposito di Diego Fabbri, anzitutto. sia inteso che noi non vogliamo riferire il discòrso ad una discussione dei ,uoi postulati politici. Al critico interessa intendere e non combattere. Diamo per ammesso rhe il teatro sia un fatto di classe come espressione o polemica di classe, e un dato sociale. per non andar più lontano, è lecito di concludere che il nostro teatro non ha poeta e in generale un teatro non può averio, quando 1~ società non ha uomini1 E non può essere il dramma proprio oramma di questa crisi spaventosa, la man - e a n z a d e I p e r s o n a g g i o , ossia delI 1101110? Non ci può essere il dramma, sociale, della vacuità di una Società? Necessaria ~ la in1uiz1one lirica di questo aramma, sfa es30 una oageclia di pieni o di vuoti, uua elefantiasi di 1deah o un deserto di motivi mor.Ìli. .E infatti, Fabbri ha scritto • Paludi •, che è la c.c1.tarsidi un uomo verso il riscatto, attraverso uno liqualliclo vuoto. E' che, come si diceva più sopra, Fabbri cade in 1111 equivoco, quello tradizionale degli esteti socialisti, per dirla approssimativamente. Rileva giustamente i motivi sociali che preesistono nell'uomo ciuadino (ossia storico) all'uomo poeta (ossia assoluto); ma pretende poi ingiustamente che essi molivi sociali debbano accompagnare J"auo creativo e finalizzarlo. Così si finisce ad un'arte II meretrix • dcll'ecclesla sociale; senza contare che Fabbri contorce così bizzan a mente la sua tesi da sospingere logicamente a conclusioni del genere: che per lut la società è creata per il teatro, la morale per l'arte - visto che la sua polemica mira al conseguimento non dell"uomo, ma del personaggio. Il paradosso è evidente. lòppolo non si pone su questo terreno pericoloso. E' più ingenuo, meno critico, doè meno consapevole di rapporti, e il suo problema è l'arte scenica. A suo modo, avverte 11n'esigen1.a cli storicità, dove parla di superamenti che lnollre riferisce a nuclei temporalmente determinati (noi), e che asserisce come conquista non rinnegabile. Ma, esteticamente, si i.rnpiglia in un equivoco ancor più paradossale. Prima di tutto, ci dà il sospetto cli una ingenuità della sua tesi, che si intravede sorta da una urgente constatazione storica, che essendo tutta l'arte contemporanea metafisica, debba essere il teatro astratto. D'accordo, è sospetto non do. cumentabUe, o forse documentabile attraverso fo:-iti indirette, ma qui non lo diamo che come personale intuito. Comunque, se la sua tesi si pone come una rivelazione pretensiosa di universalità, ossia come un atteggiamento critico - già lo scrivemmo - siamo costretti a notare che si tratta di una scoperta annosa. E a che ci vale, e come è concepibile vera, una posizione tritica ormai trentennale che, se fossimo costretti a far nomi, ci riconqurrebbe all'ossessione della infrenabile influenza francese su tutta l'arte nostra di ieri e di oggi? Se invece è un atto di fede del poeta Jòppolo, e di cento poeti come 1ui, allora sl, allora ci sentiamo di accertare anche questa tesi, pur che la poesia le ahbia serbata la fraganza non dell'attualità, ma dell'eternità, anche relativa. Insomma, è intuitivo persino che. là dove la teorica del Fabbri è intrinsecamente atteggiata a un moto colleuivo, e diremmo didascalico nel senso migliore. quella del Iòppolo è solo l'espressione prosastica di una sua libera e individuate visione della vita, come tale incomunicabile sul piano delle mediazioni logiche. ANTONIGOHIRELLI la foto del Balletto Meccanico pubblicata nel numero 2 è di KURT SCHMIDT e non di luigi Veronesi, come erroneamente indicava la didascalia.

LEOPARDI E IL TEATRO pRJMA _gita . in teatro, miei pensieti alla vista d1 un popolo Lmnuhuante ecc., maraviglia che gli scrittori non si infiammino ecc. •: in questo deg1i « Appunti e ricordi II par nascere la singolare avve:ltura del Leopardi col teatro, avventura invero più vagheggiata, in quell'acceso '19 di « passaggio dallo stato antico al moderno•. Leopardi usciva infatti da un tempo di riflessione profonda sopra le cose (son quasi sue parole) testimoniala dalle pagine dello Zibaldone di quell'anno, no:, tullo • filosofico• a prima vista se ricco di autunna1i frutti come • L'Infinito•, « Alla Luna•, il frammento cli Alceta e Melisso; quando tra l'estate e il finire del '19 si accostava a una non peregrina storia d'amore e di morte con la risoluzione nuova (essa sì) di sceneggiarla, di dialogarla, di crearla insomma per il teatro. Della • Telesilla •. si sa, non rimangono che due parti, la prima verseggiata, si può ritenere, in forma pressochè definitiva, l'allra in abbozzo e in velocissimi ap• punti, oscura a ,,oJte, a volte faticosa nelle varianti e in quel continuo tor:1are sul già annotato, in una frequentissima operazione della fantasia e dell'autocritica, sino al • Supplemento generale a tulle le mie carte•, con cui sembra definitivamente declinare l'i:l1cresse per quella materia. Eppure il Leopardi s'era accinto all'opera con una vivacissima disposizione, quasi per un moto polemico e immaginativo insierne, a dar corpo a !,OStanza a una sua • posizione • ancora re. cenlc e programmatica (si pensi al • Di• scorso di un Italiano in1or:10 alla poesia romantica ,. del '18), attuata poi e senza al• cuna momentanea fretta con mirabile coe· renza per tullo il corso dell'opera e in versi e in prosa. Un primo appiglio alla comprensione della • ]'elesilla n ci viene da una notici:la in margine, questa: • Si potrà paragonare la Tclesilla alle pastorali italiane, p. es. al Pastor fido ecc. •; ma tuuo il Preambolo vale a dimostrare la coscienza leopardiana e i 1imiti imposti preventivamente al lavoro, o per dir meglio la direzione di esso e già sul principio una intrinseca valutazione. e Dirò in secondo luogo com'io ho creduto che l'atte:uione e la curiosità degli spettatori si dovesse conservare con quel miserabile mezzo dei nomi e viluppi intri• ca1issimi in luogo della continua viva ed efficace rappresentazione della natura e delle passioni umane. E ho stimato che la semplicità delle azioni drammatiche allora sia biasimevole quando è tutt'uno coll'uniformità e colla noia. Ma la varietà e la efficacia non co:1siste nei laberinti, come debhono credere coloro che non hanno tanto capitale di sentimenti e di affetti da manFondazione Ruffilli - Forlì tener sempre, e rinnovare a ogni tratto la commozione ecc.•. E più oltre: • Dirò pri1nieramente che se vorranno chiamarla tragedia, potra:1110 tanto perchè i poemi secondo me non si definiscono a proporzione della misura, e del numero dei palmi, quanto perchè molle tragedie gfeche sono pili brevi di questa, e nessuna è distribuita in atLi, come credo che sappiano •. Ci siamo a bella posta abbandonati a citare perchè nessuno potrà non rico:1oscere la vitalità di queste idee. specialmente là ove si combattono i • laberinti » in vece di una rappresentaizione della natura, che non ha, si hadi, alcun rappono con _un qualsiasi prenaLUralismo: il Leopardi pensa semmai, è ovvio, alta fedeJtà dei suoi classici e più, c:Ome dichiara, ad u:-i succedersi di passioni e sentimenti. cioè a un perenne • accadere • di stati d'animo. Le pastorali, in tal senso, offrivano esempi nu• triti di poesia • drammatica• (nonostante il parere contrario dei sostenitori - d'ogni epoca - del teatro puro, ossia d'azio;,e; da Virgilio stesso o addirittura Teocrito al Tasso, Guarini ecc., ma co:1 una notevole limitazione d'intendimento (e I nostri veri idillii teocritei non sono nè le egloghe del Sannazaro, n<" ecc. ecc., ma le poesie rusLicali come la Nencia, Cecco da Varlungo nella bella rozzezza e mirabile verità ... • Zibaldone, I, 166, I) onde fu naturale e giusto il riferirne:i.to di De Robertis al Sacchetti, specie s'intende nelle prime scene della « Telesilla • propriamente idilliche e pastorali. Un tono acerbo e forse vagamente iro• nico, lievissimo Non temer 110, che 'I cielo è chiaro, e questo Nuvoletta è legger. sembra riassumere l'intenzione, ma a tratti si amplia in quadro disteso Ecco vien fu.ora il sole E 11 canto degli ticcei si rinnovella: Pur sento a strepitar l'acqua nel fosso. quasi si direbbe contro voglia, in una situa. zione di canto tipicamente leopardiana; meglio corrispondenti all'opposto questi modì rattratti Ecco già 'l nembo allenta Oh fu pur breve cosa. dei quali si ha da vedere come l'estremo di quella vocazione al semplice. • Rappresentalione di oggetti past~rali e campestri che non sono comici per se stessi, in luogo dei plebei tanto cari agl'inglesi e ai tedeschi ii, però annotava nel Preambolo, e dunque ricerca di un equilibrio da risolvere tuuo in virtuosità stilistica: • Forza e verità moderna della passione, per la prima volta unita alla semplicità e agli altri pregi antichi •, elega:1za insomma tale da correggere quanto di grezzo e sia pur naturale vi possa essere, volutamente o no, nel Magnifico, Poliziano o Saccheui. In una distesa regione da Teocrito a Virgilio, attraverso i doviziosi incanti tasseschi, al burlesco, distaccato e in fondo malinconic!J, si doveva pervenire, per dichiarazione stessa del Leo• pardi a i:1dividuare il tono più autentico dcli 'opera; si doveva, e vediamo fin dove è possibile segnare la felicità di una promessa intra\ 1eduta. lmianzi tulio il Leopardi usa palesa. mente di una mediazione di mezzi non sem• pre fusi, un dimesso popolaresco e una, si vorrel>l>e dire, involo~taria grazia IL PRIMO PASTORELLO Deh, lascia ch'io mi provi un'altra volta S'iu ci so cor. L'ALTRO Ti proverai dappresso Quant'<mrai voglia; or è dover ch'iò tragga. J/etli tu, vedi? li col~rito di questa prima sce:,a e di quella seguente ·l'ingresso di Danaino è di infamile meraviglia Un. grillo, un grillo. Oh s'io lo ritrovassi, Che già pronta ho la gabbia è tanto tempo, Nè mai n'ho collo un solo. e qui si scopre 1· accento più sincero e forse più accosto al disegno del poeta: Un fungo, e quivi un altro: oh qumrti funghi UJciti son per lutto appena han vista Quella poca di piova. esclamativo e tutto giocato su candide, Celi• cissime note, fin quasi un certo compiacimento Ecco, io ne veggio, appresso /I quella pianta, un micolin più dietro. ~ una soverchia gracilità, vicina per il vero ad una prosa di cade:1za lamentosa, si vuol dire in senso puerile Lasciatemi filar, ch'io non ho voglia Di gire al sol, però ch'an11era il viso. Ma per chi legga con attenzione è sensibile, ovunque, il luogo di inco:itro (e di frattura?) di quel vago leopardiano con un .e ingenuo II che in fine non apparteneva al poeta, di ben altra arcana semplicità. Si deve dunque concludere per una sia pur gentile sopraffazione della materia o per u:1 gioco, all'opposto, del poeta, una vacanza estrosa e divertita e non priva di certo narcisismo? Una definizione tanto nella pare a noi impossibile, per la lievità stessa dell'argomenLo e dei mezzi e per un inafferrabile tra• scorrere di sorriso che incanta e insieme disorienta. • Nella sce:rn della madre e della pastorella si potranno introdurre le galline• dice nel • Supplemento generale a tutte le mie carte•, ed è significativo e ben lontano dall'estetismo dfuna • Aminla • o • Fil. li in Sciro ", seppure lontanissimo da ogni intenzio:1e realistica, e nell'abbozzo: • Allor . quando si desta J Il gallo e batte l'ali, ecc. J E quando esce dal nido J La rondinella e va per la campagna•, E subito 5

I L Luigi Veronesi - • Ersilia • per il • Re Pastore • di Louis Cortese in una maniera d'accennare: « (qualche l>ella idea del mattino come quella del disegno a penna di mio padre, o della (avola del cacciatore dai tre cani) 11 e un i:lizib di canto: • Oh che bel cielo è questo e che bel giorno•. meno felicemente tentato poi: • Oh che bel sole è questo. e che bel giorno•, e già in tono diverso. Assistiamo, come deuo. a un costante Javoro di tessitura, cui è pure concesso, a traui qualche isolato effeuo e risalto, ma non più: il resto, cioè quanto avrebbe rappresentato l'effetti_va risuhanza poetica dell'opera, la sua finale ar1no·1ia non è possibile neppure immagi11are, e quindi il giudizio, a volerlo anche ad ogni costo. va sostituito con una cauta lcuura, magari - come la nostra - sbriciolata. 6 Fondazione Ruffilli - Forlì Do\·e invece il Leopardi si effuse con una sua patetica abbondanza è nella scena tra Girone e Telesilla, che ha chiaro stacco con le esclamative spezzature dei pastorelli: il primo accordo di Telesilla, subito, apre una misura nuova di poesia. Qui tutto quanto E solilarfo, e non si scopre il fumo Di nessuno abituro, e 11011 si sente Altm suon che de' grilli e delle rane. dove gli t1 affetti • cercano un accordo tra 1111 'ìCmplice discorso e un vero e proprio declamalo. Esemplare è il t1 racconto• di Tclcsilla 11 giorno ch'io ti vidi Nel r-ni;lel de le Suore al torniamento E festi fJ~ove si stupende, e n tanti Perigli ti gittasti. lii/or mi t,rese Pietà di que' travllgli e di que' rischi, A' qt1ali m,rei voluto essere io stessa Con te; nè mai vivendo altra si dolce Tenerezza sentii come quel giorno, ;\fa.ssimamente allor che insanguinato D'un gran colpo ti vidi il braccio manco. Qui gli clementi di prosa sono ben visiLiii (• massimamente lt) cui si contrappone il felice 1novime:Ho ti altra sl dolce - tenereua sentii ». Tutta la lunga, distesa scena consentirebbe una simile analisi; ba- .-,ti rile\':1re in genere l'oscillazione tra Je rncmorie in un modo essenzialmente 1irico e certi sussulti invero melodram1natici Oh cielo oh cielo, a questa colpa quale Necessità ci spinge1 Manca. ••errebl,c da pensare, u:,a applicazione diretta e immediata, capace di raggiungere ìt ~:m,tu calore di fusione, sicchè persiste un senso come di staccato, di arti• s1i<:amcnte arl,i1.rario. E la ragione bisogna forse chiederla a quella intenzionale volontà di fare • semplice", che in un poeta come il nostro ha portato a fare sì semplice, ma su un piano inferiore e al lirico e al clramlllatico.. senza raggiungere altro scopo che la esplicazione di una innegabile quanto vana abilità t1 locale•, suHa pagina. Questo 11011 come condanna, che suonerebbe fino ridicola, ma per segnare, come è possibile, i termi:1i di un'opera, nonostante tutto ben \'i~iva ai nostri interessi. Le continue fratture del verso, vecchio sistema del • genere • drammatico per un certo desiderio c!i • naturale» e per nascondere le monotonie e le cadenze, qui, .fan110 sentire. è vero. il ricordo di ben al· rri t1 enj ambernents •, ma soprattutto, più che per certi effeui sono per una diffusa discorsività. Si ripete insomma il solito cqui\'OCO di usare mezzi considerandoli essi !,lCssi fini, quasi che la poesia drammatica 11011 sia che una applicazione dei versi a determinati argomenti e passioni: simile sospello balenò al Leopardi: • Essa '.la poesia drammatica) è cosa prosaica: i versi \ i sono di forma non di esse:,za, nè le c!;111110 nawra poetica• (Zibaldone, VII, 299). quando oramai non aveva che ritegno per il teatro propriamente detto. lln lettore volto principalmente al t1 fatto• o al più ai se:llimenti potrà trovare imuj)e questo discorso: si porrà altri quesiti e probabilmente arriverà a concludere per una arbitrarietà, o ingenuità, o che altro so, di questa scena d'amore, o di nascita d'amore, comunque di nascita ben prevista. Non vogliamo togliere ad alcuno i suoi dilcui, e così lo lasciamo dire. Siamo certi che direbbe cruna nebulosa atmosfera medioevaleggiante, di una inco:1crctezza dei personaggi o addirittura di una puerilità della favo:a. E da un certo punto di vista non si saprebbe che obiettare: un adulterio con ornamenti pastorali, un duello, una fine trag-ica, tutto può essere con una certa approssima,io:1e previsto fin dall'inizio (e il piccolo meccanismo delle divaganti occai-ioni: i cacciatori ecc.). Ma è appunto in quesw materia così poco avventurosa che si liberano le qualità più caratteristiche del Leopardi, quella sua esitazione di fronte al

peccato, seLe di vivere, e presenlirnc1no angoscioso della vanità dei desideri; e il crollo, dopo il peccato Dunque fu vero infine? ed io peccai? Oh sventurato Ch'io sono; oh fossi stato anzi quel j,"tnto Schiaccitito e stritolato: ogni altro aUanno È meno assai che 'l nulla a petto questo. motivi, insomma dei Canti, o per lo me110 affini a rullo il mondo dei pensieri più sperimentali di quel tempo, già segnato dalla grazia di non sperare più. O a cercare ancora tra i frammenti degli abboz.zi c'è il ca~o di rinvenire u:1a variante: • Oh che bel cielo è questo e che bell'alba •, o un brano tulto bellissimo O sole o ciel sereno o campi o piante Or come a riguardarvi io mi dispero A cagiou ch'io solea sempre allegrarmi Di vostra vista. OT non più certo mai. e di puro suono e senso leopardiano. Ed è significativo che proprio l'ultima immagine di questa tentata tragedia' sia di colore schiettamente lirico, ultima immagine che noi sollecitiamo e a cui vorremmo affi. dare • la parola • di un'opera i:lcompiuta e così pure coerentissima. ... Alla • Telesilla • Leopardi non tornò più, come non era tornato alla • Maria Antonietta • di tre anni avanti. La • maraviglia II di cui aveva serbato memoria tra le impressioni della prima giovinezza s'era andata muLando, come anno per a:100 lo Zibaldone testimoniava, e il teatro viveva ancora nella coscienza di lui con una sorta di ardore risentito, assai simile a quel sentimento •sociale• di cui aveva fatto cenno. • Esso (il genere drammatico) non è u:1'ispirazione, ma un'invenzione; figlio della civiltà, non della natura; poesia per conven• zione ... • (Zib., 15 dicembre 1826, VII, 169, I). E più tardi: • li poeta è spinto a poetare dall'intimo sentimento suo proprio, no:, dagli altrui. Il fingere di avere una passione, un carattere ch'ei non ha (cosa necessaria al drammatico) è cosa alienissima dal poeta; non meno che l'osservazione esatta e paziente de' caraueri e passioni altrui ... • (Zib., 29 agosto 1828, VII, 299). Il concetto leopardia:10 (per cui ad esempio il • Furioso • è una successione di diverse poesie) sembra anticipare alcuni risulL1ti della estetica moderna. li dramma, insomma, presenta la difficoltà essenziale di essere composito e di volere una dispersione di calore poetico, una applicazione non sempre necessaria e rigorosa, ove la lirica (• I lavori di poesia vogliono per natura esser corti , ) conse:1te la più rapida e genuina espressione. Non staremo qui a discutere il pensiero leopardiano e nemmeno tenteremo di riferirlo a questioni e polemiche attuali e urgenti. Leopardi non aveva l'intendimento di abbassare la leueratura drammatica (e quella epica); è be:, chiaro ch'egli voleva solo, cautelandosi dalle lontane tentazioni giovanili. difendere il proprio più sicuro destino poetico. GIANNINGOALLONI Fondazione Ruffilli - Forlì ABBIAMO Jet- t ~ NF u ~ I ~ N Ito, uon moltolem• po fa, su un settima ale di intonazione ci• nematografica una specie di esorlazio• ne ai più noli commediografi italiani affinchè questi cer• chino di rendere ----------------• maggiormente attuale la loro pro- duzione teatrale. E con l'aggettivo attuale l'articolista intendeva tutti quegli esteriori motivi necessariamente conseguenti allo stato di guerra, ma che, per nostra fortuna, non sono la guerra, almeno per i migliori. Perchè, si domandava il summenzionato articolista, non vediamo agire suj nostri palco&cenici uomini materialisticamtmte coscienti della lotta armata che avvampa il mondo, uomini che tangibilmente soffrano delle ristrettezze fisiche imposte dal momento eccezionale? Perchè i personaggi di queste comu1edie non vivono la guerra nel modo più appariscente ed in un certo senso più esemplificativo? Noo vediamo sulle nostre scene soldati in grigioverde, conducenti · di tasti indispettiti ed esosi, signori benpensanti iodafFarrati nel far furn:iooare la propria pila. E cosi via. Sembra infatti, per alcuni, che la guerra debba trovare nei poeti solo rifèrimeoti facili e comuni, che tutti gli altri riferimenti, i quali non ...-estaoo la di...-isa di una quotidiana e superficiale abitudine, non siano validi alla rappre• 1entaziooe del tempo che viviamo. Per simili individui, infatti, la guerra ~ cominciata ad una data fissa e troVa il suo acme giornaliero nei minuti d' attesa per il bollellino ed in quelli di commento alle pubbliche vetture introvabili ed ai filobus slipali ed alla razione del pane o della p881a. Si pensa che •olo pre• 1entaodo sulla scena contadini arricchiti al mercato nero delle uova o salumieri condannati per avere sottratto grasso e lardo al normale consumo si po1sa dare prova di una presenza che non è sofferenza, ma solo cronaca, neppure ricreata nel tentativo di darle un senso ed un significato storici. Del resto è facile notare come molti siano i cronisti di questi· giorni infuocati e d'altra parte come pochi siano gli &torici, coloro che sanno vedere gli avvenimenti con occhi e mente di storici sereni ed equilibrati. Diversamente non potrebbe e&sere: eh~ a que1ta guerra ognuno di noi prende parte • e lo deve sempre più • con animo giustamente partigiano. Non si accorgono però i sopra citati signori che nell' ai:asioso travaglio polemico del nostro teatro e di tutta la nostra arte, già da anni è presente, con una " presenza ,, indiscutibile, la guerra, la lotta. Non si accorl,!ODO che la guerra delle armi non è in fondo che la logica conclusione dell'affanno a-ei migliori ansiosi di una conquista e di una certezza. Ansia che non è sorta ad una data fissa, ansia immanente alle loro azioni ed ai loro più piccoli atti, ansia che trova la sua conclusione " fisica ,, nello scontro di oppo1te forze armate. Di giorno in giorno. sempre più ci convinciamo della inevitabilità di questa guerra come una esasperazione dei principi umani alla ricerca di se stessi e di una loro cbiarifieazione. Di giorno in giorno ci rendiamo conto come i motivi economici e materialistici abbiamo potuto minimamente e come al rivolgimento generale abbiano contribuito in massima parte le aspirazioni sociali, gli umani desideri di un mondo proteso a mete di cui era facile • ed è tuttora facile • sentire la presenza pur nella nebulosa atmosfera. Si combatte per la conquista definitiva ed essenziale di una certezza valida per tutti. Abbiamo bisogno tutti quanti di questa certezza. Nelle opere dei nostri più quotati commediografi • e la parola, non sappiamo il perchè, ci dispiace come se fosse misera ed inadatta• non era difficile notare i motiTi di una simile ambizione umana. Nobile ambizione che ci ha portato alla condanna di false esperienze, alla puntuale cono• sceoza di meschini trafficanti dei nostri 1entimenti più alti. Ricordale, per esempio, PALUDI? E' una delle più recenti affermazioni del teatro noatro. In questa commedia non ci sono in scena nè soldati, nè comari con le forbici io mano per taglia 11 re le teHere annonarie: eppure 1000 poche le commedie che sappiano essere attuali come questa. E' io atto, sia pure scarsamente dichiarata, una polemica sociale non estranea ai motivi ideali suscitatori della guerra. Non vediamo dunque la necessità urgente di portare sulla scena fatti di cronaca. Non è certo la cronaca a rendere attuali i copioni, a far vivere della nostra stessa vita i personaggi. Perchè siamo cosi ottimi1ti che crediamo che tutti • od almeno i migliori • sentano la guerra al di fuori del bollellino delle ore 13 e delle quotidiane serali 1ollecitazioni dei commentatori radiofonici di turno. La guerra è, abhiamo già dello, qualco•a di più. Non è cronaca, ma dramma intimo delle nostre aspirazioni, delle nostre soO'ereuze per giungere alle mete più ambite. E' un qualcosa di più violento dello stesso urto .delle masse armate, dei cannoni arrossati, delle mitragliatrici martellanti con disperazione. Nonostante questo si vuole C'ostituire - e qui ritorniamo all'articolo che ci ha spinto alla presente nota • un comitato per le commedie " attuali ,, o qualcosa di simile. Si vuole portare agli onori di poeta nazionale qualche emulo di For• zano. Anche sul palco1cenico 1i vuole creare, come 1e non ce ne fossero già abbastanza, l'equivoco cinematografico patriottardico di "Bengasi,, e via di seguito. Non ci 1i accorge che le poche commedie degne di questi ultimi anni, di questi ultimi mesi sono molto più attuali di quanto possano sembrare allo spet• tatore frettoloso e &provveduto. Perchè rappresentano i motivi ideali che hanno determinato l'affannosa ansia, l'intimo travaglio, l'estrema inquietudine ehe sfociarono nella lotta dei corpi oltrecbè nella lotta degli spiriti. Non sarà una divisa di soldato male indossata da un personaggio fittizio a rendere attuale un teatro ; ma sarà solo una figura umana, in qualunque modo vestita, in gri1ioverde o no, protagonista della tragedia umana, della crisi morale, della polemica aociale delle quali è denso e saturo il tempo e di cui noi siamo partecipi. WALTERONCHI 7

M ·E M O R E D I UN GRANDE DANZATORE * e !lJta{Jhilew * Da "QUANDO AVEVO FAME,, cl SERGIO LI FAR GENTILE e premuroso M. W. ouvel ci attendeva gia. - " Accomodatevi, signori. Serguei' Pavlovitcb rientra ,,. Sedermi, era facile a dirsi. lo non riuscivo a star fermo. Tremavo visibilmente. Non posso paragonare le sensazioni cbe mi turbavano in quel momento che a quelle del credente nell' istante in cui com pare alla presenza del suo Dio. In un piccolo gruppo che viene verso di noi scorgo un uomo _grande, che mi sembra un colosso, che si avanza agitando un bastone, vestito d'una pelliccia e d'un cappello molle. Vedo brillare nel suo viso rosso, un po' grasso, uno. sguardo carezzevole, misto di vivacità, di dolcezza, di malinconia. Diaghilew sedette accauto a noi, e, dopo qualche istante, il turba,nento eh' io provavo e che mi vietava totalmente di capire chiaramente le sue parole, cedette al senso di luminosità cbe sprigionava dalla sua persona, e alla luce dei suoi occhi così si ugolarmente chiari e giovani. Il suo sguardo vellutato si posa su di me : mi sembra di non poter resistere. H E voi, giovanotto? La sigoora Nijinskaia noo mi ba parlato di voi ,,. lo mi seuto piccolo, debole, le mie labbra aspirano l'aria, sarei capace di mettermi a piangere, quando i miei compagni mi vengono jn ai_uto. - " Oh, lui sa fare q ualu nque cosa ,,. Fu infihe necessario arrivare alla questione finanziaria. Diaghilew allegò a pretesto le difficollà dei tempi per proporci milletrecento lire al mese invece delle milJecinquecento che ci aveva promesso. In compenso ci lasciava gli incassi completi di Varsavia. I miei compagni tentarono di discutere; ma egli ebbe un sorriso di sottile squisitezza ed un gesto vago che troncarono ogni 1uercanteggio. " Fidatevi di me - concluse in tono estremamente signorile .. e con domani partite per MonteCarlo ,,. Intanto egli ci intratteneva ; ci domandava le nostre recenti impressioni. Mentre noi gli parlavamo SERGIO LIFAR Devo dire in quale nuovo stato di entusiasmo mi pose la vista clel Mediterraneo e delle colline costeggianti cli fiori e d' oliveti. Correvo da un finestrino ali' altro, - fino alla di una patria cbe gli era divenuta iuaccessibile, egli restava immobile, il viso oscurato, lo sguardo fisso, lontano, perduto dietro le barriere della frontiera sovietica. Poi nei suoi occhi la luce succedette alla tristezza. La sua voce leggermente lenta e pigra si fece più nitida. - " Ed ora veniamo al lavoro. Si tratta di sbalordire l' Europa. Cosa sapete fare? Voi, ad esempio domanda al più anziano di noi - fate due giri?,, Domande e risposte si precipitano. 8 FondazioneRuffilli- Forlì stazione dove la signora ijinskaia ci attendeva. Immerso in questo sole che mi pareva tropicale, inebriato clall' atmosfera ridente che respiravo, stordito clall' immenso orizzonte e dallo scintillìo del mare che non mi stancavo di ammirare, mi sembrava che la vita clivenisse una p~rpelua festa ; ma poche ore bastarono a disilludermi. Per gli emigrati della Compagnia di Diaghilew, che avevano ormai preso da tempo l'abitudine di vi-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==