Spettacolo : Via Consolare - anno III - n. 2-3 - mar.-apr. 1942

o'• I CINlMAll.AJnon. APIO ~IVIHAMLNHlLDLIC~UPPI iA1Cl1ll UNIVL~11TA~I Fondazione Ruffilli - Forlì 2-3 MA~ZO-AP~l lLA.1'1' ~~LZZO ll~L j

Fondazione Ruffilli - Forlì

j ANNO lii - NUMERO 2-3 jVIA CONSOLARE ~ MARZO-APRILE 1942 - XX IPETTACOLO dliuifJ la mentJ,iledei cù1110,-- teatti -- tadiagu6 d' Jtatia SOMMARIO ARMANDO RAVAGLlOLI: DUF~ ~IODJ DI FAR~; JL 'l'EATRO. GERARDO GUERRIERI Gl,1 ATTOl~I. VA. : DELLA 'L'EA'l'RALl'rÀ. VITO PA DO L F I L'OPERA VIVENTE DI .APPIA. GIUSEPPE A TO ELLI : ADOLF'O APPIA: LA REGIA DEL DRAMMA WAGNERIANO (TtlAD.) GERARDO GUERRIERI: " AN'1'0LOG1A ,, - ([., Tl~A'l'RO SEDONOO KIERKEGAARD. ORA.ZIO COSTA AMLF-"'0 F~ I COM!OI. ENRICO PRAMPOLINI: RIVOLUZIONI ~; Rl•:AZIONI DELLA SCENO~'ECN!OA ITALIANA. ROSARIO ASSUNTO: JN1'ELL1GENZA DEI DI, FILIPPO. RAINER MARIA RILKE: IL " TERZO ,, A TEATRO. LUCIO CHIAVARELLI: VOLTI DI CENERE (1928), MARIO LANDI APPUN'l'L SOL CINEMA. GAETANO LA TERZA: IL 'l'EA'l'IW E I GIOVANI. ALBERTO PERRI I: TEATRI DI REAZIONE. Pt\l.U DI 3 atti di Diego Fabbri DIRETTORE: ARMANDO RAVAGLIOLl LA REDAZIONE i TURI VASILE capo-redattore GIUSEPPE ANTONELLI - DIEGO FABBRI GERARDO GUERRIERI - RUGGERO JACOBBI ALBERTO PERRINI - WALTER RONCHI • STELIO MARTINI. ~~ Fondazione Ruffilli - Forlì DirezioenAemm,•F•:OR-LPialmoliltorio- Tel. 601-8C/CP.8/639-5Redazione: ROMA . ViaCrescen4z3i-oT, el5. 4-293 Abbonamen10 a nuo l. 30• Semestrale l. 18- Unnumero l. 3 • Oislribuzìo0n.1e.E.!SR.om•aVias. Pantale3o1, Dumeodiriare ilTeatro Se fosse occorsa una prova del prevalente carattere coHettivo e sociale che distingue, fra le arti, quella del teatro e se fosse stato necessario toccare cou mano la interdipendenza del teatro cou l' ambiente politico nel <Juale esso si trova a vivere, oggi l'avremmo al solo osservare ciò che è capitato al teatro italiano, durante due annate di guerra. Ero già un fiacco teatro, teatro incerto di se stesso dopo che da alcune parti qualcuno aveva sollevato l'interrogativo se, sul terreno storico e di un unitario svolgimento artistico, si potesse parlare di un teatro italiano ; un teatro dubbioso nella sua strada, costretto dalla travolgente marcia del costume dei tempi nuovi ad affrontare il terreno deHe nuove espressioni d'arte teuen<lo 1>reseute che, se al pittore o al letterato puro è lecito, ed è forse decadeotisticarneute bello, sbagliare, all'uomo di teatro che deve - io certe sue forme • essere anche un organizzatore e un uomo d'affari, ciò è negato; un teatro mancante di quei <1nadri di uomini che garantissero d'una sua finezza di sensibiliiù artistica e di una esatta comprensione di ciò che significa il fenomeno artistico teatrale. Tale teatro, messo di fronte ulla guerra, è preci1>itato in uo coHasso che, per amore di brevità possiamo clefiuire totale, anche se <1ualche buona novità, una confortante esattezza di talune. interpretazioni banno salvato l'onore. Gli uomini di teatro, e per essi in prima linea le compagnie, banno dimostrato di considerarsi in posizione d' attesa di fronte ad una guerra osservata come un fenomeno perturbatore. Non potendo ignora.re il fatto della guerra, si sono limitati ad • incassarlo ,. ; l'organismo, percosso, ba suona to falso e si è ·sprofondato come organismo intellettualmente vitale, limitandosi alla ripresa di un ottocento francese che non tocca se non le patetiche regioni delle nostalgie. Avrebbe potuto sentire la guerra idealmente, cavalleresca1nente, allargandola nelle significazioni in• teriori, cbiari6cando il riposto senso del conflitto che non è una sem1>lice dinamica di egemonie economiche; avrebbe almeno potuto portarsi 1naterialmente sul terreno della pro1,aganda spicciola e non è riuscito neppure a questo. Constatiamo. La col1>a, se col1>a e' è, è di tale natura che si polverizza nel rilancio da mano a mano, nel gioco delle consuetudini acquisite e degli interessi talvolta singolarmente giustificabili. A noi interessa soltanto segnalare, a1>pena che sia possibile, qualche elemento positivo che esieta nella situazione. E siamo lieti di doverlo trovare proprio dalla parte dei giovani. A darne motivo non è soltanto il loro entusiasmo. che potrebbe essere accusato di gratuità • n1a sono i loro concreti apporli ; sono le moltiplican• tesi iniziative degli sperimentali e <tuel loro senso dello spettacolo teatrale che è rigore, acutezza, sensibilità d'interpretazione di testi scelti con l'intendimento e di documentare cultur81mente e di educane a nuove regioni. spirituali. Si t>nÒ dire ormai che ogni città. viva culturalmente abbia giù conosciuto quegli esperimenti e li abbia anche applauditi con consensi che ci permellono di ridere alla faccia di quelli che giurano su certi pretesi gusti del 1mbblico, po ichè il pubblico è disposto ad accéttare tutte le cose intelligenti che gli si presentano. Pensiamo piuttosto che tali tentativi, allo scopo di uscire, come già si è riu• sciti ad uscire <lai filodramn1aticismo, anche dall' aleatorio e dall'occasionale, u1eriterebbero di essere studiati e portati sul terreno della continuità e della rego• larità anche industriale. Basterebbe dotare <1uesti complessi di qualche elemento fisso, di qualche attore 1,rofessionista, più pronto a legare attorno a sè senza propositi di dichiarato mattadorismo, una schiera di giovani da formare. Sarebbe forse quello il primo passo verso le Stabili regionali di Stato, Stabili che si metterebbero subito fuori dalla linea del teatr:o usuale, fatta dei vecchi elementi e <lei vecchio commercio e che demarcherebbero immediatamente due zone, due atmosfere, due ,nodi di fare il teatro. E aHa lunga, con tutti i suoi successi di cassetta, il teatro commerciale do• vrebbe ridursi agli strati meno attenti e sensibili del pubblico; iniziare la via della ritirata che tutti gli organismi esauriti hanno nella storia conosciuto di fronte ai movimenti giovani e innovatori. ARMANDO RAVAGLIOU 1

attoti ANTEFATTO Chi rilegga oggi, a una distanza resa grave dai fatti più che dagli anni, il " Tramonto del grande Attore ,, di Silvio d'Amico (1929), troverd certo alcune cose cambiate nel panorama del teatro italiano: il che potrebbe essere ascritto ad onore di tutti. Sono ad esempio lontani, e fedelmente riportati in quel libro, gli spettacoli copiati alla lettera da teatri di Parigi ; lievemente curiosi l'entusiasmo per Baty, la scoperta di Pitoef, Piscator, dei russi. Candido documento di un' epoca, è un libro che ci lascia una esatta visione di quella che fu l'alba del teatro italiano moderno, fra le trombette degli esibizionismi e l'incolta mediocrità con cui si viveva sulle spalle dei padri. Dal ritratto della Duse a quello di Sainati, sono stampe ottocentesche e in più punti risibili: specchio, sì, dell'epoca che ci ha lasciato un'eredità piena di ipoteche e tutto da rifare. Fu D'Amico, il primo, in nome del teatro universale e di una cultura che il teatro non poteva ignorare, a dar torto al " mattatore ,, , a far pollice verso a quest' ultimo gladiatore malaticcio. Il problema degli attori fu da allora, e rimane, il più pressante,· sopratutto nei riguardi dell'avvento della regìa, la quale, sorta anche qui per una certa tardiva improvvisazione, si trovò il più delle volte impreparata a fronteggiare gli eventi e a imporre una disciplina. Bragaglia, preoccupato del repertorio e dei problemi pratici e teorici del palcoscenico, si disinteressò del problema, e, se è certo che il teatro è il risultato di una moltiplicazione più o meno accorta di fattori fissi, ognuno dei quali è indispensabile a risolvere il problema, i risultat( di Bragaglia furono inferiori in linea assoluta a quelli che il repertorio e l'inconsueta genialità della messinscena avrebbero potuto consentire. Bragaglia in realtà mcmcava di attori coi quali poter imporre un genere di teatro. Il che si può applicare alla condizione del teatro odierno : come avrà osser• vato chi,mque si rechi con passabile frequenza a teatro, e sia costretto a sopportare la recitazione di attori che, posti di fronte a testi e personaggi poetici, o li banalizzano o si regolano come pesci f uor d'acqua. TRADIZIONE Qual' è, di massima, la situazione degli attori nell' odierno teatro drammatico ? Gli attori consumati, ad esempio, si comportano nei riguardi della regìa considerandola un,L passeggera calamità (e bisogna dire che non hanno sempre torto); in genere, guar• dano a ogni tentativo con diffidenza ed incredulità, con l'aria di re spodestati. Tanto che alcuni hanno creduto di stornare il pericolo improvvisandosi registi, 2 FondazioneRuffilli- Forlì .. e calcolando così su forze che essi erano lontani dall'avere. La regìa è oggi di moda. Ma essa, diciamolo francamente, resterà un nome vano finchè non avrà attori, strumenti scenici su cui fare. affidamento. Se i vecchi attori considerano la regìa un male da sopportare, i giovani, partiti da una iniziale, e qualche volta ostentata purezza, non arrivano ad affermare una propria idea della recitazione : sono tra• scinati nel gorgo degli affari, compagnie improvvisate, il cinema, la radio : vengono inghiottiti. C'è chi dà a questo fenomeno il rimedio dell'in• fallibilità della tradizione. (Corrado Pavolini, su Sce• nario, e, in pratica, con la Compagnia dell'Accademia). La Compagnia dell'Accademia _infatti, scioltasi lo scorso anno, è riapparsa quest'anno in vesti mino• rili, con tutrice Laura Adani, e repertorio della mas• sima accessibilità. Il che era necessario, sostiene Pavolini, per " scaf are ,, un pò questi ingenui giovanotti, a cui mancava soprattutto la pratica di scena, quei ferri del mestiere che la nostra bella tradizione sola possiede. Ci si chiede quale sia la tradizione invocata, oggi, per il teatro italiano. Se è vero che in Italia non esiste la tradizione letteraria della Comédie, nè quella spet• tacolare dei grandi maestri russi, nè la tradizione realistica degli attori nordici, l'unica tradizione che possiamo in un certo modo rinvenire è quella, vaga e turbolenta, dell' ingegnaccio, legata alla labilità degli istinti, la gelosa tradizione del sangue per cui attori si nasce, non quella della scuola per cui attori si diventa. Ma è opportuno far notare allora che proprio per liquidare questa annosa tradizione si è creata l'Acca• demia d'Arte Drammatica, e iniziative di vario ge• nere, fra cui non ultimi i teatriguf, sono so1·te in tutta Italia. Al contrario, proprio la defunta Compagnia dell'Accademia ci è parsa un esempio ideale, anche se qualche volta platonico, di teatro. Raramente, ci pare, e nonostante la freddezza della recitazione e l' ingenuità dei caratteri, ci fu dato vedere spettacoli che per ingegnosità, umiltà, cura e felice passione dell' arte potessero stare a pari con quelli di tale scomparsa Compagnia. Pure, appena raggiunto un certo affiatamento e un grado passabile di maturità, essa è stata sciolta. Si sono immesse nel complesso forze estranee, e, peggio, agli antipodi per educazione, ideali, sensibilità. Si è considerata la strada intrapresa con una Compagnia di giovani tropp"o ardua, impossibile ? Ma tutto ciò non ci interessa che per notare come, salve restando le intenzioni di Pavolini, non è certo così· che otterremo gli attori che dappertutto si sente auspicare. Ricaveremo attori consumati nella " vecchia maniera ,, da giovani che di null' altro avrebbero bi-- sogno che dell'ausilio di una disciplina, della severità dello studio e della coscienza. Mai come oggi il teatro appare ars longa e mai come oggi l' unica tradizione possibile è in libri, testi, canovacci remoti. Non, insomma, promiscuità, di attori, o false esperienze di girovaghi, ma forza di intenzioni, vocazione, preparazione nell' isolamento dell' arte.

Arriviamo a immaginare attori cresciuti nella solitudine, addirittura in ,ma serra, salvi da contaminazioni. Gli attori che rappresentano questa cosiddetta tradizione, da Zacconi a Ricci, avranno sempre, da parte nostra, una leale deferenza per il loro lavoro probo ed assiduo ; Dina Galli farà sempre la delizia del signor Colombo (rna anche qui, i tempi sono mutati). Ma ci permettiamo di dire che essi sono ormai, diremo così, superflui agli scopi che ci proponiamo. In realtà non esiste oggi un attore che possa interpretare un Amleto, opptit'e, in un senso più " divertente ,, ma non meno impegnativo, capace di mettere in tavola una pochade francese del genere cli Le Roi, con le squisitezze del caso. In un organismo teatrale di tale debolezza, appare vivo il bisogno, appunto, cli una tradizione (da fare), cli uno stile (da imporsi). Ad aspirazioni collettive cli un genere così importante le vecchie abitudini di una recitazione garibaldina non daranno alcun aiuto. Vorremo proprio fare in eterno, chiediamo a Pavolini, la figura di eterni ama,iti di una fotografia? La tradizione (il gran fi· lone cl'oro, la " matta ,, degli attori incolti ma geniali, dei truculenti divi) è scomparsa, grazie al cielo, e possiamo considerarla smarrita fra le maree e le improvvise rapide di questa burrascosa navigazione. Che potrebbero i nuovi attori apprendere da tui compromesso di tal genere ? I vizi di una recitazione imprecisa e una convenzionale e stucchevole disinvoltura. Alla nuova recitazione che sale oggi i palcoscenici (e che pure è così fredda, schifiltosa e così eccessivamente pudica) occorrono invece, r!JJetiamo, parecchi anni di solitudine. Nè vogliamo trascurare, per la libertà dell' attore, il repertorio. Non è esatto che 1m attore viva a Jè, sia un ente compiuto: esso vive secondo personaggi, e secondo una conseguente realtà che gli è dato rappresentare. Come a furia di strimpellare cattive canzoni ci si guasta la mano, così cattive commedie producono a lungo andare cattivi attori. (Nè attore può essere tale senza la consapevolezza della nobiltà del proprio lavoro, cieli'" utilità,, dei propri personaggi). Il repertorio, oltre a denotare le spinte culturali e s_entimentali di un attore (la Duse, Ruggeri), rappresenta l' unico appoggio, l' u,nica prova con' cui l'attore possa poeticamente vigilarsi. Esso ha perciò una grande influenza : la generazione di attori dannunzievoli che abbiamo fino a ieri sopportato, deriva da testi; la ge• nerazione di attori realistico borghesi che ecc., ci giunge parimenti da testi borghesi. Un tale adeguamento degli attori alle esteriori caratteristiche di un copione è segno della loro resistenza a una universale poesia della incapacità loro a mettere a segno una essenzialità ? Ma forse ci pare (ed è questa la tradizione cli cui parla Pavolini) che ogni generazione di attori, imbevuta di un'epoca, vissuta in una atmosfera, chiusa nel ciclo di esperienze, non sia una entità trasmissibile nei suoi elementi esteriori, nei suoi gesti obbligati. Essi rappresentano una particolarissima civiltà che finisce con loro, e che appunto perchè scomFondazioneRuffilli- Forlì parsa, è irrimediabilmente lontana. Nemmeno Garrick, nemmeno la Duse " dalle belle mani ,, potrebbero ricondurci intatta la loro tradizione. TEATRO DI STATO Questo mito della tradizione è dunqne in contrasto con il teatro semplice e severo che noi, e se non ci inganniamo anche Pavolini, propugniamo, e che il presente organismo teatrale, ormai fiacco e deficiente, è impotente a darci. La compagnia dell'Accademia? Ma non ,ma, bensì tre, quattro, a gara : compagnie originali, indipendenti, con differenti programmi. Ecco nn modo per lasciare, pur nell'ambito di un organismo regolato dallo Stato, libero il gioco dell' iniziativa, la possibilità di scontri f rnttif eri, di un vaglio. · Abbiamo fatto un nome che, appena pronunciato, prod1ice un' impressione generalmente funesta: Teatro di Stato : nome che fa pensare a un rigido monopolio, alla Regìa dei Tabacchi. Osserveremo semplicemente che il Teatro di Molière, di Goldoni, i grandi Teatri italiani del Rinascimento, il Teatro stesso di A risto• fane non erano che forme per{ ezionatissime cli teatro di Stato. Come allora, il Teatro di Stato è l'unico che sia in grado di assicurare l' integrità e la contin.:iità degli spettacoli, la dignità poetica e l' interesse dei testi, la perfezione tecnica delle installazioni, un congruo numero di prove : in sintesi, la possibilità di un lavoro finalmente appassionato e disinteressato. Abolirà il regista-produttore-amministratore-economotrovarobe, per lasciare il direttore dello spettacolo a compiti più ardui ma legittimi (ci dica Pavolini se non è poco). Darà agli attori la sicurezza di un' esistenza (ci sembra capitale, o vogliamo continuare nel vagabondo e romantico dilettantismo dei guitti ?), la possibilità di lavorare serenamente. per l' arte, in complessi originali e affiatati. L' arte dell' attore è oggi, un problema grave con , un pubblico scaltrito dal cinema, ironico, esigente. Nè un teatro si può senza ridicolo concepire privo di attori; disposte le luci, pronte le scene, .sistemato il palcoscenico, entra l'attore a renderlo umano, a J arne un nostro simbolo. GERARDO GUERRIERI Il TeatroNazionaldeeiGUF diretto da Giorgio Venturini ha riunito un'eccezionale compagnia con Maria Melato, Paola Borboni, Letizia Bonini, Salvo Ran .. done, Adolfo Geri, Raffaello Nicoli e altri elementi. Saranno portati in giro da questo complesso, lavori di Carlo Terroni, Stefano Laodi, Tullio Pioelli e I' 0restiade di Eschilo. La trilogia è stata tradotta e ridotta secondo i moderni criteri della messa in scena, da C. V. Lodovici e Stefano Laudi. Intanto nel piccolo Teatro di Via Laura sono stati rappresentati "Moi siamo vivi., di G. Toschi; "Temporale,, di Cim.oaghi; "I denti dell'eremita,, di Carlo Terroni; "Il nuovo cavallo di Troia,, di 1\1. 1\falensardi. L'importanza di questo organismo è vitale per i giovani, e non solo per loro: esso permette infatti che una produzione artistica giovanile sia presa nella maggiore coosideraziooe da parte del pubblico normale. 3 I

della ,, T ~ ATRALITA' ,, Anche questa. parola • teatralità. • ha un ■lgnlfl.cato co■i generloo che dl ■eoolo ln ■eoolo gli uomini ■entono ll bisogno dl appllor.rla a qualoo■ a. dl determinato d■ u■l e oonvenzlonl. E■l■te quindi '!lna. teatralità. dl questo dl quel periodo : ma eal■te sopratut~o una neoeHltà. di e■pre■slone. La teatralità. non è ohe un termine; un astratto; e oome tale non o' lntere■■a. Che valore può dunque avere l'accusa di ateatra.lità. mossa a.i " nostri ,, autori? (Un' accusa ohe parte della. schiera del " teatrali ,, : ossia. da ooloro ohe seguono 1 canoni neoeasarl all' individuazione di teatralità. oggi comunemente intesa se!)ondo le prove del panato). Per Betti Landl Bontempelll Angeli Fabbri Pi• nelll la neoeultà. di e■preBBlone ■upera gli ■oheml oomunl : e dlffl.olle ■i fa al critico la rioeroa di una teatralità.. Tanto, quanto gli si fa facile dinanzi al documenti di una vuota teatralità.: ohe non la■ol travedere alonn a■sunto nuovo alcun impegno poetioo. Ogni dlsouulone cl sembra insomma ■uperata : gli autori ohe abbiamo nominati • il pia.no che indicano • sono Il Teatro Italiano di oggi. Altri restino pure "maestri ,, di una teonioa ohe non dà. più frutti saporosi; parlino ancora un linguaggio ohe non intendiamo: ma sia ohiaro che noi non troveremo in loro una via. E questo sia detto per sempre: ohe al "no■trl,, autori non manca la poBBlbllità. di una teatralità. comunemente intesa ; bensì la disposizione ad usarne. È paolfl.oo ancora ohe teatralità. non è teatro: ma teatro è un esprimersi poetico di umani lntere■■l, guardati attraver■o un movente religioso sociale, e una ragione estetica. VA U. BLAETTLER: II quadro di "Nembo,, di Bontempelli Fondazione Ruffilli - Forlì

e ~ea in ~ ad una ~e (_uumu,wlogiea) L'OPERA VIVENTE DI APPIA Da Rousseau (la 14 Lettre sur les spectucles ,,) a Rolland (" Le thèatre du peuple,,); da Rolla11d ad Appia. Gli errori di Rolland - e forse già di Rousseau - furono tutti dovuti al loro dichiarato e caratteristico e paci6cissimo atecnicismo, alla loro colpevolP. impreparazione. (La tecnica invece, sia pure nella sua rigida specificità teoretica che sarà appunto la generatrice di ogni dato analizzato, si pone inequivocabilmente come precisa condizione cli apertura e, susseguentemente, di manovra - quale ineluttabile antefatto di qualsiasi fat~ artistico e quindi di qualsiasi fatto teatrale). Nè ROusseau nè Rolland furono dunque uomini di teatro; ma grande ed esemplare uomo di teatro è stato invece Adolphe Appia. Alla sua tanto onorevole professi'one applicò eticamente un così rigido controllo, un amore cosi fedele, una spe• rauza così spontanea • pur se risorta da un severissimo rigore di motivi interiori; - nella sua professione giuuse ad una concretezza talmente ideale di effetti e di visioni; da riversare e spandere e colmare, con i suoi preziosi apporti, ogni senso ed ogni humanitas di chi, ancora oggi, tenta ridare al teatro la decisa dignità di una personale e quindi universale esistenza. Ricostruire le fonti dialettiche, e rintracciare i quid psicologici ehe, per una lunga strada. hanno condotto i.I nostro da disanima ad un processo di risultati e ad un quadro d'arrivo, è, come sempre, piuttosto disagevole. Da un lato la fonnazione del nostro sembra proporsi in un generico post-idealismo fine secolo; dall'altro sembra attingere penetrautemente nelle " approssimazioni,, nicciane • o almeno a quan .. to di nicciano può già trovarsi in Wagner - fra Bartmann e Schopenauer : • una diretta affermazione vitalistica. La forza di Appia e la sua tenace volontà di vita • nel risalire dalle forme teatrali alle forme stesse della vita e della socialità, con precisa net• tezza di disegno - espongono un contributo tra i più sinceri, pur se tra i meno osservati, aJle indagini vitalistiche che preoccupavano la cultura tedesca dell 9ante e dopoguerra - da Klages a Simmekl. Appia però' si fa chiudere, dalle stesse proprie categorie, in un facile giro illuministico e russoniano, e non possiede, dei vitalisti. i provvidenziali soucis analitici, il loro acuitissimo senso della singolare ricchezza posseduta (e non con I'" avoir" di Marcel) dalla realtà stessa nelle sue molteplici individuazioni. Più che un lavoro applicato ed un esame circostanziato del dato si riscontrano così nelle poche brevi opere di Appia larFondazione Ruffilli - Forlì ghezza ·e primordialità di evasione, esplorazioni J)Ur nelJa loro sommarietà rigidamente sostenute e definite, slancio gene• roso di affetti. Appia riesce a sostituire, per un certo momento, le peggiori preoccupazioni sistematiche con i procedimenti più sottilmente critici. nascendo serena• mente al teatro ed aJla vita stessa da uua situazione primaria in cui i sensi più vitali· di o~ui realtà vengono dichiarati con un bisogno innato di costruirsi, dal dubbio e dalla insicurezza stessa della propria persona, in una reale personalità : cercando di trovare altre persone unanimamente • ma non multanimamente. Appia difatti uou ha mai potuto raggiungere una multanimità, e diciamo pure, una popolarità; Appia rimane chiuso alla storia (e Piscator vi fu invece aperto - rischiando però di rimanerne un riflesso e non un fattore); Appia, pur concedendo al teatro fiduciosamente l'agio più alto e più intimo, ne astrattizza il corso spezzandolo immaginalivamente invece di compierlo nel suo presente ed attuale realizzarsi. L'opera teatrale di Appia sarà così molto spesso inefficiente, e di conseguenza, sporadica, non "vivente,,. Nonostante questo, ~nolto ricca è la serie dei preziosi chiarimenti che ci pervengono dall' esperienze di Appia. Per pri• ma cosa, come il teatro, almeno nelle sue risultanze artistiche, vada giudicato - ai fini di una critica artistica e a quelli conseguenti di una metafisica dei costumi . solo dai propri movimenti interiori, nella pro• pria psicologia; per quello che ha potuto e saputo ispirare all'animo di uno spelta• tore nel determinarlo eticamente e nel formare da ciò un divenire di spettacolo ; per quello che ba immesso, socialmente, della sua vita, nella vita degli individui, dal collaborare, insomma, degli individui alla vita dello spettacolo : e non da un raffronto, ben poco valido, con una nozio• ne di bello e di bello artistico. Conseguenza naturale, questa, della visione che già il nostro possiede del teatro stesso, come mosso rinnovamento di spazii e di ritmi causato dai corpi umani o dai corpi scenici (e intanto questo idealizzare la consi• derazione dei corpi ~sclude la persona co• me decisione del corpo stesso ed allude alle carenze già prime affiorate) : "l'essere vivente è entrato in possesso della cosa reale,, e l' autore può così attraverso l' at• tore ordinare e rielaborare un tempo ed uno spazio, attuando la propria potenza formale. Eppure, dice il nostro, finora l' attore non ha voluto organicizzare il proprio tempo che mecc~nicamente o arbitrariamente, escludendone in ogni caso qualsiasi di 'ùito dlcmdolii possibilità di regolamentazione e quindi di arte: fino a che: almeno, non lasci regolare il proprio tempo dalla musica, e non lasci posto ali' espressione invece che all' indicazione pura e semplice di quei riferimenti necessari alla comprensione <1uotidiana e cronachistica delle cose . indicazione appunto, della prosa. Quando la battuta recitativa .. ridotta a movimento fisico • ven~ ga regolata dalle battute musicali • solamente allora, dice Appia, l'attore potrà dominare la scena. Soltanto la musica potrà fare esprimere al corpo il sentimento che il corpo ha di sè stesso e del corpo collettivo. Si tenta così di negare la possibilità di un ritmo ideale e pertanto artisticamente motore della recitazione; e che la tecnica • quanto complessa! • della recitazione, e della regia come puro dirigere la recita• zione conduca oltre, infinitamente oltre, i fenomeni esplicativi del discorso; di ne• gare che la recitazioue, allo stesso modo della musica, non risulti di suoni e non possa appunto cadenzare e misurare questi suoni su.Ile corde di un testo oltre le righe, di un testo intimo ed insopprimibile, nu• cleare: il testo psicolog.ico <lell' opera. No-· nosta'nte ogni argomentazione· e di Appia e di molti altri, non si possono evidentemente (e qui parlo di una evidenza rus .. serliana) negare nè arte nè vita alla recitazione, se non altro per i puntuali dati di fatto che essa pone nella cronaca e, se si vuole nella storia. Ogni manifestazione di vita produce un corrispondente riflesso artistico; ogni modo riflesso dl vita è arte, in quanto si impone alla vita e ne costi• tuisce la coscienza e l' unianità; come ci conferma lo stesso Appia, asserendo che lo stile è una modificazione, e che viceversa, ogni modificazione è stile e può di• venire arte. Di tutto qtesto e dall'aver colto fin dal primo momento nell'attore stesso il primus movens deUo spettacolo - Appia con molta sapienza di cose deduce e su~gerisce insistentemente la necessità che la JUusica renda congruo ai propri elementi lo spettacolo, ne favorisca la mobilità ritmica istituendone ed iniziandone appunto musical 4 mente le sinusoidi tonali, accennandone gli accenti, continuamente in funzione della battuta o della composizione volumetrica che vengono ad assumere i corpi nei loro avvenimenti personali, sempre 'in margine al testo, cioè, e quale contributo alla sua indipendenza. 111a il nostro si appoggia beo più profondamente alla musica ed ai suoi processi d'astrazione: fino a chè non giunga ad eliminarne lo stesso testo psicologico ; 5

e a porgere così immediatamente la pericolosa debolezza della sua situazione. Jl suo "sciogliersi nella ritmica,, troppo evi• dentemente tende a rimuovere e rinnegare i nostri motivi vitali, ad eliminarne il seritimento. Finisce col cred;re esauriente la propria esercitazione, ed inutile una nuova libertà di astrazione : l' astrazione essendo appunto iuvece, se vitale, il sentimento per eccellenza di una ideale ambieutabilità; il luogo degli individuati sentimenti. Dice Appia ché sulla scena, musica architettura luce e colore vigono a contatto della vivente mobilità assunta dalla scena, mentre il testo e la pittura significano, danno cioè un contenuto, concedendo allo spettacolo una durata vivente. Anche questa ci sembra a parer nostro, una errata illazione. Il fatto teatrale si concretizza solo come fatto di puro equilibrio, solo come reale accordo fra gli elementi confusi e mescolati - ma sempre connessi - che sono all' interno del fatto stesso. Dalla diversità degli spettacoli potrà certamente originarsi un diverso ordine di quegli elementi; ma questa facoltà, questa pura condizione di possibile 'favore conferma ap• punto quanto categorizzare e gerarchizzare quegli elementi risul~i dommatico e deterioramente idealistico - nel condurci da uria soluzione personale di poetica alla solita risoluzione falsamente universale del1' estetica. Del resto come Appia, e forse meno giustificatamente di Appia, da cin• quanta anni a questa parte tutti gli uomini di teatro hanno voluto dare una particolare soluzione al rapporto esistente tra gli ele• menti dello spettacolo, e tutti, con l' imporre la propria poetica come est~tica, hanno creduto di compiere delle rivoluzioni artistiche (mentre in realtà non hanno fatto che rinunciare ad una propria felicità artistica, pur di giustificarsi teoricamente. Questo errore fu d'altronde la loro condizione di vita). Sprovvisti come erano di argomenti fi. losofìci, non si accorsero e non si accorse neppure Appia, dei limiti di una qualaiasi teoresi, dell'impossibilità, per una teoresi, di valutare una certa determinante situazione personale e temporale. Oltrepas8ata la caratteristica polemica simbolista • wagneriana sul valore raggiunto nel dramma dal1' espressione oltre ogni significato, e la sua conseguente rivendicazione della forma an• che in teatro - rivendicazione allora attuale e vivificatrice; le meditazioni di Appia toc• cano il loro intimo acme nell'identificare a prima ragione dello spettacolo la sua durata vivente, in quanto' ne può unicizzare i frammenti di tempo e ne può personalizzare i momenti, dando così una vita ininterrotta al succedersi delle battute e delle scene, e quindi all'organicizzarsi etesso della recitazione. lo Appia la vita del teatro vige con la durata bergsoniana nell'intuitività del tempo e del tempo musicale. Eppure, oltre al tempo ed allo spazio, altre cale• gorie, le noumeniche, si raffigur~no come esistenti ed efficamente scioglientesi nei desideri e nei sentimenti • cioè l' equivalenza vissuta dei desideri .. che la psiche svolge 6 Fondazione Ruffilli - Forlì in teatro. Solo alla sostanza, alle eidos cioè, può appuntò affidarsi il dramma ; fra le eidos spontaneamente liberate e condotte dalla esistenza alla non esistenza attraverso i propri atteggiamenti etici, sorge il dramma. Il dramma proposto in funzione dell'idea • intesa filosoficamente - ci spiega Appia : ma come può ·appunto questa· idea conciliarsi con una durata vivente? Il tempo di una idea non può essere ohe un tempo singo• lare, ricostruito e così separato da.Il' altro tempo di altre idee, da mancare ormai delle peculiari caratteristiche del tempo stesso come fu finora definito. Ci si scompone quindi in una continua alterità : che è poi ricomposta dal filo del desiderio, dell' inte• resse appassionato, e che appunto raggiunge susseguentemente ogni alterità ed ogni eidos. Lo svolgersi di questi sentimenti è un dramma, un momento storico; un dramma rappresentato sarà così l'occasione del vero dramma : lo scenico, come ambiente e funzionalità dello storico; lo scenico come preparazione, prepararsi ali' azione; e come conclusività. Il dramma • non come testo letterario - ma nella spiegazione filosofica che abbiamo inteso darne - come ritualità mediatrice e in certo senso lenonica ; ma, al tempo stesso, culminante: r acme di ogni situazione - che non è poi il suo svolgersi. Appia cercò di sviluppare un possibile senso di drammatizzazione. Ma • a queste possibilità mancavano le basi di un sicuro dirigersi nella propria azione civile e sociale; una netta coscienza etica. O forse, ne mancavano i tempi. O, meglio ancora, troppo naturalmente, quei tempi mancavano di quella coscienza etica che oggi ci è assolutamente necessaria. Nè di questo si può far colpa ad Appia ed ai tempi di Appia. li nostro è cresciuto con gli unanimisti, nella religione di Walt Wbitman. Da Wagner a Walt Wbitman: procedimento a prima vista brusco e contratto: ma in Appia, e in Dalcroze, dettato dalle ragioni del cuore, da ragioni di fede, e quindi piena• mente fecondo. "'L'arte vivente - dice Ap· pia - è un atteggiamento personale che deve aspirare a divenire comune a tutti ff• Questo fu anche il credo dell' Abbaye de Crétell ; con risultati però spesso dubbiosi, ed ora, nel 1941, riprovevoli. Jules Romains, Georges Duhamel, Jean Richard Bloch, furono appunto tra gli uomini rappresentativi della Francia 1940; e per questa qualità tra i maggiori e più detestati responsabili del disastro. Ma tra la giovane e la vecchia generazione c'era non solo l' incomprensione, ma, qualche volta l'odio. Ai giovani fu imposta la guerra, e i giovani si rifiutarono di obbedire, come voleva Giono. I giovani tenevano all'eticità del proprio costume civile. L'epoca di Appia e degli u• nanimisti - eh' è poi l'epoca di certe classi dirigenti dell'Europa di oggi • manc8va, o voleva mancare, di una preciea nozione del costume e cioè del dovere quotidiano, empirico, strettamente sociale, anzi, civile. Tutta una generazione artistica si è adagiata nel comodo supporre l'arte e la fantasia come forme totali di vita. Solo dopo aver compiuto i propri doveri civili -. che poi da civili si allargano in etici e come etici danno ali' eHistere un legittimo contenuto di esperienze definitive e finali - è permesso ali' uomo godere degli ozi artistici • anche nel loro finalismo. L' ingegno, il talento, iJ genio, come dir si voglia, non hanno e non possono aver nessun conto nel giudizio etico : sopratutto quando ai fini e per il bene dell'uomo urgano beo altri mezzi e ben altre opere. Nei nostri tempi - e non siamo purtroppo in grado di gi.udicare altri tempi, secoli d' oro e via di seguito - il sentimento artistico • di fronte alla spaventosa gravità della situazione - è per sè stesso sconsolatamente insufficiente, denuncia dinanzi ai nostri maggiori compiti umani una insoppriaiibile carenza d'impegno: sopratutto perchè finora individuale, e non personale e popolare. Quando sia popolare allora raggiunge una necessità di ritualità mediatrice : è un dramma, non è più arte, e tanto meno l'arte di Appia, che pure tenta una popolarità. · L'arte tende al limite infinito del dramma e dello storico, appunto nel tentare di acquietarsi una popolarità. Caratteristico degli unanimisti, e con loro di una certa trascorsa civiltà, era il lasciare ai propri priucipii etici un puro compito di deduzione che desse modo di applicarli con infinite possibilità di compromesso ; il non· mettere il proprio atteggiamento a diretto confronto con la penosa problematica dei fatti, con le verità effettuali del momento. Noi ci guardiamo bene, tuttavia, dal condannare un' epoca. Condanniamo soltanto i residui e i veleni di quell'epoca. Del resto Appia fu per molte cose preveggente. Ad Appia si deve il primo tentativo di tecnicizzare strettamente l'arte del teatro, a mezzo di una tecnica strettamente cosciente di esserlo e ben agganciata alla propria poetica. Non giunse Appia a comprendere come la singolarità di una tecnica, attraverso la singolarità di un'arte e di un atteggiamento, potesse risolvere i singoli momenti e loro movimento. Nè a questo, nè a molto altro che abbiamo esposto, nè a tanto, nè a tutto il nostro tempo : ma a tutto il nostro tempo sappiamo non mancherebbe l'assenso di Appia : perchè anche il nostro tempo, nonostante ogni apparenza, procede tenacemente verso il compimento del regno dei fini, verso una possibile felicità : nella stessa strada che fu percorsa da Appia: la strada dei giusti. (Non è lontano il giorno della luce e delle vergini sagge). .. . Il capitolo che facciamo seguire, fu tratto dalla prima opera di Appia "'La mise en ecène du drame Wagnérien ff pubblicata a Parigi nel 1896 : e ci dà una immagine singolarmente viva e precisa del• le prime indagini teoretiche, delle "'origini ff, per così dire, di un teatro cootem• poraneo. VITO PANDOLFI

ADOLFO APPIA LARE6n11ELDRAfflffll WA&nERIAno {Ttacl1i~.ionp, di fJ,iti:i.epprellntonelli} PREFAZIONE Queste pagine sembreranno forse a chi si prenderà la briga. di legger/,e, troppo concise e per conseguenza, data la natura dell'argomento, un po' oscure. Ma non sapendo se avrò un giorno l' occasione di pubblicare la serie assai cospicua di lavori che questo argomento richiede, voglio se non altro darne una specie di sommario. Si comprenderà che qui non si tratta tanto delle opere di Riccardo Wagner in particolare, quanto delle condizioni di equilibrio della forma drammatica da lui creata. Queste condizioni hanno certamente una importanza artistica considerevole, e qitesto saggio ha appunto lo scopo di riassumerle ; ma non è il solo fine che io rni propongo. Che un'arte di un valore così universale non abbia potuto trovare nella attuale cultura i mezzi più ekmentari per vivere e manifestarsi, ecco un sintomo significativo della mancanza assoluta di armonia che riguarda le nostre facoltà recettive di fronie a un'opera d'arte. Perciò, qualsiasi sforzo tentato per ricostituire la naturale e nativa armonia di queste facoltà, acquisterà zm valore assai più profondo di quanto potrebbe sembrare a prima vista : e la mia miica speranza pubblicando questo piccolo studio è pertanto di attirare l'attenzione su queste questioni, e di affrettare così, forse, un saggio pratico di rappresentazione normale, che sarà il solo esempio capace di convincere definitivamente un pubblico intelligente. ADOLFO APP-IA PRELIMINAR.I Wagner ha creato una nuova forma drammatica [Nota - La definizione tedesca è Wort-Tondrama che vuol dire un dramma nel quale il poeta si serve della parola scritta e della nota musicale. Questo tipo di dramma è in qualche modo la sintesi del Wort-drama, cioè dramma parlato, e il Ton-drama, il solo vero dramma musicale, nel quale il poeta assume a suo esclusivo mezzo tecnico la musica, come Beethoven nel Coriolano, nella Sinfonia Terza etc... come Berlioz Fondazione Ruffilli - Forlì nella Sinfonia fantastica, come Liszt nei suoi Poemi sinfonici .. Non sarà mai abbastanza ripetuto però che Wagner protesta formalmente contro questa definizione di " dramma musicale,, attribuito alle sue opere di teatro. La lingua francese non offrendo un equivalente di Wort-Tondrama io suggerirei pertanto " dramma wagneriano ,, oppure dramma del " poète-musicien ,, (1 ), [faccio per mio conto, osservare che parlando di "dramma wagneriano ,, non intendo affatto riferirmi soltanto alle opere di Riccardo Wagner bensì in generale alla nuova forma da lui creata]. Nei suoi scritti teorici egli ha fissati di essa, definitivamente: quelli che potremmo chiamare i limiti astratti. L' applicazione poi che ne ha of: ferta nella sue opere sembra sottintendere come risolte le condizioni rappresentative cioè le condizioni di realizzazione scenica. Ma non è così : e un gran numero di malintesi e di. difficoltà nati nei riguardi di forma d' arte prendono motivo dalla disparità tra i mezzi di cui l'autore s'è servito idealmente nel Testo del dramma e quelli che egli trova nelle condizioni attuali della messinscena per la sua realizzazione. Non parlo inoltre delle nuove esigenze imposte da questo dramma agli interpreti : esse sono evidenti. Vi è dunque una lacuna da colmare. Nondimeno, osservando da vicino, si scopre che si tratta prevalentemente di un coordinamento, e che tutti gli elementi da coordinare sono più o meno suggeriti dal dramma stesso. Le pagine che seguono chiariranno quanto, in queste affermazioni, possa apparire paradossale. Per evitare poi di rammentare troppo spesso il punto di vista da cui mi pongo e per far comprendere certe posizioni polemiche necessariamente rigide nelle dimostrazioni, devo dire che questo punto di vista è esclusivamente quello di " metteur en scène ,, , il quale sebbene realizzi scenicamente l' opera d' arte non determina in alcuna maniera il dato iniziale (il testo), di quest' opera stessa. E' il dramma parlato e non l' opera lirica che deve dare il punto di partenza. Ciò che distingue il dramma wagneriano dal dramma parlato, è la presenza della musica. Senonchè la musica non solamente dà al dramma l'elemento espressivo (vale a dire ne costituisce l' elemeµto espressivo) ma ne fissa altresì, matematicamente, la durata ; si può dunque affermare che dal punto di vista 7

della rappresentazione, la musica è il Tempo ; e con ciò non intendo affatto una " durata nel tempo ,, ma il Tempo stesso. Essa determina per conseguenza le misure : anzitutto le proporzioni coreografiche nel loro svolgimento, poi i movimenti di massa fino ai gesti individuali infine con maggiore o minore urgenza, le proporzioni della scena. Nel dramma parlato è la vita che offre agli interpreti esempi di durata (Tempo) ; l' autore non può stabilire la durata della parola, sebbene egli imponga un minimo di esigenze (2) con la quantità delle battute ; e l' azione drammatica non fissa con la precisione necessaria nè lo svolgimento dei movimenti scenici, nè le proporzioni del " décor ,,. Nel dramma del " poète-musicien,,, al contrario, la durata è rigorosamente stabilita, e stabilita dalla musica che modifica le proporzioni che la vita avrebbe dato. Perchè quasi tutti i nostri gesti accompagnano la parola, oppure sono dalla parola sottintesi ; e alterare la durata di questa è altresì alterare la durata di quelli. Inoltre, la musica, per sua natura ha bisogno di snodarsi, in modo che i movimenti, (3) non suggeriti dalla parola ma dall' esperienza quotidiana di vita, sono ugualmente alterati dalla durata degli sviluppi, indispensabili a questo mezzo espressivo (4), ma estranei (una volta realizzati scenicamente) alla vita drammatica, e in rapporto con essa solo approssimativo, o anche in aperta opposizione (5). Ecco pertanto delle condizioni essenzialmente diverse da quelle del dramma parlato. Se l'opera lirica non avesse reso popolare il mutamento nei riguardi della durata naturale, non sarebbe stato possibile di realizzare in tutto, il dramma wagneriano senza preoccuparsi di questa alterazione fondamentale. Pertanto non sarà più la vita ad offrire agli interpreti esempi di durata e di sviluppo ma la musica che li imporrà direttamente : e questa alterando la durata della parola produrrà le stesse alterazioni nei gesti, nei movimenti, nella scena : lo spettacolo intero si sposta così su un altro piano. Ciò che caratterizza il dramma del " poète-musicien ,, e ne determina l' alto valore, è il mezzo che egli possiede, grazie !llla musica, di esprimere il contrasto interiore, mentre il dramma parlato non può che suggerirlo. Poichè la musica è il Tempo, essa dà al dramma interiore una durata che deve rispondere a uno spettacolo. Nella vita, i moti dell'anima, del corpo, della mente sono simultanei. Se la musica esprimesse i 8 Fondazione Ruffilli - Forlì moti dell' anima con un semplice aumento d' intensità il problema non esisterebbe. Ma non è così ; e ne deriva che all' alteraz~one nella durata della parola si aggiunge questa cosa assai complessa della durata necessaria ali' espressione del dramma interiore. Ora, ammessa la natura speciale della musica, il dramma interno non può trovare negli esempi di durata che la vita offre al dramma parlato, il tempo sufficiente al suo sviluppo (6). E' questo che distingue definitivamente il dramma wagneriano dal dramma parlato dal punto di vista pratico del regista; per non entrare in considerazioni, di un altro ordine, che distinguono le. due forme rifacendosi alla loro origine. Si tratta dunque di un dramma, nel quale tutte le proporzioni di durata e svolgimento che la vita fornisce al dramma parlato sono modificate, e al quale si accompagna una nuova durata; quella del dramma o contrasto interiore, che la vita non può offrirgli (come durata). [Nota: io non intendo affatto sostenere che la musica non possa esprimere simultaneamente il dramma interiore e l' azione rappresentativa: io alludo semplicemente al fatto della durata del dramma interiore, la quale impegna delle scene che essa possa riempire e che può anche rivelarsi in uno spettacolo nudo - spettacolo nel senso necessario al dramma parlato -]. I mezzi di rappresentazione del dramma parlato non gli sarebbero pertanto utili ; e quelli dell' opera lirica, che per la loro durata sarebbero di comodo uso, devono essere scartati ugualmente perchè non sono causati che da un prolungamento arbitrario nel tempo senza necessità drammatica. Ne risulta che la realizzazione scenica del dramma wagneriano deve essere effettuata con i soli elementi offerti dallo stesso dramma wagneriano, e che è la tecnica teatrale (le cui attuali condizioni non prevedono che il dramma parlato e l' opera lirica) la quale deve adattarsi e arricchirsi alle nuove esigenze. Queste esigenze potranno mai essere accertate? No ; perchè esse non dipendono che dal dramma stesso e non si appoggiano nè su una convenzione, come nell' opera lirica, nè sull' imitazione più o meno fedele della vita come nel dramma parlato. Ogni dramma determina pertanto la sua realizzazione scenica, e la tecnica teatrale propriamente detta, qui non serve che come limite elastico e generico. La conclusione inevitabile è che il dramma del " poète-musicien ,, ricade per intero sul suo autore e che questo non può sperare

unitarietà, ·se l'elemento rappresentativo (la regia), del quale in ultima analisi egli fissa rigorosamente le proporzioni (durata) con la musica, non entri nella linea stessa del dramma. È precisamente questo che ha provocat~ grandi difficoltà alla rappresentazione delle opere di Riccardo Wagner, e alla comprensione dell'idea del dramma nuovo di cui sono saggi concreti. Non si può dunque trattare della realizzazione scenica del dramma wagneriano se non teoricamente; poichè le stesse regole della messinscena, per ciascuna opera in particolare sono determinate da questa opera medesima; e la parte astratta di questa teoria che costituisce il nucleo del presente capitolo, è necessariamente esposta per sommi capi, non potendo considerare se non le sole e più generali esigenze di equilibrio, senza neppur tentare nemmeno di darci un oggetto preciso. Quando si parla di spettacolo, si suppone un pubblico. La rappresentazione di un dramma non ha altro scopo se non quello di convincere questo pubblico della realtà (7). della vita che anima questo dramma. Chiunque voglia persuadere qualcuno, dovrà studiare sopratutto gli indizi sulla capacità delle persone cui si rivolge. Così se noi vogliamo convincere il pubblico attuale della realtà del dramma wagneriano quali saranno gli indizi datici dal pubblico a indirizzo del nostro compito? Per prima cosa il pubblico ha il gusto difettoso donde deriva che non reagisce e si abbandona a una fiacca passività : la quale si manifesta· in vari modi : inerzia di fronte alla presentazione di forme nuove, proposte senza una prova sociale ; impotenza a sentire l'intensità della musica, e più di tutto incapacità di armonizzare le parti costitutive del dramma; ovvero, in altri termini, incapacità di concentrazione. Fermiamoci a queste tre manifestazioni psicologiche collettive, che riassumono bene le attuali condizioni. L' inerzia nei confronti delle nuove forme determina la necessità di presentare il dramma al pubblico, sotto un aspetto esteriore che non lasci adito a malintesi. La incapacità a sentire FondazioneRuffilli- Forlì A. APPIA - "La Walkiria,, di Wagner - atto II l' intensità della musica, incapacità che lo paralizza e gli impedisce l' uso degli altri mezzi, obbliga a dare allo spettacolo degli occhi un' intensità corrispondente che permetta allo spettatore di rendersi conto di tutte le sue sensazioni. (8) Quanto all' impotenza alla concentrazione, essa sarà già sensibilmente attenuata se si ·realizzino le due condizioni precedenti ; e quando la concezione rappresentativa sarà equivalente a quella del dramma stesso, lo spettacolo non impegnerà lo spettatore se non per quanto lo spettatore può impegnarsi. Di queste tre condizioni due soltanto dipendono da noi ; la terza (la concezione rappresentati va allineata su quella del dramma stesso) costituisce un problema che solo il drammaturgo _può risolvere. Pertanto è a lui che incombe il dovere del1' equilibrio della sua opera quando sia messa a contatto col pubblico. Attualmente noi non abbiamo altri esempi di dramma wagneriano, se non le stesse opere di Wagner ; e poichè questo terzo limite, di cui stiamo parlando non è stato raggiunto, ne segue che le condizioni presenti del dramma wagneriano non sono affatto quelle necessarie a questa forma d' arte : trattando di essi esempi poi, si è spinti naturalmente a prescindere da queste condizioni necessarie che ci sono sconosciute. Il problema dei metodi da escogitare per convincere il pubblico attuale è dunque doppia9

mente delicato, e questo pubblico ha diritto a tutti i riguardi. Abbiamo detto che la sua impreparazione esige uno stile di rappresentazione che elimini ogni malinteso, e una intensità dello spettacolo che corrisponda all'intensità della musica. Ciò che distingue, da un punto di vista puramente rappresentativo, il dramma wagneriano dal dramma parlato, è che quello invece di accettare la durata dagli esempi della vita, la stabilisce esso stesso rigorosamente : una comprensione puntuale di questo fatto permetterà di fissare, il carattere distintivo per cui non ci saranno pm dubbi sull' esistenza originale del dramm~ così concepito. Da questa visuale più alta, il pericolo dell' opera lirica sparirà completamente. Per quanto riguarda l' intensità dello spettacolo è necessario intendersi sul significato della parola, in sede rappresentativa : si tratta forse pm o meno del gusto nuovo nella scelta dell'apparato decorativo, di una squisita ricerca di colori, di violenza o lirismo nella mimica ecc. ecc. ? Per un dramma che non stabilisce esso stesso la durata (lo svolgimento e le proporzioni), si potrebbe esitare ; per il dramma del " poète-musicien ,,; è in esso medesimo che si deve cercare tutta la vita, è lui che la impone e qualunque intensità venendo dal di fuori resta lettera morta per il pubblico e cessa così di esistere da un punto di vista drammatico. Ne risulta che lamaggiore o minore intensità rappresentativa di questo dramma è in ragione diretta dei rapporti più o meno stretti tra la sua realizzazione scenica e la vita data dal dramma. Per il dramma wagneriano dell' avvenire, la responsabilità sarà del drammaturgo ; attualmente riguarda noi e il peso è grave. Si vede perciò come ci resti una sola condizione teorica che noi avremmo potuto fissare (1) " poète-musicien ,, è intraducibile. Vog1io dire, quando si debba tener presente che l'autore attribuisce al suo binomio un valore di significato, che per noi, data la nostra sintassi letteraria, non può non essere diverso. J n sostanza per Appia il " poète-musicien ,, è l'artista che scrive le parole e la musica del suo dramma. .. (2) Nel senso della durata. (3) Movimenti di gesto, in generale. (4) Cioè il musicalt'. (5) In parole povere dice questo: la musica ha un suo tempo, i gesti e i movimenti dell'azione scenica sono alterati, in rapporto alla natura, da questo tempo, cioè sono serrati o diluiti ; il che scenicamente è poco teatrale. (6) Dice questo in sostanza : che anche il dramma interno ha bisogno di una sua durata (nel senso dello spettacolo) e che que• sta deve essere commisurata non in rapporto agli esempi' che la vita può offrire, nel dramma parlato, ma soltanto in rapporto alla musica. (7) Réalité, si poteva tradurre anche verità ; ma c'era il peFondazioneRuffilli- Forlì prima di ogni applicazione concreta : e questa condizione che bisogna considerare come base della messinscena del dramma wagneriano, è che la vita ci è data esclusivamente dal dramma stesso. (9). Dunque, riassumendo ; la musica essendo il Tempo, stabilisce le proporzioni ; m tal modo che la " mise en scène ,, del dramma wagneriano non ha più bisogno di cercare gli esempi di durata nella vita, ma che tutta la vita si trova determinata rigorosamente dal dramma stesso ; dal che_ nasce che questo dramma ricade per intero sul drammaturgo, il quale creati in qualche modo il Tempo e lo Spazio, e avendo i mezzi per giustificare la sua creazione, diviene più efficace " évocateur ,,_ (10). Le opere. di Riccardo Wagner non soddisfacendo questa esigenza immaginabile, ed essendo le uniche di questa nuova forma drammatica, le condizioni attuali di questa forma d' arte non sono dunque le sue condizioni necessàrie. Se nondimeno si voglia convincere il pubblico della loro originalità, la maniera di presentargliele diviene una questione assai delicata. Ora si scopre che le condizioni imposte da questo pubblico sono in armonia con la condizione fondamentale del dramma wagneriano, il sapere cioè che è solo in quest' ultimo che noi dobbiamo cercare la vita. Così il regista delle opere di Wagner dovrà essere guidato esclusivamente, da tutto ciò che il dramma, che egli vuole rappresentare, gli rivelarà nella sua propria natura. Wagner, dunque, stabilendo le condizioni astratte del suo dramma nè stabilì anche le condizioni rappresentative, poichè esse ci sono necessariamente contenute ; e non è che nell' applicazione concreta da lui datane, che ha trascurato di proseguire intransigentemente verso le conseguenze. ricolo di incorrere in un'attribuzione verista ad A. quando in questo caso la parola ha un significato puramente filosofico di effettualità estetic11. E' da notare tutta.via, e il lettore se ne sarà già accorto, che la polemica verista, la quale negli anni io cui Appia scriveva era nel pieno della sua violenza, affiora continvamente, sia pure come semplice termine di riferimento. (8) Una giustificazione questa, piuttosto gratuita, dei valori visivi dello spettacolo. Eppure, sebbene la dimostrazione non eia matematica e si affidi più che altro ali' accettazione o meno del lettore, vive per noi sopratutto per la riconferma che, questi ultimi quarant'anni di teatro in Europa, hanno dato a queste parole. (9) In riferimento continuo alla vita quotidiana e alle sue generalizzazioni retoriche, che per lo più è alla base di ogni realizzazione scenica, è escluso da Appia, il quale giuBtamente, oppone la necessità di. caratterizzare lo spettacolo soltanto con gJi elementi offerti dal dramma. (10) Qui usato nel senso di regista, per lo meno, ideale. NOTE DEL TRADUTTORE

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==