Via Consolare - anno II - n. 2 - febbraio 1941

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.-EOLARE A us P I e I o Dirella da PAOLO S1LIMBANJ e ARMANDO HAVACI.IOLI SOMMARIO ORIZZONTI ARM. RA V.; Aw~picio della 11um:n aristocrn:ia - DINO DEL BO: Di 1111 dovere d" compiersi - TELESlO MONTESELLO: Reli1<iosi1à .Iella ;_werra - Amo: Vi« l,<1rJw - LUCIA1\/0 DF. ROSA: S1t Gflrcit, I.orca - EZIO COLOMBO: Pama.w - UGO GAL.ETTI: li m<1rc - GIAMBATTISTA VICARI: U11 i11cc11t!io - CARLO LIN,ITI: / .., Ser- ,,, - E"o: Prel.e!!,ti$ull'800 - Rn<lcg: 1lfos1re d.'c,r1e. - Poesie ,di MARIO ÙRTOLAN1, VrrroH10 Bo~1<:t-:1.1.1, A. D..:1.1.A Bu <:H. • CINEMA TEATRO R,WJ/J PAOLO GRASSI: Ribalw -- TURI VASILE: Appunti per un'estetict, rmliofoE nica. - r. r.: Due btuJdiere - VlRGlLI() SA BEL: ComP fallì 1w t.cmat.ivo - BRUNO QUERENA: Fa11ta,ie - GVATOPLUC JEZEK: Curtometrnggi ;,, Boemia - SERGIO C. LUPI: F1111zio11e ,Jel,coru - "Il. MURO", 4•0111111edia di ROBERTO REl3DR<\ • CI.NE1'EA1'ROGUF Srri1ti di A1,DERTO PF.nRINI, LUCIA.No CENTAZZO, ecc. - Leller~ ,folle 100 cimi Rubriche ~ Nvtizie ect. DIREZIONE-AMMINISTRAZIOJ\'E FORLI' PAr.Azzo L1rroH10 C/C posrale 8/6395 MILANO Via Monteverdi, 9 ROMA Via Ora,io, 25 Ahbonamcnlo annuo Sostenjtore e per Emi nenemerilo L. 20,- L.. 30,- r... 100,- 6UF GRUPPIFASCISTIUNIVERITARI FondazioneRuffilli- Forlì della nuova aristocra_zia Se è vero che l'uomo è fatto non per le ore facili della sua vita, ma per le strette tormentose del dolore, per le angoscie che soffocano l'anima ancor prima di schiantare il fisico, ciò è vero anche per i popoli. La pace cne impingua campagne e scrigni è solita ad insinuare nelle anime, accomodanti morali e ad indurre ad euforici stati di impresenza a se stessi; occorre il provvidenziale strattone improvviso - ma non improvviso per i veri saggiatori della vita sociale che lo prevedono e Io preavvertono con l'esattezza dei rabdomanti - che richiami le menti assopite al sentimento della realtà e restituisca l'individuo al pensiero di quella società che egli deve impreziosire col suo contributo, restituisca i popoli alla capacità di sentire per secoli, di provvedere per generazion_i. Belli sono i popoli che, percossi dalla dura sferzata della guerra, si adergono come guizzanti creature nate alla battaglia e alla vittoria, ingigantendo più che la prova si fa aspra. Ancor piu ammirevoli e degni di 1rionfo quei popoli cne non si lasciano soprallare dall'urgere delle cose presenti ed immediate e mantengono capacità di ipotecare l'avvenire con il sicuro auspicio. 1Yessun istante è infatti così propizio alle divinazioni del futuro e alle grandi scelte nella rosa delle soluzioni offerte dalla storia, di questi singolari momenti di tensione nei quali tutti gli imponderabili ·giungono ad anioramento nella vita delle Nazioni e gli argomenti retorici cedono nusere11olmente di fronte alla squillante solennità delle realtà semplici e sode. Naturale quindi che oggi, alla coscienza del popolo italiano si presenti insistente, prima fra le molte interessanti tutto il panorama del futuro, la domanda ·sulla qualità dei giovani. E' domanda che ha in sè implicito tutto il senso del nostro destino, perchè l'Italia di domani sarà quale la faranno i giovani di oggi e in essi possono ugualmente sublimarsi o sommergersi situazioni e propositi che sono stati e sono ragione di vita e di speranza per gli uomini maturi del presente. Ma noi elle già altre volle abbiamo espresso la nostra assoluta fiducia sulla rispondenza del metallo giovanile alla dure+za dei tempi, trasformiamo la domanda in altra di ben più ampio significato e di più decisiva portata : « E' questa l'ora della nuova aristocrazia? ». Cioè : « Dalle masse giovanili di oggi, oltre a scaturire una Nazione consapevole e disciplinata, si affermeranno caratteri, volontà, atmosfere di continuo superamento non confinate in casi limite, sporadici, ma diffuse ad una categoria di individui sufficientemente ampia per fare massa e condurre in avanti verso trascendenti conquiste?». I blasoni fortunosamente approdati al nostro tempo attraverso i marosi di ogni epoca e contro i quali fu ieri di moda appuntare gli strali dell'irrisione non debbono trarre in inganno nessun orecchio sull'esatta portata etimologica della parola aristocrazia, primo termine nella gerarchia dei valori sociali, fermento di ogni iniziativa, stimolo di ogni ripresa in seno alle masse. Diverso il carattere, dissimili gli attributi nei vari tempi, le aristocrazie sempre però si eguagliano nel senso progressivo per cui potrebbe anche essere lecito definirle come propulsori del moto sociale, sensibili antenne pronte a tulle le esperienze dirette e a tutte le audacie per le maggiori conquiste dei popoli. In questo moto progressivo esse debbono essere sostenute da una immensa fede che le aureola quasi di predestinazione, sicchè risulta facile e fondato il favoleggiare di compiacenze divine. Effettivamente il senso del religioso deve essere implicito nelle aristocrazie onde imprimere ai propri movimenti quella stigma di assoluto e di staccato dalle vicende utilitarie che si rende indispensabile a chi persegue grandi imprese. Il fatto di vivere ai vertici sociali ha condotto le minoranze aristocratiche a distinguersi per la delicatezza dei modi e la raffinatezza del sentire sino al punto di rinchiudersi in se stesse in una circonvozione sterile che le ha portate invariabilmente a morte d'inedia, fossero caste di guerrieri o di sacerdoti o di politici. Però rimane che, collaterale al concetto di aristocrazia, risalta quello di sceltezza di modi e di sentimenti, come il marchio di una vocazione ad una umanità meno terra e più spirito di quella che ci è dato normalmente di vivere. Png: 1

La fine delle barriere sociali, l'avvento del popolo al comando parvero avere per sempre chiuso l'epoca delle aristocrazie storiche per avviare il periodo delle aristocrazie ideali, quelle minoranze di pensatori, di idealisti, di potenzia/ori della J1itaindividua/e che sempre si erano agitate in seno alle aristocrazie storiche e le a11eJ1anoalimentale. Ma i giornali, i gruppi finanziari, le coalizioni di interessi politicosociali dovevano ben presto dimostrarsi pù esigenti iJ meno confacenli mecenati degli sparuti organi pensanti umani. E di aristocrazia vivente nelle profonde regioni della vita del nostro popolo e del!' Europa non po/è più parlarsi. Epoca di crisi, èra di assestamento quella che ci ha preceduto da più di un secolo. Era di grandi glorie e di grandi luci, ma èra che è facile vivere in quelle ebbrezze di battaglie e di assalti che distinguono le epoche conquistatrici. Il gesto isolato, il fattore indi11iduale hanno allora virtù decisiva, ma non oggi che si impone una organica fatica costruttrice, oggi che tutto reclama chiarezza di visione e sistematicità di svolgimento. Il nostro tempo è tale che, o si possiede una grande classe dirigente. una classe che sia anche una aristocrazia, o ci si lascia rimorchiare dagli avvenimenti materiali. E' questa l'ora per la aristocrazia ideale di tro11arsi un nuovo conio concreto nel quale foggiarsi forme visibili e organizzative. Non saranno più le vecchie suddivisioni e neanche la gerarchia del denaro; saranno altri concetti di utilità sociale e di sociale importanza quelli che dovranno guidarci in questa individuazione, ma non possiamo impostare il problema del nostro awenire sull'alea delle fluttuanti entità spirituali. Gli attributi aristocratici, coraggio fede· sceltezza di sentire, sono abbondantemente riscontrabili presso quelle minoranze giovanili che oggi seguono il rapidissimo passo degli aPJ1enimentie fungono non da fanterie ma da anticipatori del!' azione. Se esse sapranno rapprendersi in una categoria cosciente delle proprie funzioni sociali, ciò sarà merito loro; ma sarà anche merito degli uomini di oggi che avranno favorito il loro incontro, che ad esse avranno permesso di s11ilupparsi retti/ineamenle, senza falsamenti del carattere, senza gli accomodamenti procurati dalla mira di un rapido cardinalato, che non avranno lodato invano, nè fustigato a torto. La nascita di una nuoi,a aristocrazia è evnto tale che trascende le forze e i vanti di una generazione; richiede l'apporto di tutta una tradizione e il dono ardente di tante decisioni e di infinite speranze. arm. rav. Diugno di Giuseppe Migneco FondazioneRuffilli- Forlì RINCALZI. - Tempo di intimo travaglio per ogni coscienza italiana è questo nel quale la maschia serietà di avvenimenti di guerra aggrava sull'intero popolo la responsabilità della vita nazionale. E noi sentiamo oggi, non per un demagogico senso di accoglimento degli umori del volgo, ma per chiara intelligenz.a politica, che la parola dell'uomo della strada ba oggi un'importanza che non aveva ieri nei giorni della pace. Perchè sentiamo che il destino matura non tanto in superficie e non tanto ali 'esterno, quanto qui, nei meandri ignorati della psiche individuale e della massa. Da essa scaturiranno le forze della ripresa come in essa potrebbe avvenire il collasso; i popoli più maturi e meglio dotati dalla loro tradizione hanno in ciò una garamia evidente. Non basta tuttavia; non basta confidare nel prodigio di una storia che debba perpetuamente ripetersi, nè è sufficiente invocare stelloni. Dobbiamo comprendere la lezione di questa pagina non lieta della nostra nuovissima storia per compenetrarci intimamente della convinzione della necessità di educare non solo genericamente il popolo, ma di mantenere con esso il contatto di un magistero assiduo. Noi che pur giovani dobbiamo, per ora, vivere di riflesso i grandi avvenimenti della guerra, assolviamo il nostro dovere cercandc di arrivare ai gangli interni deJla solidità morale del popolo e, intendendo con ciò di servire la Nazione, osserviamo attentamente avvenimenti e reazioni per apprendere ad essere i migliori uomini di domani. Questo dimostra che, fedeli alle premesse artistiche, non possiamo però dimenticare di vivere nel mondo, anzi cerchiamo di trasfigurare in sostanza lirica ciò che per troppo tempo si volle pragmatisticamente relegare al grigiore delle contingenze e delle necessità materiali da sorvolare. Grande tempo è questo, nonostante le apparenti contrarietà. È il tempo della prova; guai a noi ,;e lo lasciassimo sfuggire senza temprarvi il nostro metallo spirituale. Coloro che pensano, scrivono, agiscono sono i non inutili rincalzi degli eroi che quotidianamente rinnovano la consacrazione di vita e di morte nell'alba di battaglia.

])i un dovere • • da comp1ers1 Non è appena per la ragione di un tempo i cui defìnitivi avvenimenti potevano sicuramente venire previsti attraverso un esame di coscienza meditato ed attento, quanto per un imperativo evidente mai come oggi avv<lrtito e presente, che ciascuno di noi possiede la convinzione assoluta ed efficiente di ,ma formazione e di un preparamento che debbono raggiungere il loro limite ultimo, come un destino al quale ci si2mo incamminati da sempre e che adesso ci accorgiamo quanto ci sia vicino ed attenda; in tal modo riusciamo a superare anche il timore di ricadere in un vano egoismo e che questa attenzione incessante da noi prestata alle parole più vere e più eloquenti si risolva in un 'esclusione avventata di coloro proprio ai quali <'i dobbiamo rivolgere, attraverso una forma che con il rifiuto <li preoccupazioni troppo sterili ed esterne, superi forse anche il dovere di una nostra partecipazione sociale e di un 'offerta completa &gli infiniti bisogni ed attributi di essa. E quindi è in tale alternativa che la radice del problema si mostra. perchè occorre rimediare a questa antitetica tendenza che sembrerebbe opporre noi medesimi agli altri, non affatto cercando rifugio nella piazzalorte di una inutile mediocrità, ma piuttosto ritraendo dall'una e dall'altra i loro positivi elementi e cercando di raggiungere nella maniera ri ù felice e,j insieme più semplice n" conseguirr.ento di quell'umana personalità che rappresenta, all 'inft•ori di qualt!nque devia2ione estremistica, il risultato più grande che ciascuno deve davvero pretendere; in tal modo si riesce a lasciar~ assai dietro di sè le prevenzioni che nascono da una concezione della vita intesa unicamente secondo un sistema di complicati ,rapporti dai quali appare sufficiente riuscire a ritrarre un ingente e privato vantaggio ed invece ci si induce a considerare l'esistenza come un dovere di equilibrio e di sintesi, un compito che se talvolta può apparire insostenibile ed assurdo, permette però se!Ppre di procurarsi soluzioni opportune e !e1~ittime. E del resto ci accorgiamo ben presto del come concorrano agli scopi che ci siamo proposti non appena le nostre diverse e progressive conoscenze, sibbene anche le condizioni che abbiamo noi medesimi stabilìto alla nostra volontà. sulle quali siamo ben consapevoli che la Nazione ha il diritto di pun• tare le SUP, speranze e fare insieme valere le rivendicazioni più grandi; ne nascono i nostri continui riferimenti e la contemporanea ma cosciente libertà di giudizio di una vita che le FondazioneRuffilli- Forlì circostanze hanno reso quanto mai disciplinata e severa, senza che tuttavia venga in noi meno il coraggio di volerla affrontare :nella sua integrale esperienza e di strapparle a poco a poco da.I suo cuore crudele gli insegnamenti più preziosi ed esatti. E dunque cerchiamo di potere in ogni momento chiamare il nostro pensiero e pur anche la nostra fantasia n raccolta, di rinvenire i componenti più segreti e più intimi della nostra ormai formata individualità, l'indirizzo per le nuove esperienze che noi siamo certi ci dovranno domani raggiungere e che quindi aspettiamo con un senso di attesa fiduciosa e paziente; e sentiamo che tra i nostri doveri più urgenti anche questo tra i molti si rinchiude e nasconde. di pensare con molta attenzione a St> stessi. di co,:ipieiare gli sviluppi di una educazione che abbiamo tenuto sempre controllata e presente perchè sapevamo che da essa dipendevano sia la nostra condizione di uomini che i limiti ultimi nei quali le nostre speranze si potevano davvero protendere. E forse taluni di noi hanno già àvuto la constatazione evidente di quanto questa profonda indagine ed attenzione di sè possa giovare ad una 1:lteriore conquista, a collocare il proprio valore di persona sul piano di un immediato rendimento, la cui generosa misura si riflette nell'eplicarsi di ogni azione e di ogni rapporto e ne governa i motivi e le ragioni determinanti; al. !ora la vita s'incorona di una sua speciale bellezza che le proviene dai sacrifici sofferti e che attraverso le prime soddisfazioni raggiunte conduce a rafforzare più ancora la volontà cosi da renderla capa"e di wi tirocinio vastissimo e di assolvere con la sua maggiore sicurezza le responsabilità che ad essa sono state affidate od imposte. Da un punto di vista generale éd astratto può darsi che qualcuno dirà che la nostra cultura sia andata acquistando la figura di un abito che ci vesta con le sue pieghe pesanti e dal quale il nostro spirito dovrebbe assai presto rimanere sopraffatto, addirittura sommerso da questo male funesto che non c: avrebbe più potuto permettere di rinvenire il nostro significato autentico di individui che credono e pensano; fa. ciii accuse, che ci re,:ano une stupore più intenso per la loro esistenza ch<l per i loro improbabili argomenti e che purtroppo manifestano i sintomi di un pericoloso regresso, qualora alla cultura un 'ultima accusa ci si accinga ad ancora rivolgere, incolpa11dola di una nostra spersonalizzazione inesistente, di gettarci al livello di una « internazionale » spirituale qualunque, che invece noi sentiamo immensamente separata e distante. D'altra parte noi siamo convinti della funzione essenziale che I!{cultura va svolgendo nell'epoca presente e cosi com 'è facile riscontrare il suo intervento alle origini del- ! 'attuale conflitto, egualmente ne controlliamo l'influsso anch~ nelle fasi posteriori e salienti, ,riuscendo sopratutto ad affermare che essa avrà un ruolo di estrema importanza anche nel suo dt'finitivo componimento e sugli eventuali indirizzi verso i quali !'Europa si andrà da capo orientando; ed è proprio simile convincimento che esercita sopra di noi una così decisiva influenza da condurci ad aumentare le nostre conoscenze e specialn1ente ad ~ffinare la nostra sensibilità sino al punto di includere in essa anche la guerra che la Nazion~: sta tuttora vivendo e la mission·e ,di civiltà che la storia da secoli le è' venuta assegnando. E·dunque questo pensare a se stessi evade dalla formula di speculazioni egocentriche per adornarsi della più chiara sostanza di un categorico dover':) da compiersi; pensare a se stessi significa in primo luogo porre bene in evidenza quale debba essere la propria posizione nei confronti degli altri, significa l'accumularsi di ·un corredo di cultura e di esperienze che non serva solamente a manovre esibizionistiche ma s'inquadri nella cornice della Nazione operante, significa mettersi in grado al più presto di valutare la porrata degli uomini e degli avvenimenti e di pronunciare nei loro riguardi un obbiettivo e sincero giudizio; per questo noi crediamo di essere massimamente aderenti a questa singolare situazione di un tempo che, incidendo sulle Nazioni con il fenomeno di un3 conflagrazione che interessa l'intero continente, coinvolge nel medesimo istante ar.che gii individui mettendo ad un durissimo vaglio i loro principii e le loro speranze. E dopo tutto, se questo pensare a se stessi può offrire la spiegazione di certe nostre solitudini e di certi nostri prolungati silenzii, esso è però sempre il fattore indiscutibile che ci sospinge a dare un senso alla nostra esistenza un significato al nostro contegno ed agli stessi nostri abbandoni e silenzi; e poichè esso si risolve in una manifestazione relativa alla coscienza di ciascuno di noi, serve insieme a procurare una serie di occasioni reciproche delle quali ci sentiamo i beneficati ed i protagonisti, riuscendo ad ottenere l'instaurazione in noi stessi di quel- ! 'equilibrio e di quella sintesi della cui necessità abbiamo più sopra discorso. Allora si può finalmente arrivare a comprendere quello ché gli antichi poeti esclainavano nei loro così nobili canti, e cioè che nella giovinezza va germogliando « il fiore divir.o del mondo » ; allora sentiamo che il nostro carattere si va fortificando, attraverso quest'esame spietato di noi ed attraverso gli speciali diritti e doveri che ne discendono. DINO DEIL BO Pag. 8

REtlGIOSIT A' DELLAGUERRA Sem~rerà strano che la guerra, con tutti i suoi orrori, possa indurre negli uomini, che vi partecipano, alcunchè di spirituale. Affermiamo subito eh 'è questione d'orientamento interiore, poichè tuttù è spirito, per chi vive spiritualmente, mentre tutto è brutalmente materiale, per chi vive materialmente. Non pretendiamo pertando di cam- · biare le teste e le idee con ciò che andremo dicendo, ci limitiamo ad esporre delle considerazioni, che vanno lette con mclto intelletto, cogliendo soprattutto l'inesprimibile che circola tra le righe. Se taluno troverà motivo di meravigliarsi ed anche di sorridere incredulo. vi sarà certamente anche chi sentirà di essere in presenza come di una luce. Se accadrà che, sia pure pochissimi, comprenderanno, non avremo scritto invano. Ma abbiamo speranze maggiori. Oggi tutti i giovani sono mossi da una grande fede, possiedono il senso della spiritualità inerente alle cose, e noi non scriviamo che per essi. ❖ Su di un punto di capitale importanza si accordano le piìt elevate espressioni del pensiero umano e le religioni d'ogni tempo e d'ogni luoge,. Si tratta di una constatazione di fatto : l'uomo nasce, cresce o muore con la sete inestinguibile di elevare il suo essere verso la maggiore perfezione. Ognuo capisce la vi,rità di questa affermazione e la sente, non tanto come un dovere : « Tu devi essere perfetto », quanto come un desiderio, una aspirazione, la quale. bene spesso. raggiunge in qualcuno l'intensità di un bisogno. Chi, infatti. può dire di vivere senza questo alio ideale? Ogno um,,o ed ogni donna se le> concepisce a suo modo, secondo la sua levatura intellettuale, la sua sensibilità morale e gli scopi che si prefigge r:ella vita. Il banchiere o il religioso, l'industriale o l'operaio, la donna di mondo o il ladro, tutti i tipi sociali anelano alla perfezione della loro vita, trista o santa. volgnre o sublime che sia. Ognuno sente dentro di sè che la propria felicità è connessa con questa perfezione : e pertanto, dentroi I cuore di ognuno, come una potente leva propulsiva, sta il desiderio d'accrescere ed ampliare il proprio essere, in ondate di potenza, che abbraccino un orizzon. te sempre più vasto, sino ad una integrazione totale delle proprie deficienze, sino alla perfezione assoluta, che talora non si osa nemmeno immaginare. Contro quest<'• slancio interiore, di carattere eminentemente radiante, anzi. solare, lotta in noi una forza contraria. freddg, assorbente : l'egoismo. È ovvio però che non si può raggiungere ii pieno sviluppo della propria persona e della propria attività, qualunque essa sia e qualunque scopo essa abbia. se non si sgretola la compaVerli'cchf: "Soldati" I. \ Fondazio~eRuffilli- Forlì gine del proprio essere, dove l'egoismo ne è il cemento. Nec~ssità imprescrittibile : superarsi, andare sempre oltre se stessi. Chi si chiude in sè, dunque, si preclude altresì la possibilità di perfezionarsi e, quindi, di fruire della gioia vitale. Chi è avaro nel prodigare le sue energie di vita, crede di tesaurizzare e non s'accorge che invece si chiude e s'inabissa in uno stagno di acqu{; morte. Superarsi sempre e dovunque! Non è il caso di far qui del 'erudizione per esporre quali religioni e quali fìlosofìe confermano tale verità essenziale. La verirà è vera di per sè e di per sè s'impone, per la sua elementare e intuitiva semplicità. Per chi ha sensiJ bilità interiore, non c'è bisogno di ragioni per suffragarla. Perciò diciamù subito, certi d ·essere compresi, che l'eroismo e il sacrificio personale sono atti capaci di assicurare la massima perfezione e la gioia più pura. Perchè si esalta il snto? Appunto perchè dimostra coi fatti d'essere tanto oltre se stesso da sentire, come sua vita, la vita del suo prossimo. Non solo; ma abbiamo esempi ancor più alti : di comprens;one cosmica; in S. Francesco d'Assisi, per esempio. :La Nazione. dal canto suo, esalta l'eroe, che dà la sua vita per la collettività nazionale; magnifico esempio di superamento e di perfezione. mezzi per superare i limiti della persona e il suo gretto egoismo sono vari. Non è il caso di accennarli tutti. In linea ger.erale si può dire che ogni attività umana, assunta con un appropriato e pertanto incomunicabile atteggiamento. può condurre allo scopo. Ciò che fa idoneo l'atto, qualunque esso sia, è l'orientamento interiore, l'intenzione, che lo guida. Vogliamo qui in modo speciale interessarci di quell'atto umano e cruento che 'è la guerra, per chiarire le possibilità eh 'essa offre in rapporto nl superamento della persona. La guerra è una di quelle necessità, che ogni tanto s'impone come atto risolutivo di situazioni tese e difficili. Come deve comportarsi l'individuo di fronte ad essa perchè essa divenga per lui tramite di valori e di realizzazioni trascendenti e spirituali? Di solito, di fronte ad un atto chi! porta dolore e morte, la persona recalcitra. In questo sgomento della perso-

na abbiamo il segno più evidente, anzi, la certezza che siamo in presenza di una possibilità di carattere trascendente. Dipenderà da noi l'utilizzarla o il lasciarcela sfuggire. Normalmente, qualunque atto, spontaneo o provocato, in cui la persona è in pericolo, è capace, se affrontato attivamente, di liberare e perfezionare .l'uomo. Noi sentiamo, spesso senza rendercene ragione, che nel pericolo alita qualcosa di misterioso e di divino. L'anelito che ci spinge a dare perfezione al nostro essere, ci porta anche verso ciò che è pericoloso. Solo cosl si spiega come la gioventù scherzi di continuo con la morte negli stadi, nelle palestre, su per le pareti rocciose delle Alpi, in cielo con gli aerei, in mare ... Il pacifico cittadino, quello che imborghesisce, trova che i giovani commettono continuamente delle pazzie: egli è ben lontano dal comprendere come. attraverso alle difficoltà superate ed ai pericoli vinti, l'uomo supera interiormente se stesso e raggiunge stati di cosci<"nza sempre più elevati. Questa è l'interpretazione mistica del " vivi pericolosamente » mussoliniano. Ma· l'alpinismo e gli sport in genere, in confronto alla guerra, sono dei surrogati. :La guerra, anche, perchè fenomeno collettivo, quindi grandioso e tellurico. dischiude possibilità insolite a chi sa affrontarle con la giusta attitudine interiore: essa è :mo dei mezzi più potenti atti a dissolvere la persona e liberare la volontà nel mondo dello spirito. La guerra è un atroce pericolo: !a paura squassa e scompiglia tutto I·uomo. mentre l'istinto di conservazione, la bra!lla, la sete violenta della vita, affioca dalle profondità, dove viveva assopita, per ergersi nudamente, crudamente innanzi ai nostri occhi sgomenti. È qui che la volontà, pronta ed audace, PUÒ intervenire per spezzare il vincolo, che la trat:iene soggetta e legata alle condizioni umane di esistenza, appunto mediante il disprezzo eroico della vita. Questo intransigente atteggiamento. alimentato in sè, in ogni momento deila guerra. come una di-- vina fiamma. propizia il senso; anzi, la certezza della propria vita perfetta cd immortale. Non si può spiegare in nessun altro modo l'eroismo guer-riero, che è una follia, considerato dal punto di vista del senso comune. Non si può e non si deve spiegare con la sola passione patriottica, nè con l'odio per i nemici, nè con l'ambizione o la brama di conquista. Queste passioni. se in una certa misura intervengono ad alimentare la fiamma, sono ancora esalazioni h1mose ed impure della persona e rendono spurio l'eroismo, che è offerta pura e gioiosa di sè alla morte, senza passioni e morivi. Quest'attitudine suprema plasma gli eroi d'ogni bat.taglia. Gli è che veramente la guerra, prima di essere un fenomeno collettivo FondazioneRuffilli- Forlì Giacomo Manzù: "Crooefissiorre" del mondo esteriore. deve essere pri-- ma di rut:o un'esperienza interiore. La quale si presenta come una lotta fra due tendenze opposte, di cui I'interiorità è il preferito campo di battaglia. Con altre parole : solo chi ha realizzato in sè una certa dualità, fra la sua volontà e la persona. può sentire il desiderio di risolvere il dissidio con un atto es:remo e definitivo; mentre ·chi vive aderente alla persona non conosce altri modi ed altre possibilità di vita differenti da quelle che gli offre la persona. Quanto più la dualità s'accentua, tanto piì, la volontà trova un limite nella persona imperfetta; nasce allora un disgusto ed uno slancio che si con- . creta nel desiderio ardente di infrangere ogni vincolo, con un atto violento e risolutivo. Chi vive questo tormento e non sa trovarne la soluzione nella vita abituale, sente istintivamente che la guerra è una luminosa possibilità di liberazione spirituale. Crediamo sia il caso di accennare come, in rapporto alla guerra, in un sol punto vengono a risolversi ed a coincidere le aspirazioni del singolo individuo e le esigenze della vita nazionale, fuse e sublimate nella luce di un fine religioso ultraterreno. Questa sintesi, capita bene, appare semplicemente meravigliosa. Assunta interiormente cosl, la guerra si presenta simultaneamente come superamento intimo delle forze oscure, che ostacolano, e vittoria su di sè, la quale può tradursi poi concretamente .::ome vittoria esteriore sui nemici. Solo sulle basi, che abbiamo appena tentato di delineare, si trova il vero coraggio eroico, che purifica. trasfigu • ra e divinizza. Evocato in sè e raggiunto quell0 stato di tensione eroica, fredda e dominata. che non si pub rendere a parole, bisogna coltivarlo e viverlo in tutta !a sua cruda intensità. sino alla fine, senza esitazioni. Chi muore allora s'immortala; chi sopravvive è più che uomo: così il compimento della propria vita è raggiunto per una via insolita, violenta ed atroce. Queste alcune delle ragioni, spesso inconscie od incomprese, per cui si desidera,· si vuole e si grida : " Viva la guerra! ». TELESIO MONTESELLO Pag. !i

VIA LARGA Se .PJ()ini non avl•s_.,e latt·iarn ,li ~è lracc<' più evidenti ,lcllc J)Jlric letlerc, potrebbe èsscr1! IJcn lieto di avere im1>ron1ato al prop:-io i,;;1ile e al proprio spiri10 quC,:,IO scrillore ricco di molivi, cli una :1bbondan1c cultura, di una gnrnde gcncJ·osilà nellr proprie affermazioni. Bargdlini 11011 ;. un i111ita1ore, m:t gli è venul.o folto &pon1~ncm11en1c di ripetere in sè qualt:osa degli orig:inalb,si1ni e personalissimi modi tiri proprio maestro e modello. Non c'è riprlizionc s1t11.:chcvolc, non s:;r;:1zinl.:i dprelia, c'e un tono gcnen·ile rivelatore di urm m('1H:1lità e d1 uu ::uubicnt~, re~i<luo in questi Fcdtlori toscani degli antichi ccn:1coli leonanlinni, foccrbiani e vo1:iani. Se voi:;Jia1110 dare un non1P n (IUC31.olono pos- :,,ia1110 :rn,·he chi.unario polemico, come quel lu dJc non sa .:1ffronlarc bene un ar;.:o111cn10~e non parlcndo lanti.1 in resta con• lrù ui~ i11nna;;i11ario opposilorc, che non ~:1 descrivere se non coll';msilio dei conlrari, per cui ,.. it1 che un lavoro pica\) di 111osaico o <l'af'qucrcllo ne vien sempre fuori una sn11!urn a lullo londo, roccios.i, michelangiole!-;!C:t. Gli cggcllivi non sono fuori posto anche per il libro di Il:1rgclli11i, un libro rompromcllenlc, che piglia 11osizionc sia nelle inlcrprclazioni ;.1rti5tid1e •·hc in quelle umane .-lei pi Il ori presentai i. Poi(·bè in CJUCSla Via Larga, 1a contrada medicea~ si muove la folla ar1is1ica dcli.i Firenze (jua1troi·e11le:sc.i, d1iHnunentc interpretata nei suoi r-ignificali politici e spiriluali. Tra la foll.i ;1lcune figure di prot.1gonisti assurte a significazioni di atteggiamenti gcncr;.di. li Jibro non è di lccnit.·a pillori,·a, nè di ~lori:1 dcll'arlc. 11 Bargc1Dipinto di Giuseppe Migneco li11i considera prima, nelJa gerarchia elci v:,lori elerni, la vira. "la sostanza morale di ogni uomo e poi l'arte sua, espressione del suo dramma interiore. Quindi questi tlebhono essere considerati ritratti cli grandi uomini, nei quali gius1ame111e lu narrazione dclrauivitit artistica occupa Ja parte maggiore dello sviluppo. l11evi1;.1bile perciò che riescano meglio all'autore quei ritratti che più gli parlano umanamente, coi c1uali egli puf, avere maggiori assonanze intime, a prescindere dai valori c1efiniti dalla trilica d'arte. Il Beato Angelico gli ispira pertanto ]e J)~ginc meglio riusritc, per la comurrnoza cli allrazioni ascetiche; la figu. ra del frale ne esce altissima e ric::a di poetiche vibrazioni. Per la su:1 tempra umana frondosa e appassionata anche ]'anima del Li1>pi doveva riuscire nella :1.H'a1tenzionl! dell'autore che (liSappro\'a in ustrntto e parteggia in concreto per il clipinlorc liciFra tanto impe, versare, sul nostro mercato librario, di libri stranieri in babc1'ica promiscuità di valori, la gratitudine va a chi, senza curarsi del fattore successo. offre ad una esigua classe di lettori le traduzioni dei testi più rappresentativi della poesia contemporanea. Lavori rischiosi, in cui generalmente si procede seguendo il filo instabile degli equilibri : ma nessuna proposta per la risoluzione del problema della traduzione. Ci troviamo di fronte a versioni più che a traduzioni, ·se a traduzione si vuole ancora attribuire quel significato dignitoso di opera d'arte integralmente rivissuta. Un tentativo assolutamente grammaticale per esempio è quello operato da Carlo Bo su una scelta di poesie di Federico Garcia Lorca (Guanda, 1940). rese in italiano ad litteram. assente ogni più modesto proponimento di versificazione o abbozzo di ritmo. A che gioverà riprodurre i primi versi della Romanza della Guardia Civile. con Los caballos negros son. Las herraduras son negras. I cavalli neri sono. I ferri sono neri. riducendo in tal modo i simboli lirici a scheletri immobilizzati dopo lo scadimento deli'a loro precipu., funzione? Avrà, si. indubbiamente la sua importanza la materia poetica di Garcia Lorca, con i suoi improvvisi e duri trapassi, col suo discorrere illogico e non vincolato a nessuna plausibile apparenza di svolgimento. ma una traduzione, ad ogni modo, a null'altro avrà ai;prodato che a illuminarci con violenza quel! 'apparato di miti e ricercate analogie che appesantisce questa poesia fino a soffocarla. La notte sprona i suoi fianchi neri piantandosi stelle. Non si negano certi effetti, in gran parte esteriori, come questi : Vivo eri. Dio mio. nell'ostensorio. Trafitto da tuo padre con aghi di fuoco. Battendo come il povero cuore della rana che i medici mettono nel fiasco di vetro. Altrove: Le sue cosce mi sfuggivano come pesci sorpresi metà piene di brace metà piene di freddo. le prime "donne" della nostra rradizione pittorica. E così Andrea del Caslagno violento e rugoso slag.lia sui conlemporanei con la statura e la sagoma rabbiosa dei caslagni sbattuti dalle bufere d' A()pennino. Dobbiamo invece dire che la figura di P,10Jo Uccello è uscita un po' stilizzata, più formale e meno materiatu, dalle mani del ri1ra1tis1a e che Sandro Bonicelli efebico è frigido rimane lontano, pretesto di un penso calligrafico? Il comp1csso lJtrn(lro dell'opera è comunque armonico in virtù dei richiami e dei Jegruucnti (·he, tesi da capitolo a c;.11>itolo, offrono Ja visione complessa ed evidente dello :,,fondo slorico e <lcll'ambienlc <li ci- ,•iltà nel quale i grandi ritrattisti non sono spersi personaggi, sihbene campioni ncres• sari di un mondo più armonioso e più uma• no del nostro. Arra Ma non di rado i limiti vengono sorpassati a danno del buon gusto : Solo tu. Sacramemo, manometro che salvi cuori lanciati a cinquecento ali 'ora. Noi conveniamo con Carlo Bo quando ci attesta che « at' di là di questa violenza di contrasti e 'è un vero disegno poetico, non solo la frequenza di una natura ma un lavoro di deposito, un riconoscimento portato nell'interno di ogni motivo d'ogni frase scontati in movimento perenne di poesia "· Tuttavia la sua traduzione non è valida a documentarci tutto questo, e nemmeno ,·iesce a indicarci una via di riconoscimento. Un solo atteggiamento di Garcia Lorca è riuscito a non confondersi e a reggersi anzi in tutta la sua forza : quella di poeta radicalmente spagnolo in ogni suo motivo e occasione. Se nelle Odi più recenti, se in quell'affannosa New York, scritta come sotto la presenza sonora di un 'infernale officina, in un desiderio iroso di trionfi di cose e uomini e bestie finat'mente di terra e carne. è chiara nel poeta una evoluzione, noi preferiamo il Garcia delle prime romanze e .delle brevi canzoni : Quando morirò seppellitemi con la mia chitarra sotto l'arena. Quando morirò fra gli arane: e l'erba buona con tutte le sue verbali inconsistenze di ritornelli intraducibili. E rimanga questo li suo insegnamento. Chè indagare in profondità nel testo offertoci da questo poeta, non troveremmo che una desolata ingenuità. Quella ingenuità derivata dal non a,·er affrontato i misteri tiella vita e della morte. eterni moventi d~ogni lirica grande. ma dal! 'averli sfiorati e tentati invano con movenze di danza. Cosi che nel Lamento per Ignazio Sanchez, per la desolazione della morte. 3\'rà parole di elementare stupore : Non ti conosce il dorso della pietra. nè il raso nero dove ti distruggi. Non ti conosce il tuo muto ticordo perchè tu sei morto per sempre. E gli riuscirà. per un minuto soltanto di trovare quell'aderenza a sè stesso che è terribilmente lontana dalla sua poesia. LUCIANO DE ROSA

Un narratore giovane verso cui la critica potrebbe volgersi con risultati positivi, è P. A. Quarantotti Gambini. La sua permanenza ai margini della notorietà non trova giustificazionenel suo temperamento schivo ed appartato, e neppure nella sottigliezza dell'opera [un libro di raccont! e un romanzo]. E' esatto invece affermare subito ch'egli - trentenne - ha diritto d'essere posto nella ristretta cerchia dei più espressivi narratori d'oggi. Forse, a discolpa della critica maggiorente, è da notare la nessuna pubblicità data all'edizione dei libri suoi. [Ad ogni modo Garzanti ha in questi giorni ripresentato il romanzo « La rosa rossa » nella collezione dei « Sempre verdi "]. Giova entrar subito nel vivo, prendendo avvio da\ tre lunghi racconti « l nostri simili " apparsi nel I932. V'è ovunque diffusa una fatalità avversa contro cui i protagonisti s'adoperano per uscirne a fronte alta. Questa lotta portata subito dallo scrittore in un clima tragico assume proporzioni d'una potenza tanto evidente da imporsi su tutti i ricordi libreschi del lettore, anche provveduto. Dei tre racconti « La casa del melagrano i, val meglio a documentare le qualità del Q. Gambini. Mi ricordo che non molto tempo fa un suo conterraneo [Enrico Morovich 7. accennandomi alla narrativa d'oggi, mi scriveva del Q. Gambini: « è uno scrittore di prima qualità; il primo, a mio giudizio, della Venezia Giulia ». L'elogio, anche se confidenziale. può quasi prendere il crisma critico. Basta l'introduzione del racconto [« La casa del melagrano ,,7 per tastare la temperatura sanguigna del narratore : una atmosfera tanto drammatica provocata da una prosa metallica, eppur netta e pastosa! Non ci s'avvede subito del procedimento tecnico della sua sintassi, dal momento che - anche il critico scaltrito - dimentica la sua presunzione analizzatrice e si trova l'animo trasportato dall'onda emotiva. E' invalsa l'abitudine - e si potrebbe senza malevolenza definir pessima - di introdurre, nei racconti. il fatto con una prosa mitragliata da punti fermi, che vorrebbe in qualche modo - quasi onomatopeicamente - offrire il flusso concitato della tragedia. Se « maniera" vi fu nociva, quest'è oltre tutto ingenua; giacchè il periodo, scheggiato a bell'a posta, punge la sensibilità del lettore recandogli non poca noia. Questo per dire quanto il Q. Gambini - all'epoca del racconto ('32) giovanissimo - si presenti subito come narratore fornito. senza alcun rinforzo - eppur giustificabilissimoa quell'età - di mezzi occasionali ed esteriori. La narrazione si appiana davanti all'occhio suasiva e forte, senza mai rompere il connubio mente-cuore del lettore con qualche diffic-oltàlessicale. Si ponga attenzione a questo brano, nient'affatto eccellente sugli altri, tolto a caso, per indicare la bontà della narrativa del Q. Gambini. Due prigionieri di guerra fuggono da un campo di concentramento in Russia. I cosacchi, di guardia, li insei:,uono,e mentr'essi guadano un fiume, ecco: « - Ah! Aiutami! - « L'hanno colpito e perde sangue ", pensai volgendomi. Più che vederlo lo sentii annaspare verso di me. Mi scostai allora con una bracciata : « Se mi lascio afferrare trae a fondo me pure " : - Subito! - risposi, e toccai terra. Dalla riva scrutai nel buio per FondazioneRuffilli- Forlì Giaconu, Manzù.: "Ritratto di signora" (particolare) trarlo in salvo, quando mi gelò un lamento. - Mamma! - Alla mia sinistra, perchè la corrente aveva spinto ancora più in giù il suo corpo dissanguato, traendo la nuca indietro e rialzando fuor d'acqua il mento, lo intravidi come se a quel modo volesse ritardare la propria perdita. Serrai gli occhi. Quando li riapersi, l'acqua si richiudeva con un gorgoglio lieve "· Il racconto, imperniato sul ritorno alla propria casa di questo ex-prigioniero, si dolcifica poi coll'apparizione dell'elemento sensuale. Carnale si potrebbe addirittura definire, chè l'ambiguità deila bella e giovane Luisa fa pensare - senza tuttavia che l'autore si soffermi minuzioso - a situazioni per nulla lecite o perlomeno giustificabili con l'esuberanza giovanile. Eppure, quantunque la passione sensuale sia la tiranna del protagonista. l'erotismo del Q. Gambini non è fine a se stesso. Appare piuttosto un mezzo col quale l'autore rappresenta il caso particolare d'un'anima, verso cui - a conti fatti - soltanto converge l'interessamento intero dello scrittore. Che dell'elemento erotico il Q. Gambini non si valga quale allettamento esteriore, lo testimoniano la cura e la finezza con cui un intreccio tanto torbido viene trattato. In fondo è la concitazione drammatica, attraverso cui il protagonista cerca svincolarsi dalla tenaglia amorosa, che occupa la mente del lettore. La fine poi taglia il filo quando ormai è teso sì da dare un fremito per l'imminente rottura. Invece il pericolo sfuma, elegantemente risolto dal Q. Gambini con una interruzione assai allusiva. P1ig. 7

A San flemPtrio, le umule · ombre dei cipressi posavww sull'erba, a pieno respiro; sul prato, levati dai grilli, sottili. fantasmi tagliati nel latteo chiarore lunare. Si risolveva a vivere, finalniente, le• prigw11iern delle vitalbe, lei fì.gurina di fanciulla scolpita sull'orlo del pozzo. Si,pino sul prnto, , vicino vici,w ad un colloquio cl'i11sctti, in attcs<L: Titmiw s<Lrebbesces<L <t trcisfonuarmi ( io lo sapevo}: '' mi pia,eerebbe, dicevo, mi piacerebbe in un ra,nctto d/ortica ... " ./l'lt, avevo lei luna 11emic<L: la s,w luce sgome11t<L, lci sua presenza soffice come 11.iiabugi<i. VITTORIO BONICEULl Le capacità narrative del Q. Gambini sono confermate dal romanzo « La rosa rossa"· Tutt'altra la trama, - direi quasi - tutt'altro lo spirito. Un libro che di primo acchito parrebbe cinereo e faticoso, si mostra poi come un geniale caso di poesia narrativa. Manca l'azione · drammatica ; e la trama - colata a lambicco - è una ragna sottile sottile, insufficiente a qualsiasi riparo. S'aggiungano questi due particolari: i protagonisti son tutti vecchi (oltre i sessant'anni); da sfonda ai loro movimenti bastano le stanze di una vecchia casa, in una cittadina istriana di provincia. Malgrado le premesse, il romanzo, dopo le prime pagine alquanto tarde, aèquista un proprio tono, si crea una propria atmosfera. I caratteri, ben definiti psicologicamente, prendono evidenza poetica. E, in fondo, il romanzo è tutto una evocazione poetica; così armoniosa però, così dosata da indurre meravigliati a pensare all'età dell'autore. Qua e là si sfrangia qualche maroso realistico [la visita del dottor Rascovich al conte Paolo morto, certi primi piani del duetto Ines-Piero ecc.], ma vien fatto di prendere questi scorci del Q. Gambini a sostegno della tesi che quando la realtà non è una « maniera » letteraria, ma esatta rappresentazione del « vero " umano, diventa di per sè materia di poesia. · S'è così visto il Q. Gambini impegnato - con due soli libri - in due diversi tentativi d'arte. Diversi forse più dal lato esteriore, giacchè la prosa de « La casa del melagrano » trae efficacia dalla stessa compattezza e chiarità di quella, de « La rosa rossa ». L'angolo .visuale è quasi uguale, volendo sempre il Q. Gambini sull'anima dei propri personaggi imbastire il proprio processo letterario. Pure, a voler colla mente richiamare il mondo di quelle due opere, insistito e preponderante si para innanzi quello de « La casa del melagrano ». Il Q. Gambini dall'angoscia di difficili posizioni sensuali trae sangue per la sua circolazione narrativa, talchè risulta facile intendere come la sua personalità qui pigli stacco superiore. Al qual proposito non si può non andare festevoli incontro ad un racconto [di 36 pagg. J apparso di questi giorni su « Letteratura " di Firenze. Fondaziorièg-Ruffi-llFi orlì. Al ritorno i loro respiri eruno forl,i, Si <u.ldor111entòsul prnlo aspettando che <LSV<!gliarlo ve,ii.,se fo sposa. (A lui molto pincew caniniinare nei etunpi.) Sereno era il sun viso; e le sue nu1ni stavuno nell'erba iunida. Scorrevano nelle sue vene l'immenso cielo e le stelle. Poi la sposa gli venne a dormire vicino; e in sogno sentirouo i loro pcissi conte se canuninassero su. foglie. ( Anche a lei m.olt;o piaceva C<tnuninare nei cani pi.) Al ritorno i loro respiri erano forti, e la uM te si gonfi.i, di fruscii .. MARIO ORTOLANI « Le trincee » è permeato della stessa atmosfera de « La casa del melagrano ». E questa atmosfera non è solamente data dalla sensualità che fiorisce carnosa lungo la distesa delle pagine, piuttosto è l'aspro contorcersi dell'anima di Paolo che richiama il dramma intimo del protagonista de « La casa del melagrano "· La passione lavora nei due collo stesso ritmo martellato, lasciando però, nella violenta velocità, nitidi i battiti singoli che costituiscono il « crescendo " della tragedia. Nulla muta l'essere quella del protagonista di « Le trincee " una passione di adolescenza, se non anche di puerizia. Il dramma c'è ed anche se la fine è ben diversa da quella de « Lll casa del melagrano ", tuttavia basterebbe, per capire la potenza drammatica del racconto, rileggere rigo per rigo attenti l'episodio della sassata di Paolo a Norma. Inquietudini da ragazzo potrebbe più d'uno dire; ma di tali inquietudini la letteratura contemporanea ne annovera ·a dovizia. Invece le pagine del Q. Gambini si scoprono fresche e nuove. E a leggerle, pare di non avere incontrato mai un ragazzo come Paolo [in letteratura s'intende, chè i"I protagonista di « Le trincee» è tanto umano da ritrovarvi specchiato, ognuno, un particolare della propria adolescenza]. Sicchè - a concludere - se le prime due opere del Q. Gambini, per il fatto di trovarsi all'origine della sua attività artistica, potevano ancora essere intese come « tentativi », rivedendo ora riconfermate proprio le sue doti primitive, appare chiaro ch'esse evadono da quei limiti, risultando espliciti raggiungimenti di un'arte fresca e vHale. Soprattutto la temperatura narrativa de « La casa del melagrano " mantenuta costante in « Le trincee », fa guardare al Q. Gambini come a un'indole delle più sanguigne della letteratura nostra. EZIO COLOMBO BIBLIOGRAFIA : u I nostri simili n, Solaria, Firenze, t 932; <1 La rosa .,-ossa n, Treves, Milano, 1937 e Garzanti, Mi1'ano, 1940; "Le trincee"· in «Letteratura"· Firenze, N. 4,. 1940. Sul Q. G.: P. Gadda Conti, u Vocazione mediterranea u, Ceschina, Milano, 1934. pagg. 183-88; G. Antonini : « Narratori d'oggi ii, Va/lecchi, Firenze, 1939, pagg. 78-89.

- li mare! il mare! ho trovato il mare. Questo grido era lanciato da un soldato siciliano che era corso avanti incontro al cielo su la strada di montagna, mentre il resto della COl1lJ>agnisai era seduta su gli z.runi. A una svolta della strada a picco nella roccia si era visto sotto il mare. t.ravamo partiti da Posina giù nella conca nebbiosa e si doveva salire al Colle110 per poi discendere verso la Valle Dei Signori. - E' proprio una valle da signori - ci avevano detto - li potrete riposarvi perchè non ci arrivano neanche col telegrafo. e 01 riposo ne avevamo bisogno che da quasi sei mesi eravamo ,n linea. - Mi voglio spidocchiare e profumare come una principessa - diceva ii ::uciniere a>ergamasco,. on In ;orriso che arrivavi. sino alle orecchie. Le oarrette erano cariche di matasse di filo catramato e di apparecchi ; i muli arrancavano già a l'accenno di salita, il cielo era rigato di nubi nere e il vento sapeva di neve. Da giù si vedeva la strada salire tutta coperta di stuoie arrugginite, ma " loro» sapevano che là dietro passavano soldati e macchine, ed ogni tanto, alzavano le stuoie come sottane a cannonate. Allora correvano quelli addetti alla strada, turavano i buchi con ghiaia e riaccomodavano il mascheramento con frasche, telacce od altro bestemmiando e facendo gesti osceni ai monte di fronte che nascondeva con l'aria sorniona tante armi puntate. Le carrette in fila salivano lentamente la strada coperta e i muli, lucidi di schiuma soffiavano col muso a terra tirando da disperati. Il cielo aveva incominciato a spruzzarci, e sebbene fosse freddo, su la laccia bollente dalla fatica, quelle gocce gelide erano come te caramelle di menta. Mili, il cane della compagnia, correva da una carretta a l'altra leccando le mani a tutti o tentando di addentare qualche• pastrano, felice anche lui di lasciare le tane umide di Posina. Era uno spinone nato con noi. Da piccolino lo portammo nella giubba vicino alla maglia perchè si scaldasse. Crebbe in fretta e ci conobbe tulii sessanta; anche le carrette conosceva annusandole. La strada man mano che procedeva diventava sempre più dura; in certi momenti pareva quasi che nell'oscurità una corda losse legata dietro ai oarti e che tirasse in senso inverso. Nubi di zolfo rotolavano giù dalla parete dei monti lasciando lembi appesi ai pini. Ogni tanto le sentivamo passare su la faccia; ci toglievano il respiro e imbevevano i nostri pastrani di aria gelida. Nel movimento usciva dalle giubbe slacciate un calore umido come quello che bagna i vetri delle stalle. Era scesa la sera. Ci si seguiva l'un l'altro sperando un pezzo piano di strada per riprendere fiato. - Se arrivo a Valle Dei Signori e ci trovo delle ragazze, faccio un macello. Nell'oscurità aveva parlato il mulattiere genovese, e si sentiva che questo pensiero lo aveva rimuginato un pò e non aveva più potuto tenerlo. - Con quella laccia da sabato grasso! - Sta zitto tu Milano che sei color del mal di pancia. Il cielo nero pareva piovesse inchiostro, e nessuno sentiva la fatica perchè là c'era la Valle Dei Signori e forse delle ragazze. - Non ricordo più se le donne portano le sottane. - Tua moglie no, porta i calzoni. - Tua sorella non porta più neanche le mutande. Una risata si unì al rumore degli zoccoli dei cavalli e della ghiaia burattata dalle scarpe chiodate. - Forza ragazzi - grid6 dalla cima il tenente; siamo arrivati al piano. Difatti la carrette divenivano più leggere e i corpi tornavano perpendicolari. Ali! Una luce leggera sbucò dietro al monte luccicando gli elmetti bagnati. Si appoggiarono gli zruni sul ciglio della strada dove non vi erano pozzanghere, ma non tutti si eran seduti. Si sentiva che là in fondo incominciava l'altro versante. Si aspettava un'alba che ci lasciasse vedere quello che stava sotto di noi, quando qualcuno gridò. - Il mare ! il mare! ho trovato il mare. Tutti gli si corse incontro, e veramente giù sino a l'orizzonte, un immenso mare di nubi simili a onde tranquille occupava la valle fin dove l'occhio poteva giungere. Nessuno rideva, ed ora in quel mare tinto di rosa, tra le onde spuntavano pinnacoli di pini e croci di campanili. UGO GALETTI FondazioneRuffilli- Forlì 0iovanni Rosone: "Ritratto muliebre" Accanto alle opere dei «maestri» non disdegnamo dì presentare quelle dei giovani. Non intendiamo sventolare sotto il naso dei certificati di nascita; ma soltanto richiamare l'attenzione della critica e del pubblico verso uomini ancora non del tutto in luce, sebbene rappresentino momenti significativi nella ricerca delle nuove vie di espressione. Cominciamo con Giovanni Rosone, un giovane artista che si è già affermato in molte esposizioni e che, dalle primitive posizioni impressionistiche, è giunto a tn11nifestazioni importanti di classica compostezza e di sobrio disegno. Giovanni Rosone: "L'umanesimo"

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