Via Consolare - anno I - n. 3 - febbraio 1940

ANNO I - ORIZZONTE Lu nostra mistica Romanità di Mussoliui Sestante: Virtù dell'attesa VERTICI lo, il padrone del mio cane l\1io inveruo Paradiso Poesie (Valvèrtova Immortalità) Attesa di maggio STUDI li Palmezzuno, Cosu si J)ensu dei giovani: la risposta di F. B. Pratella Il futuris,uo ·ha l'età del giudizio Significato dello s1,cttacolo Giornalismo Universitario Mortaretto Bruno ftfasotti 1Vevio ft1atteini Ads1<m Giuseppe Leonardi Vittorio Bonicelli Vittorio Bonicelli A. della Biancùi Armando Ravaglioli Luisa A1assari Farfaricchio Giuseppe Santaniello Alberto Perrini Castone Canessa ;-,ancesco Ferrari Guido Aristarco f(7 alter Dirani Duepunti Agro e dolce Benvolio Rav L'omino dei fuochi Disegni di LUJGI SERVOLI I - Schizzi di ETTORE NADIANI SpedizioneIn AbbonamentoPostale FEBBRAIXOVIII - NUMER3O Fondazione Ruffilli - Forlì

" .Eapieuiden~a è la iot'Jia di un popolo ciuile ,, lJa ua:i1tihfJmf a 0"1(Jani~~a?.Jio11cHli JCf;ue:i,toJ:iJituto è fJiicu"1a (Ja"1af1J~diai afJfJi{Jtetf/J~pa,"1ontaed e66icace pet Ot;J;npi "1atica ffiale p,Wuidenli I Una poti~,?.adeU'J:1tititto l!la11io,111,aie r/l{J{1icu'ba'J!ioni co,Hitui{Jclea lw ncbuillitàpe'iuoi epe'Li uo{Jliiiamilia'Li Regie ·Terme. A pochi chilometri da Forlì, nella ridente vallata del Montone che si allarga in mezzo a colline feraci, vigilata dalle Rocche della Romagna guerriera (il rudero ventoso di Sadurano, la fortezza toscana di Terra del Sole, il maschio di Monte Poggiolo ridente, lo sperone di Castrocaro stessa) sorge la bella cittadina che ospita le Terme dalle acque salutari, L'incanto del luogo e l'ospitalità della popolazione fanno del soggiorno una ricercata vacanza, La nuova gestione governativa ha consentito la completa trasformazione degli impianti, la costruzione di elegantissimi edifici e ritrovi, la sistemazione a parco di una vasta area, allietata anche da fontane marmoree e in cui la notte suscita magie di luci sapienti, La soddisfazione degli ospiti affluenti da ogni parte d'Italia è affidamento certo per il maggiore sviluppo dello Stabilimento e della zona, degna del massimo interesse turistico. di Castrocaro FondazioneRuffilli- Forlì

Anno FEBBRAIO XVIII M E N SI L E DI POLITI CA E D' ART E DEL G U F DI FORLÌ LOno/TRII ffil/TICO Che cosa si intende per mistica ? Ecco il punto attorno al quale si sono accese le discussioni sul recente Convegno di mistica fascista. Ora occorre precisare che la parola mistica esprime un particolare stato psicologico, che dà all'uomo una fede più intensa e condiziona tutte le sue forze vitali per portarlo nella luce di una superiore idealità. La mistica religiosa è sopratutto il risultato di una tendenza contemplativa ; la mistica ·politica, quella nostra, è una disposizione attiva per cui gli individui, dopo al!ere abbracciato una fede, la alimentano giorno per giorno con l'apporto disinteressato dell'anima e del cuore e si studiano in un laborioso tral!aglio di purificare lo spirito e di essere degni della grande idea che professano. La mistica fascista è quindi uno stato psicologico, che non è nè ragione nè sentimento, ma superamento dell'una e dell'altro, stato psicologico in l!irtù del quale la parte migliore di questo popolo, per assicurare nel tempo la continuità ideale della Rivoluzione e per el!itare che questa, come è avvenuto di quasi tutti i mol!imenti sociali della storia, si inaridisca col tempo in una funzione cristallizzatrice, vive e agisce con la stessa purezza di fede, con lo VIA CONSOLARE 1 • FondazioneRuffilli- Forlì

stesso ardore ascetico, con la stessa forza di apostolato dei primi momenti, in un continuo ricrearsi di ideali e di aspirazioni, che stanno appunto alla base del piano evolutivo del Partito. ll Duce ha scolpito con incisiva concisione le tre fasi attraverso le quali passano le rivolu- • zioni: primo periodo della affermazione spirituale ; secondo periodo dell'assetto politico ; terzo periodo della sistemazione amministrativa. Corollario l'una dell'altra per quel principio di gradualità che guida tutte le manifestazioni umane, ma altresì ben diversificate nei loro momenti per separarne il contenuto e per scolpirne le caratteristiche. Ora noi andremmo contro la storia stessa se ci opponessimo a questo processo evolutivo del movimento rivoluzionario. Però bisogna porsi in mente che quando le rivoluzioni si trovano, nella fase politica ascendente o nel periodo• della conquista ideale lo spirito degli arte• fici è vergine ed elevatissimo e quindi capace nella sua incoercibile esuberanza di portare a cose di incomparabile grandezza. Quando invece succede la fase amministrativa ed al posto di tante forze esuberanti ma non disciplinate subentrano l'ordine, la precisione dei rapporti, le eccessive formulazioni dottrinarie, i piani generali, allora le Rivoluzioni entrano nella fase più critica della loro vita, perchè lo spirito ripiega di fronte ai bacilli deleteri dell'ordinaria amministrazione e la creazione lascia il posto all'esecuzione, svuotando progressivamente il contenuto ideale dei programmi politici e inaridendo la funzione spirituale del Partito. L'ordine e l'automatismo uccidono lo spinto, così come le preoccupazioni materiali legano spesse volte le ali ai voli della fantasia. La fioritura ideale della Rivoluzione sta alla vita del popolo come la fiamma sta al calore. Perchè ci sia calore occorre che arda perennemente il fuoco ; così perchè la Rivoluzione si mantenga perennemente viva occorre che gli individui sappiano alimentarla con forze sempre nuove. Questo fuoco generatore di vitalità e di continuità ideale è per noi italiani e fascisti la mistica. Ma intendiamo qui parlare di mistica nel senso di immacolata purezza di fede, di continua esaltazione spirituale, di ardore di ascesa, di attiva tendenza all'integrità ed a nuove forme di vita ispirate ad una rigida ortodossia etica. Se gli Italiani sapranno acquisire tali virtù allora la Rivoluzione, invece che ripiegare su sè stessa, saprà arricchire il suo contenuto spirituale e saprà attingere nuove e più grandi mete, per il trionfo perenne di una stirpe, erede della più grande civiltà ed ancora così esuberante per divenire m,;,estradel mondo. L' Italia vanta una lunga tradizione mistica e mistici possono essere considerati tutti i più _grandi geni della stirpe. C'è in essi una forza spirituale che li diversifica dai geni degli altri popoli. Così è di Galileo, creduto allora un visionario della scienza ma che invece difendeva con ardore mistico le conquista della sua intelligenza; così è di Verdi, che al richiamo prepotente della spon2 VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì

tanee armonie sacrifì,ca un' intera esistenza con una fede che vacilla infinite volte ma non cade perchè scaturita da una superiore forza d'animo ; così è di Marconi, che esplora i regni inconsistenti dello spazio, tracciando attraverso essi dei collegamenti che ai conterranei apparivano utopie di maniaco. Mistico è Garibaldi nell'ardore che non conosce ostacoli, nella realizzazione del suo grande sogno, nel triplice disinganno che gli vieta l'ingresso in Roma. Mistica è tutta la nostra storia che è storia di sacrifì,ci, di apostolati, di grandi imprese e per questo stesso storia di un popolo spiritualmente superiore a tutti gli altri. Bruno Masotti AlessandrPoavolinai " ViaConsolare ,, Il mmistro della Cultura Popolare, che non per solo ossequio gerarchico noi abbiamo continuamente presente alla nostra opera, ma perchè, venuto dal tavolo redazionale, lo sappiamo assiduamente rivolto alla stampa, soprattutto a quella energica, fattiva, dei giovani, ci ha così espresso il suo compiacimento: Alla redazione di " Via Consolare ,, il mio augurio cameratesco per la sua attività. Cordialmente - PAVOLINI All'eccellenza Pavolini, uomo di az10ne e di battaglia, non risponderemo con delle parole pm o meno forbite. Coi fatti dimostreremo che non si è ingannato a credere in noi. Intanto gli giunga il ringraziamento di'""noi tutti, romagnolescamente sincero e profondo. VIA CONSOLARE 3 FondazioneRuffilli- Forlì

ROMANITA' DI MUSSOLINI Solo Mussolini ha saputo nvelare agli Italiani il senso profondo e politico della romanità, solo Lui ha fatto rinascere nel nostro popolo la coscienza della sua missione e l'orgoglio del suo destino : romana l'una; romano l'altro. Alla base di questo- aspetto singolare della personalità mussoliniana non sono stati certamente estranei i segni di Roma che, ad ogni passo, in Romagna si elevano a testimomare un passato glorioso. Dalla via Emilia al Rubicone, dall'Arco d'Augusto a Galla Placidia, dalle pietre dei ponti, degli !lrchi, delle porte tutto traspira una romanità schietta, potente, essenziale; vivi gli spiriti eroici e le immagini epiche della grandezza, ancor più viva la coscienza politica della legge morale e sociale, del combattimento, della giustizia e del diritto. Fuori e dentro, nel sasso e nell'animo, Mussolini ha visto rilucere, entro i limiti della terra che lo ha generato, il Fascio e la Scure di Roma. Ricevendo la cittadinanza romana, il 21 Aprile 1924, · il Duce confessò che fin dai giorni della sua lontana giovinezza sen: tiva Roma immensa nel suo spirito, nell'amore per la città eterna sognando e soffrendo, sentendo di essa tutte le nostalgie, tutti i ricordi. « La semplice parola di Roma - Egli aggiunse - 4 FondazioneRuffilli- Forlì aveva un rimbombo di tuono nella mia anima » . Ma quanta distanza ideale e materiale tra la Roma dei Cesari e dei Papi e quella della sua giovinezza e della sua adolescenza ! La Roma della democrazia era ìl paradiso dei ciceroni loquaci e dei turisti cosmopoliti ; non adatta e sentir sul selciato del le strade il passo forte e cadenzato dei legionari ma meravigliosamente intonata ad ospitare i cittadini di quelle Nazioni che in cambio della nostra forza di sangue, della nostra ricchezza di prole e di lavoro ci offrivano pane e disprezzo. I ricordi di Virgilio di Orazio e di Lucano avevan ceduto il passo alla realtà delle leghe massoniche e delle camarille parlamentari. Roma era il traguardo ideale non raggiunto di uno Stato non ancora Stato, la capitale non sentita del giovine Regno. Qua un sindaco ebreo che governava, là un coacervo di affaristi e di speculatori che gli tenevan bordone ; sembrava quasi « la capitale di un piccolo popolo di antiquari » ( da Palazzo Ghigi, 12 Aprile 1924) che avesse carpito lo scettro alla città di Pietro e di Augusto. Mussolini con acume di politico e con rigorosità di storico, con lampo di poeta e con intmz10ne di artista impone a sè stesso ei di 1tec,.io. 11iatteini agli altri la necessità, dopo tanto smarrimento, di tornare veramente a Roma, di tornarvi cioè degnamente, perchè come aveva detto Mazzini « In Roma non possiamo essere moralmente mediocri. dobbiamo essere grandi o perire », perchè come aveva ripetuto il Mommsen, « A Roma non si resta senza un'idea universale ». Fin dal 20 Settembre 1917, sul « Popolo d' Italia» il Duce scriveva : « Questo popolo può essere gettato a terra, ma il contatto con la gran Madre lo fa rimbalzare in piedi. Dopo diciotto secoli l' ltalia esiliata da Roma torna a Roma » . Riecheggiava ancora una volta la voce della Storia ; ancora una volta « Roma cadeva e si rialzava, camminava a tappe, ma camminava : aveva una meta e si proponeva di raggiungerla ". (Dal Senato, 16 Febbraio 1923). Che è, in fondo, il nostro destino di popolo, destino che il Gioberti concretizzava in questa appassionata apostrofe: « Italiani, qualunque siano le vostre miserie, ricordatevi che siete nati principi e destinati a regnare moralmente sul mondo». Mussolini ha compreso il monito dei nostri Grandi: ed ecco sollevare, con uno sforzo spasmodico d'amore, sulla vetta più ·luminosa del suo pensiero quella Roma che era caduta come morta VIA CONSOLARE

nel cuore dei suoi contemporanei. Sul « Popolo d'Italia» del 21 Aprile 1922 scriveva: « Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento : è il nostro simbolo, o, se si vuole, il nostro mito ». Un anno dopo dal balcone di Palazzo Venezia (24 Giugno 1923) esclamava: « Roma è sempre, e domani e nei millenni, il cuore potente della nostra razza. È il simbolo imperituro della nostra vitalità di popolo », per poi aggiungere, qualche mese dopo a Perugia che « Roma è veramente il segno fatale della nostra stirpe » (30 Ottobre 1923). Dopo il Golgota, è certamente il Campidoglio il colle « da secoli,_il più sacro alle genti del mondo civile ». (In Campidoglio, 21 Aprile 1924). Roma diventa così per Mussolini e nella storia ideale e nella realtà effettuale un' idea, una responsabili là, una mistica seria, austera, rei igiosa. « Romano è il Littorio, romana è la nostra organizzazione di combattimento, romano è il nostro orgoglio e il nostro coraggio » e noi « sognamo l' Italia romana, cioè saggia e forte, disciplinata e imperiale». « A Roma, tra quei sette colli così carichi di storia, si è operatc; uno dei più grandi prodigi spi-• rituali che la storia ricordi, ..... Noi pensiamo di fare di Roma il cuore pulsante, lo spirito alacre dell'Italia Imperiale che sognamo > (Udine, 20 Sett. 1922). La storia ha così trovato l'uomoche ha cementato la Roma antica con la nuova, la Roma della Repubblica e dell'ImperoVIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì con quella del nostro vivere odierno. Il suo compito era di quelli che fanno tremare non solo gli omuncoli ma anche i Grandi, ma egli ha avuto la tenacia incrollabile. Ed ha vinto. E vince. Perchè alla sua voce ha fatto eco la voce di tutto un popolo ; perchè egli ha non insegnato la romanità. ai suoi fratelli ma questa ha interpretato, continuato, sviluppato nell'animo del suo popolo, sempre sostanzialmente romano, sempre imperiale, mai, dico mai, antiromano, mai imperialista. Ma la romanità martellata dal Duce sullo spirito e la prassi degli Italiani d'oggi, sul pensiero e sull'azione, sulla cultura e sull'arte, non vuol essere e non è uno psittacismo sterile ed oziosamente ornamentale. Ogni estrinsecazione teoretica e pratica del Fascismo ricollegantesi idealmente e materialmente alle immortali figure ed alle grandi opere romane, ogni accenno di Mussolini alla Roma dell' Impero od a quella dei Pontefici, ogni odierno simbolo romano, dall'aquila al saluto, tutto ciò ·che di Roma il Duce ha ritrovato nel grande spirito del suopopolo è vivo, dinamico, attuale. Si potrebbe dire, per ).!~areuna frase di un .Maestro a noi particolarmente caro, che « la romanità, dopo essersi fatta - concetto - nell' indagine erudita degli specialisti, si è trasfigurata in - intuizione - nel senti5

mento del popolo », in realtà ·storica capace d' infondere in esso la coscienza di ciò che fu e di ciò che potrà essere domani fortemente volendo. « Come uomo. il Romano - ha <letto il Ministro Bottai parlando ali' Istituto di Studi Romani - ebbe la capacità della contingenza, il dono della pietà, l'amore della famiglia e della Patria, l'amore della giustizia, la tenacia della sopportazione, scolpita in quell' aureo detto : « et f acere et patì f ortia romanum est » • Come popolo ebbe la forza dell'organizzazione militare, la sapienza del diritto, che rappresenta la maggior conquista dell'umanità ai fini del vivere civile : ma, sopratutto, il fascino della liberalità civica... Nè il Romano ebbe la passio11,e e, direm,.,,o, la libidine della gu(!rra: persuaso della necessità, combatte da prode ; ma conviene sempre dimostrargli la legittimità del fatto d'armi. Tanto che la parola « bellum » appare associata ad aggettivi, che la definiscono, giustificandola : « bellum pium, bellum iustum » . Nè imperator fu titolo, attribuito dai Romani all'uomo del dominio ma titolo conveniente a chi combatte: e il primo e vero imperator fu Scipione l'Africano Maggiore», Oggi, la vita nazionale ed internazionale fascista s' ispira · a Roma, perchè è vita che non vuol morire, perchè è vita che vuol salire verso l' ideale che, solo, la rende degna di essere vissuta. La Romanità del Fascismo, idea-forza tendente a conciliare, in dinamica ed eurit6 FondazioneRuffilli- Forlì nuca sintesi, i valori imperituri della civiltà di Roma con la necessità dell'odierna e più che altro futura civiltà fascista, si . palesa così come prodotto genumo della nostra razza. La qual cosa qualifica e caratterizza inconfondibilmente la nostra personalità di individui come di cittadi.ni, di popolo come di Nazione. Noi Italiani infatti, non abbiamo mai potuto aderire alle forme delle civiltà non germinate dal nostro suolo, non sostenute e rafforzate dalle nostre tradizioni, nè sempre ravvivate da quei principi di giustizia con umanità, di forza e di dolcezza, di intellettualità con senso· pratico che costituiscono le virt6. del nostro lavoro, · del nostro avvenire. La meta verso la quale, nel segn~colo luminoso di Roma, tendiamo è meta assolutamente umana, meta che non ha confini perchè è grande come « la religione» di Mazzini come « l' idea » di Gioberti. Nè la la nostra è presunzione, vacuo orgoglio chè per essere veramente grandi, diceva Vincenzo Cuoco, bisogna disporre la mente all'ampiezza dei destini · futuri ; nella qual fede ci conforta Machiavelli quando ha ammonito che occorre « la virtù» di tutto il popolo, affinchè non ci si « tolga le gambe dal salire al cielo ». È nel nostro destino essere integralmente padroni della nostra vita o schiavi della nostra morte. Le solite quattro chiacchiere Siamo al terzo numero. Abbiamo già- d~tanziato le più lusinghiere prospettive e i limiti di fiducia di tanti amici nostri ( di nemici, grazie al Cielo, non ne abbiamo, oppure si tratta di bestie taciturne e senza proprie opinioni). Senza scherzi : vogliamo continuare ! La benevolenza di chi ci segue, in alto e in basso, spinge noi e i nostri collaboratori ( veramente ormai più che un manipolo, sparsi per tutta l'Italia e per l'Impero) a realizzare le nostre p~emesse: cioè a chiarire sempre meglio le nostre idee, a prendere posizione pro e contro, a batterci onestamente colle carte scoperte, contro chi - magari in buona fede - continua a difendere con un accanimento degno di miglior cawa le ultime posizioni consacrate a vecchie mode e a sorpassate tendenze. Oggi, in questo crepuscolo fra la pace e la guerra, quando più rapida in ogni campo deve essere la marcia affinchè qualsiasi evento ci trovi pronti a donare all'Italia il posto di ricostruUrice dei valori m.o~ali, quest'opera è necessaria. Come la perseguiremo? Colla critica, coll'analisi dei fatti e delle intenzioni, o con la creazione? Noi non crediamo alla contrapposizione del fatto creativo e di quello critico. L'uno è accosto all'altro, términe dialettico per il perfezionamento dell'altro. Così - siccome ci piace la chiarezza - faremo del nostro meglio per dirl,)i. in via espositiva, analizzando noi stessi e gli altri, che cosa vogliamo e dove vogliamo a"ivare. Però avremo anche la santa modestia di farvi constatare in concreto, con la presentazione e la dimo · straziane delle nostre tesi, coll'offrirvi le nostre creazioni in prosa e in versi, dove siamo effettivamente arrivati. Non pretendiamo che tutte le volte dobbiate proprio trovarci in vetta ai quattromila metri. VIA CONSOLARE

SESTANTE VIRTU' DELL'ATTESA L'attuale svolgimento della guerra nord-europea più che una forte pressione delle strutture spirituali di individui e popoli costituisce una specie di rarefazione dell'elemento ossigenato ; è l'impressione dei tremila metri che si ripercuote direttamente o per via di reazioni riflesse su tutti i· popoli di Europa, impri-. mendo ad essi un'ansia dell'avvenire, un senso di imprecisione per il presente, un desiderio di risolvere l'aleatoria situa'zione. Viviamo nel bel mezzo dell' impasto da cui domani verrà fuori la nuova costruzione europea, ma per noi contemporanei è, in certo senso, buio e silenzio. Buio e silenzio sono manifestazioni naturali delle più terrificanti e spingono gli uomini di non forte costituzione al bisbiglio sommesso, tanto per farsi cuore, non è fuor di luogo ammonire i pavidi contro simili effetti che questa situazione potesse inge• nerare. Virtù del tempo d'attesa è quella di sapere attendere, cioè tacere e pensare; non vin• colare la propria azione con prese di posizione meno opportune, non irrigidirsi in preventivi ed anticipati pronostici. L'Italia deve ricordare una volta di più quello che il Duce le disse, di considerarsi un' isola. Immersa nel mediterraneo ed assai poco connessa al continente; siamo già un'isola di pace, non idilliaca ed imbelle pace, ma pace operante, costruente ; dobbiamo esserlo anche negli spiriti. Si agitano nel nord dell' Europa sorti che per ora non sono le nostre ; i fini di guerra conclamati dalle democrazie non possono trovarci VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì consenzienti perchè la nostra po• sizione ideologica è chiaramente e fin dell'origine segnata e chiunque potrebbe ricavarla dalle nostre premesse e dalla nostra dottrina. Dobbiamo ricordarci che siamo immersi nel mediterraneo, che questo mare è per noi via e vita e che in fondo, solo in questo mare potrebbe essere giocata la grande partita di significato per noi profondo e comunque universale. Per questo ci interessiamo tanto a1 Balcani ; per questo osserviamo senza impazienze, ma anche senza veli sugli occhi, l'attività misteriofila dell'esercito d' Oriente guidato da Weygand. Petrolio? Anche petrolio. Ma il nostro primo obbiettivo è un altro, più umano : civiltà romana. Nei Balcani tutta la politica - azione e reazione - è sotto lo stimolo della diplomazia romana. La Russia non deve accostarsi al Danubio, baluardo del nostro mare ; i popoli del1' Europa sud- orientale hanno compreso quanta decisione fosse nel nostro monito e forse vanno comprendendo che solo con Roma, la quale vuole giustizia e pace per tutti, che non fonda la sua politica nelle contrapposiziont fra blocchi di potenze, può rinvenirsi anche l'amico fi. dato che consenta di liquidare in pace le vecchie pendenze revisionistiche fra stato e stato, consentendo alla Balcania quella tranquillità che gli uomini di occidente, usi a volerla quale alibi delle loro mosse di guerra e di pace guerreggiata, le avevano tolta imponendole il ruolo di « polveriera » d' Europa. Stavolta la Balcania ha dato prova di sangue freddo. Le garanzie londinesi e parigine non hanno eçcessivamente dato a sperare agli uomini d'arme o a quelli di stato. La novità della esistenza fra di loro di una potenza di prima grandezza, che vivesse della loro stessa vita, della loro tradizione, della loro storia, attorno alla quale fosse possibile riconoscersi e raggru• marsi, ha avuto questa singolare potenza chiarificatrice. Roma non è per l'egemonia nei Balcani, come non è per l' ingigantimento di un popolo a spese del!' altro. Essa chiede solo che si superino le artificiose barricate create dalle montagne di carta dei fascicoli dei trattati. Vuole, l'Italia, che ogni popolo si rappresenti dal vero la realtà dell'altro popolo e comprenda in virtù di un ragionamento di profondo realismo, come non sia possibile mantenere uno di questi in durevole condizione di minorato. Questo come punto di partenza. La legge dura che l' Italia imperiale impone è quest'altra : vivere in pace, smobilitare le barriere opposte ai reciproci traffici, ascoltare la voce millenaria che fa Roma risuonare nelle terre e nel sangue dei popoli balcanici per tutelarsi contro l'inciviltà bplscevica, per garantirsi contro i «garanti» di oggi, di cui uno è un popolo arrivato, di altre tendenze e di altra sostanza da quella dei popoli del v1cmo oriente, e l'altro è un popolo fuori della nostra civiltà e della nostra sensibilità mediterranea. Vedremo ora quali e quanti saranno i popoli affacciati al mediterraneo che sapranno valicare le onde dei malintesi, dei falsi timori e dei falsi pudori e sapranno sbarcare a quest' isola di civiltà, la grande madre, Italia. ADSUM 7

Jo, il padione del mio cane Dall'alto scendeva un fioco giallore di luce che dilagava in una macchia chiara sul pavimento del gran corridoio. La lampada era piccina, 11uasi nascosta entro la vela della volta, dove i tubi del calorifero e i fili della lampada avevano disegnato nere macchie affumicate. Le porte del corridoio erano tutte .semichiuse ed entro il silenzio buio -che affogava lo sparuto cono di luce, .si sentivano incrociarsi sommessamente bisbigli misteriosi che trapelavano dalle fessure degli usci. Dietro di essi gli uomini forse discutevano o leggevano ad alta voce. La porta di fondo si aprì a un tratto -e, mentre un uomo uscì, si vide di ·scorcio un'anta di un'enorme scaffale ricolmo di libri. L'uomo sbattè la porta e, agitando nel passo le ·ali' bianche del camice, passò rasente al muro, sotto il tenue chiarore del lume. I suoi passi avevano una cadenza frettolosa e lieve, mentre la sua figura pareva un fantasma, nel gorgo bianco del camice ,che gli si gonfiava nel dorso. Essi ·si fecero più cupi, quando egli scomparve nell'altra camera dal pavimento di legno. Si senti il clic dell' interruttore e una luce più forte si sostituì nella stanza al grigiore che pioveva dal lucernaio, appannato dalla nebbia di quella sera autunnale. Come un colpo di tosse ribelle, dal cortile un grido di un c~ne ruppe il silenzio sommesso: un abbaiare curioso, inutile, sciocco. Seguì un latrare caotico, come di un'orda di lupi, che si spense poi in pochi •colpi sporadici come singhiozzi. Un lamento strozzato che parve di un bimbo uscì forse ancora . dalla gola ,di un cane e quindi tutto tacque di nuovo. FondazioneRuffilli- Forlì Il dottore tornò a ripassare dal gran corridoio e poi tutte le porte si aprirono. Quattro o cinque uomini, vestiti di bianco, uscirono e i loro passi si confusero in un chiasso pieno di scricchiolii allorchè entrarono nella stanza dal pavimento di legno. Il cane era legato al tavolo di contenzione e aveva una posa umana, con le zampe strette dal cuoio robusto delle cinghie. Dormiva. Ma i suoi occhi chiusi avevano un'espressione di sofferenza, mentre di tanto in tanto il suo petto si sollevava in un respiro più ampio che quasi pareva dovesse arrestarsi al sommo della sua elevazione. Uno degli uomini dal camice bianco si era rimboccate le maniche e con la mano gli palpava il torace. Qualcuno tossì a un improvviso odore di cloroformio e il cane si lamentò allorchè gli misero la maschera, ed ebbe un debole tentativo · di strappare le cinghie. - È un riflesso. Ha già una buona dose di morfina. - A un tratto il respiro della bestia cessò e si sentirono i battiti dei cuori degli uomini sospendersi in un attesa vigilante. Uno di loro battè un pugno sul torace della bestia, che rispose con un singhiozzo ma riprese a respirare. Il suo sonno era tranquillo. Gli rasarono la testa e poi gli scalparono il cranio. Si sentì il cigolare sordo di un trapano che pareva non girasse a suo dovere. L'uomo che lavorava prese un paio di grosse e robuste pinze e ne introdusse una punta entro il foro e con un colpo secco allargò la breccia nell'osso. L'animale sussultò spasmodicamente, ma gli occhi degli astanti non si mossero. Il cervello, macchiato dal sangue dell'emorragia, era ora scoperto. L'operatore si fermò. - Speriamo che non muoia, altrimenti bisognerebbe principiare da capo con un altro cane. Ora vedrete l'esperienza. - "Trasse dal tavolo dei ferri una spatola d'osso e con una mossa rapida la infisse entro la polpa molle. del cervello, la roteò e con essa recise l'encefalo in due pezzi spappolati. Il cane ebbe sussulti epilettici, guaì, urlò un grido soffocato e poi ricadde silente in un sonno accasciato. Gli uomini lo fecero preda di macchine e di ferri e alla fine gli recisero la carotide. Il sangue colò in nn secchio e si raggrumò coi peli e con lo scalpo. Un uomo vi gettò dentro un mozzicone di sigaretta, che crepitò un attimo nel sangue ; poi il corpo slegato e ormai disarticolato del cane fu gettato entro la pozza del suo sangue. Gli uomini se ne andarono vociando. La campagna era buia e la strada ci correva incontro simile a una serpe nera, brillante sotto la luce dei fari dell'automobile. A un tratto la serpe parve piegarsi in una contorsione rapida. Sentii lo squassare della macchina frenata e il mio cuore palpitò nel silenzio e il suo rumore dominò il motore. Il mio cervello si agitò mentre il mio corpo immobile si affidava alle mani del guidatore : ripassai con la memoria tutta una vita, pensai a mille nomi, volli Dio vicino. Il fascio di luce dei fari girò come una falce sulla campagna, illuminò in un getto roteante di splendore VIA CONSOLARE

un'infinita schiera di alberi allineati lungo la strada e parve mozzarli fino alla radice. Poi la luce ne scelse uno solo e vi si fermò a illuminarlo in un'aureola di pulviscolo. L'albero si mosse, ingigantl venendoci incontro : sentii un tonfo e iufransi con la testa il vetro del parabrezza. Con un getto d'acqua fredda mi detersi dal volto il sangue che ancora colava e mi stesi sul lettino. 11 chirurgo si chinò sul mio viso e mi gettò negli occhi una boccata del fumo acre della sua sigaretta. Sorrise alla mia stizza e gioioso mi versò un rivolo bruciante d'acqua ossigenata sulle ferite. Mi disse di tacere e con una decisione felina mi infisse il suo ago adunco nella pelle. Mi sembrò che l' integrità del mio corpo fosse violata ; che quella infissione colpisse tutte le cellule del mio organismo , sentii che era illogico che io fossi un VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì Anniversario di Beltramelli Automobili stipate di giovani e di gagliardetti si avviano. Prendono per la strada di Ravenna; vanno alla Sisa, la tebaide addolcita d'alberi e d'om!Jra di Antonio Beltramelli. Che sanno questi giovani dell'opera Letterariadi Beltramelli, delle sue assolate allucinazioni, del suo fasto di deteriore dannunzianesimo, della sua passione fervorosa di popolano romagnolo nuovo ricco delle lettere che rifacendo la sua terra per amore di vecchio e di tradizioni, ne ha falsato i toni, rincrudendoli, talvolta caricaturandoli ? Eppure egli possiede delle pagine di buona efficacia, delle pagine di lucide fantasie, di ricami ideali. Non il letterato, questi giovani, vanno oggi • a trovare. Ma l'uomo. L'uomo che con lo slancio superatore di mediocrità della sua gente campestre, che sta alla sostanza delle cose e non alle speciosità dell'aspetto, comprese il moto della nuova vita e fu anticipatore. L'ammirazione per l'uomo fa nascere un moto di interesse anche per l'artista. E i prossimi Littoriali si occuperanno di lui. Vorremmo che per quei giovani critici l'uomo Beltramelli potesse ispirare la sana lezione che sempre la vita vale ben più della letteratura. brano da ricucire e mi parve che il filo di seta si intrecciasse entro la polpa del mio cervello. Il dottore fece un ultimo nodo, mi DUEPUNTI fasciò e poi rise di nuovo. - Ecco fatto. - E buttò via la cicca di sigaretta che teneva fra le labbra. 9

Cosa • SI pensa Nello scorso numero chiedevamo ai migliori della generazione che ci ha preceduto una parola, un parere che ci servisse di orientamento per la nostra azione formativa ed artistica. Chiedevamoprecisamente: • Che cosa pe11Sate.dei giovani ? >. Mentre forse qualcuno va maturando una risposta al non /acile interrogativo, ecco siamo lieti di pubblicare una lettera nella quale si dice che cosa si pe11Sadi « noi » giovani, ma di « noi » - in particolare - di « Via Co11Solare ». Non è vanagloria che ci spinge a mettere in pubblico questo documento che ci sarebbe stato tanto caro anche soltanto in mezzo ai nostri intimi ricordi della nostra redazione. In/ atti non si dicono di noi le solite cose ; nessuno ci adula, nessww ci presta delle intenzioni che ,wn superino la stessa portata delle nostre volontà. Pubblichiamo questa lettera perchè è intelligente, perchè, forse, più che nei nostri scritti, ha saputo leggere anche nelle nostre intenzioni e, come capita, le ha chiarificate ancor di più a ,wi stessi. La pubblichiamo poi, anche, perchè sappiamo che - se non a tutti, pnrtroppo - le lusinghiere affermazioni espresse possono essere applicate e tanti giovani d'Italia, non legione forse, ma centuria nutrita ed agguerritaFrancesco Balilla Pratella è sincera voce romagnola; ha rianimato colla sua opera la nostra tradizione, ha di nuovo dato voce di canzone alla passione del popolo nostro ; è quindi uomo che si impone alla gratitudine di quanti amano e sostengono la vita sincera e paesana, pur nell'armonia dell'unica fede italica e imperiale, delle nostre regioni. i2 significativo che questo notevole riconoscimento ci venga proprio da lui. Ravenna, 18 Febbraio 1940 - A. XVVHI. Direzione della Rivista « Via Consolare :o Forlì Vi sono Qrato dell'invio del primo numero di « Via Consolare » e anche perchè voi giovani vi siete ricordati di me non più giovane. Gli scritti e la forma della vostra rivista mi piacciono moltissimo e quando i giovani si comportano nelle manifestazioni del loro spirito così come vi comportate voi, essi meritano il riconoscimento e il plauso incondizionato di tutti, grandi e non grandi. Finalmente ho incontrato della gente nuova 10 FondazioneRuffilli- Forlì dei • • g1ovan1 che ama la sua casa e la. sua regione con religione convinta. Solo con un tale animo si riesce ad amare la Grande Patria, che è la moltiplicazione ideale della casa e della regione. Ho risentito parlare di Oriani, e di Pascoli e ho letto con occhi spalancati queste vostre parole : « .••• • istituire, per farne degli esseri pensanti e degli uomini che sentano, un servizio obbligatorio di poesia ! » • Mi è sembrato di sognare: dunque, l'umanità rinasce nei giovani e l'attività spirituale non è morta. Ora, sì, credo più di prima nel divenire d' ltatia. Se il Fascismo ci dà la grandezza e la coscienza unitaria, la poesia ci dà la felicità, che la grandezza e la coscienza unitaria proteggono e conservano. A parte vi ho mandato la mia modesta quota d'abbonamento. Con cordiali saluti fascisti mi dico vostro Francesco Balilla Pratella P. S. Ho anche ammirato la vostra amea modestia nel non abbandonarvi alla morbosità comune del fare critica. F. B. P. MIO INVERNO C'è nebbia fuori, appena appena, Ora m'invischia i rami del giardino. Era una ragnatela quando è scesa sui miei pensieri; cenere di cose sognate. Ora la bacio in fronte perchè so che c'è il sole, dietro, e rido; rido e grido, poi la bacio in fronte: ora mi sento vivo ! VIITORlO BONICELLI VIA CONSOLARE

PARADISO Lei non era che una povera ragazza, di quelle che girano il mondo dietro a un banco di tiro al bersaglio e campano al margine delle città, fuori delle mura, e al margine della vita di tutti; la loro vita è come un cencio che si raccoglie, o si vorrebbe raccogliere, per poi buttarlo via. Da mezzano gli aveva fatto un amico, più che altro per ridere poi alle sue spalle ; forse anche per un pò di compassione. Ma al piccolo Carlo non importava niente : quella ragazza gli rappresentava un mondo nuovo, misterioso e dolcissimo, tanto atteso, quasi pauroso. Egli aveva ormai vent'anni e non aveva mai fatto all'amore. Era uno strano ragazzo, il piccolo Carlo. Lo chiamavano tutti così, da tanto tempo, perchè era magrolino e patito : e gli dispiaceva, quasi se ne faceva una croce. Aveva capelli fini e chiari, occhi chiari, naso affilato e pallido, come le labbra, come tutto il viso, come tutta la sua vita. Sarebbe sempre sembrato un ragazzo e Io sapeva : una di quelle persone che non riescono mai ad apparire uomini, veramente uomini, come vorrebbero ; e s1 trascinano seco nella vita un senso di imbarazzo, che Ii appesantisce. La sua timidezza l'aveva rinchiuso in se stesso e l'aveva VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì un pò guastato, come accade. Aveva una sensibilità eccessiva, forse malata: s'immaginava cose inesistenti, si crucciava per nulla. I suoi amici si burlavano a volte di lui, per la sua timidezza, specie con le donne : lo prendeva allora un odio terribile verso di essi, tanto più insopportabile in quanto non avev.a l'animo di manifestarlo. E insieme soffriva, perchè non avrebbe voluto ; perchè gli pareva di essere così disperatamente solo. Allora si rifugiava nelle sue fantasie, tra le sue fanciulle sognate. S' innamorava spesso e ogni volta gli pareva di morire ; e si sciupava l'animo in lunghi e tortuosi progetti d' incontri, di dolcezze, di parole, di baci. Ma non accadeva mai niente, non era accaduto mai niente. II piccolo Carlo non aveva mai fatto all'amore. Cominciava a provarne un bisogno insoffribile, e si vergognava e pativa ogni volta che i suoi amici raccontavan di donne. Poco a poco, a furia di sentirne parlare e di pensarci, aveva finito con l' immaginarsi ogni cosa di quelle faccende, con chiarezza strana e ricchezza di particolari ; gli pareva perfino, in certi momenti, d'aver amoreggiato tutta la vita. Era uno strano ragazzo, il piccolo Carlo. Gli piaceva d' imdi 1Jitto.iio. 730-n.iceUi pigrirsi nel letto, ogni mattina, a guardare fuori dalla finestra spalancata. Si vedevano gli alberi di un povero giardinetto polveroso ; al disopra di essi. le rondini e tutt'intorno il cielo; un gran quadro di cielo venato, nell'azzurro, da cirri sottili e filiformi, simili a morbidi capelli cilestrini. Le rondini gli parevano sempre creature impazzite e i loro voli insensate ghirlande. Nell'equivoco tepore del letto, da principio, ad occhi spalancati, continuava i sogni della notte. Poi, gradatamente, ogni immagine si disfaceva in un torbido languore. I suoi pensieri si ti:amutavano in immaginate figure di femmine : sempre le stesse, irreali e malsane. Non se ne poteva distaccare e soffriva una specie di sofferenza. A volte lo tramortiva il passo pesante di sua madre, accanto all'uscio della stanza, nel corridoio. Allora troncava d'un colpo le sue sudicie fantasie, con una vergogna da morire, come se sua madre avesse potuto vederle. Ma quella mattina c'era solo un gran sereno, fuori, e voli voli di stridule rondini incise nel cielo ; il piccolo Carlo si sentiva gonfio di una fiducia serena e pensava ad un baraccone da fiera, con due ragazze per mostra. 11

L'ora dell'appuntamento era sul1' imbrunire. Carlo uscì di casa troppo presto, con una grande agitazione addosso. Via via che s'avvicinava alla fiera era sempre più indeciso ed ansioso e si sentiva pieno d' imbarazzo, perchè pensava che tutti l'avrebbero guardato, e chi sa per qual~ motivo: ma ci pensava con un certo segreto compiacimento. Alla fiera si mise a guardare da lontano le due ragazze, che lavoravano, come per solito, tra la poca gente. Ancora non le conosceva, non solo, ma neppure sapeva quale gli sarebbe toccata. « Una per me e una per te » gli aveva detto quell'amico, e gli aveva strizzato maliziosamente due lucidi oc• chi etti porcini. Le ragazze erano belline; Carlo le aveva viste uscire insieme, una sera, dopo il lavoro, e gli erano piaciute; a~eva sognato un poco di loro ed aveva finito per commuoversi al loro destino. Se ne era quasi innamorato. Quel pomeriggio una delle due aveva una magliolina di lana sottile, aderente, che metteva in risalto forme possenti e perfette. Solo a guardare, il piccolo Carlo si senti rimescolare tutto; lo prese una specie di affanno e dovette voltare la testa. Poi, gradatamente, gli venne un gran batticuore, un'ansia che gli faceva groppo alla gola. Non· vedeva l'ora che il pomeriggio passasse e insieme aveva una .gran paura. A tratti s' inorgogliva e gli pareva che tutti lo guardassero e tutti sapessero : si sentiva ormai un vero uomo. Poi, d'un tratto, s' immalinco12 FondazioneRuffilli- Forlì niva e quasi s1 sentiva venir meno per l'agitazione. Discese la sera. Il cielo si coperse e una nebbiolina grigia calò silenziosamente sui tetti rossi, sui platani, sull'asfalto, fino ad alitare soffice sulla luce stanca dei rari fanali. Perfino gocciole sottili di pioggia fecero un'apparizione breve. Ormai non c'era intorno più nessuno. Se il suo amico non l'avesse pescato per caso, all'ora dell'appuntamento; Carlo non s1 sarebbe fatto vivo. Andarono alla porticina posteriore di un carro da zingari. Le due ragazze uscirono e vennero loro incontro spedite, frettolose. L'amico, naturalmente, si prese la più carina. Le disse qualcosa di malizioso, di volgare, poi si avviò senza far cerimonie per un viale secondario. Carlo gli tenne dietro con l'altra, ma subito lo perdette di vista. Provò piacere, in un certo senso, a restar solo con la ragazza ; ma anche restò smarrito. L' altro non era precisamente un suo amico : anzi, era una di quelle persone che solo a guardarlo lo mettevano nell' imbarazzo e l'ammutolivano, finchè non provava la sensazione sgradevole di sentirsi ridicolo e sciocco. Ma era pur sempre un · appoggio ed ora si sentiva tremendamente solo, abbandonato ai suoi mezzi. Si fece forza e prese la ragazza al braccio ; ella era seria e non accennava a parlare. Aveva un soprabito scolorito e un cappellino alla moda, piccolissimo e rotondo, che le conferiva un'aria un pò buffa. Il piccolo Carlo s' accorse che non era neppure tanto bella. Egli non aveva ancora imparato a sottrarsi all' influenza di certe piccole disarmonie fisiche che lo infastidì vano : la ragazza aveva il viso largo un pò piatto, quasi volgare ; e le gambe forti, leggermente arcuate. Camminava rigida, imbronciata. Carlo disse, tanto per cominciare : « Come ti chiami ? ". « Paradiso », rispose. « Paradiso?» disse Cario meravigliato. « Paradiso. Perchè ? ». Carlo restò male. La ragazza s'esprimeva quasi con violenza ; una cosa simile era più che sufficiente a renderlo muto. Seguì una lunga pausa. Carlo non sapeva cosa dire. Pensava tra sè parole e frasi, ma non le pronunciava perchè gli sembravano sciocche. Non voleva apparire anche sciocco. Ma via via che il tempo passava gli gonfiava nel cuore una gran rabbia : era nell'animo di chi soffre a perdere tempo prezioso. Disse : « Ti piace il tuo mestiere ? " . « Sì » ella rispose e tacque. « Tu viaggi sempre. Dev'essere una cosa molto bella ! ». « Perc_hè? » disse. Era scoraggiante. Carlo diventò furioso ; soffriva realmente. Capiva che doveva fare qualche cosa, non sapeva dove cominciare. « Paradiso, disse, sei stata ancora..... voglio dire, · sei stata ancora così, come stasera ..... con uomini?». « Si, ancora» ella rispose; « bisogna pur vivere ..... ». Era rigida, indifferente. Cominciava ad essere seccata. Carlo fu preso da una specie di disperazione. S'era costruito di quelle ragazze VJA CONSOLARE ·

un'immagine romantica e chiara, gli era perfino sembrato di amarle, ed ora gli pareva di dar col capo nel muro. Cominciò a odiarla e a odiarsi. Il vialetto finiva : bisognava assolutamente fare qualcosa o tornare indietro. Ma invece di agire, inconsciamente, i suoi occhi annotavano ogni piccola cosa che vedevano intorno ed il suo spirito s'afferrava a quell'osservazione impotente, lucida e disperata. Il viale era deserto, la ghiaietta del marciapiede dava un suono strano di roba macinata, tra i ferri delle cancellate apparivano a curiosare appuntite lucide foglie di ligustro. Sensazioni come sospese in una mcosc1enza febbrile. La ragazza si fermò e si mise a guardarlo ; era perfettamente seria, ma a Carlo pareva perfino che sogghignasse ; finì con l'attribuirle pensieri ignobili. Allora, senza parlarle, la prese per una mano e l'attrasse a sè. La strinse. La ragazza lasciava fare, non più rigida, già nell'abbandono dei sens1. Carlo volle baciarla, ma non sapeva baciare : si sentì disperatamente malpratico, goffo. Sulle labbra dischiuse ed offerte, lucide, calde, non raccolse altro che sapore dolciastro, un disgusto profondo che gli impastò la bocca come una saliva malsana. Gli veniva da sputare, da piangere. S'udì improvvisamente un passo pesante sulla ghiaia sottile del marciapiede. Si distaccarono d'un colpo. Era già scesa la sera ed essi non videro che un'ombra passare rapida ed inclilforente. Non si riaccostarono : se mai VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì c'era stato un incanto, era rotto. S'avviarono a ritornare, piano, in silenzio. Carlo si fece animo e disse : « Verrò questa notte a prenderti, dopo il lavoro ». Ma la voce doveva avere un tono piagnucoloso perchè lei si volse a guardarlo incuriosita. Da prima non rispose, poi disse : « Vieni pure ». Era una creatura troppo primitiva per mettere ironia nelle sue parole, ma a Carlo sembrò che ridesse dentro cli sè alle sue spalle e nuovamente fu preso dalla rabbia: la sua consueta insoffribile rabbia impotente. Poi una gran tristezza discese nel suo animo, sui suoi pensieri, come la nebbia autunnale sui platani, mollemente sospesa tra i grandi rami spogli. Cominciò anche a piovere. A terra, sulle foglie secche, la pioggia cominciò a tessere un' impercettibile musica triste. Ai rari fanali era appeso un tessuto mutevole fatto di fili d'argento. Sul piazzale della fiera c'era già fango. Gocciole pesanti gonfie di sudiciume commciarono a lacrimare dai tetti posticci di lamiera, poi rivoli derisi. Le baracche apparivano come una grottesca squallida caricatura di città. Quasi senza avvedersene Carlo si · ritrovò solo, perfettamente solo, tra le pozzanghere. Era tutto bagnato, i capelli gli si erano incollati sulla fronte, lo attraversò un gran brivido. A passi lunghi e salterelli improvvisi per evitare le pozzanghere e il fango si portò sulla via asfaltata. La via diritta e neni, lucida, traversata a quando a quando dai riflessi immobili dei fanali, si perdeva in un infinito di oscurità e di nebbia. Il piccolo Carlo s'avviò sconsolato verso casa. 13

Nel quattrocento, all'epoca, cioè, dello straordinario sviluppo e risveglio artistico di ogni parte d'Italia, anche in Forlì si denota una viva rifioritura artistica, che risente degli influssl dell'arte di Piero della Francesca, della scuola padovana e d.i quella ferrarese. Eccellono in quel periodo alcuni pittori, che hanno dato larga Jama alla scuola romagnola ; e tra costoro il più grande è senza dubbio Melozzo le cui composizioni si distinguono per le figure profondamente umane -ed esuberanti, per gli scorci arditi e per i begli angioli dai capelli inanell<!'ticadenti copiosi fin sulle spalle. Suo scolaro, benchè non ne abbia raggiunta la elevatezza artistica, è Marco Palmezzano, i cui contemporanei sono l'Ansuino, Bartolomeo da' Forlì e Baldassarre Carrari il giovane, nessuno dei quali però ha spiccati legami .stilistici con il Palmezzano. Della vita di questo pittore si sa pochissimo, benchè discendesse da famiglia illustr_e ed assai nota : specialmente· la data di nascita è incerta e oscilla tra il 1459 e il 1463. Sono pure oscure le noti-zie sulla sua giovinezza. Probabilmente conobbe, non risentendone però decisamente gli influssi, i maestri suoi contem14 FondazioneRuffilli- Forlì poranei della scuola ferrarese, bolognese e umbra ; conobbe invece certamente, durantç i suoi frequenti viaggi a Venezia dove aveva interessi commerciali, i più grandi maestri veneziani : e tra questi il Cima e il Giambellino, del quale sentì e assimilò così fortemente la tecnica che alcune sue opere sono state attribuite al maestro veneziano. Non si sa nemmeno con precisione come e quando si iniziò l'amicizia fra il Melozzo e il Palmezzano, e solamente ipotesi si possono /are, desumendole dalle loro opere, ma senza alcun dato di fatto. A poco a poco, sotto la guida del maestro, il giovane pittore acquistò grande fama, che però dovette più al riflesso di quella del Melozza_che al proprio talento ; ma di questo egli non si dolse, anzi se ne vantò, tanto che firmò talvolta le sue opere « Marcus de Melotius ». Ma ben P,,resto questo periodo di gloria della sua arte, periodo che trascorse quasi interamente fuori di Forlì per la caduta della città in mano del Duca Valentino, entrò nella fase · decadente, specialmente per il monotono ripetersi delle composizioni, per l'enorme produzione e soprattutto per la collaborazione degli aiuti di bottega. Morì probabilmente nel 1539, assai vecchio, come attesta l'autoritratto nel Museo di Forlì, in cui è detto ottantenne. Nella moltitudine delle sue opere, le principali appartengono senza dubbio al periodo in cui il pittore sentì maggiormente l' influenza del Melazzo ; una delle opere giovanili nella quale si nota ancora l' incertezza e la « Madonna col Bambino è S. Giovanni » a Padova, che rappresenta un motivo ripe• tuto eccessivamente nelle composizioni posteriori : sulle ginocchia della Madonna, non bella ma austera, giace il Bimbo verso il quale si alza carezzevole la mano materna : vicino ad essi è il piccolo S. Giovanni e sullo sfondo si nota un paesaggio montuoso. Oltre al « TritticÒ » in S. Biagio a Forlì, nel quale l' influenza del maestro è visibile specialmente nell'Angelo musicante ai piedi del piccolo trono della Vergine, ed alla accurata e simmetrica « Incoronazione » di Brera, ci pare di poter considerare come i capolavori del Palmezzano - pur sempre di derivazione dal Melozzo - l' « Annunciazione » del museo di Forlì e la « Madonna in trono col Bambino tra i due Santi» . Nell' «Annunciazione» tutta la scena è soffusa di una chiara luminosità mattutina che si riVIA CONSOLARE

verbera sul volto dolcissimo della Vergine, la quale pare sorpresa nella lettura dei testi 3acri, sull'Angelo inginocchiato e sulle testine dei cherubini, che forma no ghirlanda sull'alto della scena. Sullo sfondo con rupi elevate a sinistra domina la luce diffusa del cielo, che ha pallide sfumature giallognole. La « Madonna col Bimbo tra due Santi » , ci presenta una intima scena che si svolge in un elegantissimo portico a colonne corinzie : vi troneggia la vigorosa immagine di Dio ; bello è pure il contrasto tra l'aspetto fiero di S. Michele Arcangelo VIA CONSOLARE FondazioneRuffilli- Forlì e quello assorto di S. Giacomo. Opere notevoli sono pure il « S. Antonio fra S. Giovanni Battista e S. Sebastiano » nel quale si notano accenni di scorcio nelle teste dei due Santi, e « La comunione degli Apost.oli ». Il Palmezzano è un pittore strettamente quattrocentista e sopraitutto provinciale, e come tale non ha potuto non solo ampliare e continuare l'arte melozziana, ma nemmeno toccare le mète che il maestro aveva raggiunto. Nel suo provincialismo che gli tolse forse la possibilità di rinfrescare e di rinnovare temi ed ispirazione sta il limite della sua arte che invece avrebbe potuto ottenere risultati ben maggiori giacchè possedeva elementi atti a suscitare il successo se sfruttati con intelligenza. Persino il colore, che nelle prime composizioni era fine e smaltato, diventa poi grossolano ; le figure non hanno quasi mai carattere di verità e il paesaggio stesso è trattato in modo da denotare mancanza di senso della natura, come se l' artista fosse stato sommerso dal ripetersi dell'artefice. Per tutto ciò l'arte del Palmezzano non rappresenta che una pallida eco di quella dell'altro maestro forlivese, il Melozzo. 15

PRESENTAZIONE di r/l/1;can[Je!loIJella(/J,lancla Anche Arcangelo Della Biancia - nato nel 1911 a Cattolica · come chi arriva presto alla poesia (e non solamente al motivo poetico ma all'espressione poetica) - si è trovato esposto alle correnti che negli anni del suo fiorire ventilavano sul nostro Paese. E la sua breve sloria mi par sia segnata dallo spontaneo liberarsi del suo vero temperamento lirico - tradizionalmente attaccato ai contenuti ·, da quel che in lui è altrettanto spontaneamente incline alla sottile recezione e alla pronta assimilazione. Il suo essenziale crepuscolarismo (e non dò al termine nessun significato deteriore) che si affermava su di una approfondita esperienza pascoliana - tentò di rinnovarsi per via di stile. Sentiamo, allora, facilmente Ungaretti, Palazzeschi, Govoni (a proposito dei quali la critica dovrà sempre più rifarsi proprio ai crepuscolari). Le lusinghe delle ricerche di stile - comprensibili in A. d. B., artista di ottima preparazione classica e filologica • se l'hanno sviato dall'approfondimento della propria tntima e peculiare ispirazione, l'hanno, d'altra parte, avvezzato a usare • padroneggiandola sempre - la più moderna e audace sintassi teatrale. S'avvia ora, il Poeta, al ritrovamento del più vero se stesso e già ci offre le conchiuse e oggettive suggestioni di poesie compiutamente belle. d. f C'è un microscopico paese sopra una montagna innamorato della filigrana scura degli abeti, ricco dei necessari doni della terra. Ogni alba sorprende gli uomini con innocenti pensieri mentre sull'abetaia sfrecciano i cor\Ji neri. Vorrei andare lassù \Jorrei abbandonare· tutte le nostalgie lungo le mulattiere per godere le. sinfonie del bosco, serrare negli occhi un'ala radente di cor\Jo. 16 Fondazione Ruffilli - Forlì Nella notte passano le \Jele aperte al soffio del \Jento che scivola mugliando fra le dune. Sca\Jano le barche solchi neri colmati da una nera onda. Na\Jigare così \Jerso l'isola emersa dal fondo del mare, l'isola senza nome come non ha nome l'onda. Sca\Jeremo infiniti solchi, infinite onde li colmeranno, con le · \Jele corrose dal salmastro, avanti d'approdare S!J, lucide rive di diaspro, a\Janti che rischiari l' onde nere la fiamma di un astro. Na\Jigare così mentre il vento pare un'orchestra selvaggia e le \Jele, vaste ali notturne, danzano una danza strana. Su questo masso d'arenaria che frantuma il mare e s' imperla di conchiglie, ho scolpito il mio nome. Così quando nessuno ricorderà eh' io \JÌSsi, non mi a\Jranno dimenticato il mare e le stelle. VIA CONSOLARE

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