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Gaetano Salvemini

"Quel che L'Unità non può dare e quel che vuol fare"

«L'Unità», 2 maggio 1913

No. L' Unità non può dare quel «mito» nuovo, di cui hanno bisogno coloro che han perduta la fede in tutti i «miti» antichi.
Il «mito» deve formarsi spontaneo.
Se si farà avanti un nuovo Budda, un nuovo Maometto, un nuovo Gesù Cristo, a rivelarci un «mito» nuovo, che accontenti i nostri bisogni intellettuali e morali meglio di tutti i «miti» antichi, noi ci butteremo dietro alle nostre spalle tutta la nostra anima antica, lasceremo che egli ci spiri un'anima nuova, e lo seguiremo dov'egli vorrà.
Frattanto non intendiamo, mentre la casa brucia, rimanercene inerti ad aspettare il nuovo Redentore.
E cerchiamo di fare la sola cosa utile, che oggi si possa tentare. Cioè agli uomini, e soprattutto ai giovani i quali non hanno perduto la fede negli ideali della democrazia per causa della pratica democratica di quest'ultimo decennio, ma disgustati appunto di questa pratica militano di mala voglia nei vecchi partiti o riluttano ad entrarvi, e vorrebbero agire e non sanno come agire - ecco, lo ripetiamo, la sola «crisi spirituale», che siamo disposti a prendere sul serio - a questi nostri fratelli di «buona volontà democratica», noi offriamo il frutto della nostra esperienza dolorosa.
E diciamo ad essi che non devono perdere la fede nei loro vecchi ideali; non devono illudersi, cambiando bandiera, di trovar requie al loro scontento; «miti» nuovi costruiti volontariamente, potranno sempre trovarne tra i ciarlatani pronti a sfruttare il loro desiderio di novità. Un'ideale migliore dell'ideale democratico non c'è; quel che essi devono combattere accanitamente è la pratica in cui durante quest'ultimo decennio si sono impantanati i deputati, i giornalisti, gli organizzatori, in genere quasi tutti i politicanti dei partiti democratici; a questa vecchia pratica, la quale è non la realizzazione ma la sofisticazione e il tradimento della democrazia, devono opporre non un altro ideale ma una pratica nuova: la quale è di fronte a questo problema la seguente, di fronte a quest'altro problema quest'altra, e così di seguito.
A quelli tra i democratici, insomma, che si sentono disorientati fra gl'ideali democratici a cui continuano a credere e voler credere, e la pratica democratica di quest'ultimo decennio che giustamente li disgusta, noi ripetiamo quel che dicevano i «fraticelli» del '300 agli uomini del loro tempo, disorientati anch'essi fra la fede cristiana e lo spettacolo giornaliero della vita del clero: «Rimanete nella vostra chiesa, ma ribellatevi contro il vostro vescovo!».
Il nostro giornale può creare nuove correnti di sentimento democratico; ma, presupponendo la esistenza sempre fresca e viva di queste correnti, le quali scaturiscono da origini ben più larghe che non possa essere la volontà cosciente di un gruppo di uomini e sono il prodotto naturale di tutta la moderna evoluzione sociale, cerca di preparare un nuovo gruppo di condottieri capaci di mettersi a capo delle moltitudini mosse dal sentimento democratico, e di canalizzare questo sentimento verso una nuova pratica democratica assolutamente opposta a quella di quest'ultimo decennio.
Non bastano, no, i programmi tecnici a muovere le moltitudini ―lo sappiamo benissimo― e perciò quando parliamo alle moltitudini, non parliamo né di cifre né di statistiche. Ma un movimento di moltitudini, che al momento della realizzazione concreta sotto forma di conquiste immediate, non trovi che dei somari o dei commedianti come artefici di questa realizzazione, quel movimento è destinato ad un sicuro fiasco, cioè è destinato a qualcosa di peggio che alla sconfitta: alle falsificazioni più grossolane e più disgustose, accompagnate dalle più dolorose e pericolose «crisi spirituali» dei seguaci; e perciò noi parliamo sull'Unità ai possibili condottieri d'un nuovo movimento democratico quel linguaggio di cifre e di tecnicismo, che serva a prepararli al momento della realizzazione a fare meno spropositi e meno porcherie dei loro.antenati.
La crisi presente dei partiti democratici non può essere eterna. O prima o poi le masse dei partiti democratici ritroveranno nuovi slanci di sentimenti, nuove necessità di battaglie, nuove speranze di conquiste.
Per quel momento è necessario impedire ai vecchi somari e commedianti della democrazia di ripetere le esperienze del decennio trascorso. Per quel momento è necessario che i morti abbiano già sepolto i loro morti, che i vecchi condottieri siano irreparabilmente discreditati e disfatti come si meritano, che le moltitudini abbiano già presa l'abitudine di combatterli come conservatori e di non affidare alle loro mani i loro destini come « rivoluzionari ». E il posto dei vecchi politicanti messi a riposo è necessario che sia stato frattanto occupato da uomini nuovi, i quali sappiano quello che vogliono, e non ritornino ad impantanarsi daccapo nel grossolano anticlericalismo asinino, o nella miserabile postulazione di favori per questo o quel gruppo di proletari aspiranti non a combattere i privilegi di cui soffrono insieme con tutti i loro fratelli di fatica, ma solo a conquistare privilegi nuovi per sé a spese dei loro fratelli di fatica e a furia di ricatti pseudo-rivoluzionari.
Il concretismo dell'Unità, amico Modugno, si rivolge non a coloro che hanno ancora bisogno di orientarsi, cioè non sanno ancora se essere clericali o anarchici, nazionalisti o socialisti. Questi infelici, evidentemente, non possono sapere che farsene del nostro concretismo; e tu hai ben ragione a dire che il nostro concretismo servirebbe solo ad aumentare lo sconquasso spirituale.
Il nostro giornale è fatto, invece, per coloro che hanno già scelto il loro posto di combattimento, e solo hanno bisogno di « capire sempre meglio » con quali metodi nuovi occorre in avvenire combattere per non ripetere le corbellerie dei vecchi politicanti.
E forse anche a qualcuno di coloro, che come l'asino di Buridano, incerti fra due fasci di fieno minacciano di morir di fame, il nostro piccolo giornale può essere utile.
Alcuni fra costoro non meritano, in verità, i nostri sarcasmi feroci di gente che non ha tempo da perdere a consolar nevrastenici. Sono tutt'altro che infecondi sognatori di ideali, e non pensano affatto a utilizzare le loro eterne crisi spirituali per dissimulare il loro egoismo poltrone e per criticare chiunque tenta di fare qualcosa di utile agli altri mentre essi non sono capaci del minimo sforzo disinteressato.
Sono uomini sinceramente desiderosi di azione, pronti a qualunque sacrificio, spasimanti quasi dal bisogno di darsi a una causa giusta e nobile; e soffrono acutamente dell'attuale crisi di tutti i partiti: vorrebbero trovare una schiera in cui inquadrarsi, e non ne trovano nessuna a cui offrire il loro devoto lavoro.
Costoro non hanno ancora le idee chiare. Perciò non possono agire. E la loro sofferenza è il travaglio di un'anima che vuole e non può esprimersi.
Ebbene a costoro noi possiamo essere utili in un modo solo : operare per conto nostro, con la maggiore chiarezza, con la maggiore logica possibile, dimostrando, via via, che la nostra azione è la sola conseguenza logica possibile dei nostri ideali. Così li aiuteremo a chiarire le loro idee con gli urti brutali e continui della nostra azione reale. Alla fine. riusciranno, con l'aiuto delle nostre esperienze, a sbrogliare la loro matassa : o verranno con noi, o passeranno nel campo opposto al nostro.
Questo non vuoi dire che i vecchi ideali democratici, pur rimanendo in noi sempre vivi nei loro nuclei fondamentali, non debbano essere in molte parti rielaborati, meglio chiariti, più rigidamente formulati.
Un processo di revisione è, evidentemente, necessario.
La discussione finora avvenuta è stata utile, mi sembra, a mettere in rilievo questa necessità.
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