Nicola Chiaromonte Grandi Opere Opere di Francesco Saverio Merlino Opere di Aurelio Saffi Opere di Gaetano Salvemini Opuscoli mazziniani dal fondo Ami all'Istoreco di Forlì Opuscoli socialisti dal fondo Schiavi della Biblioteca Saffi di Forlì Biblioteca della Cooperazione - libretti Congresso per la libertà della cultura - libretti tracce da seguire Prima guerra mondiale "L'Unità" di Salvemini "Volontà" "politics" vai all'elenco completo ricordiamoli voci da ascoltare pagine da leggere
|
Gino Bianco
Chiaromonte-Caffi, lettere e altro
Tratto da Settanta, III (1972), 23, pp. 38-46
Pubblicato in Gino Bianco, Socialismo libertario. Scritti dal 1960 al 1972. Prefazione di Alan J. Day, quaderni dell'altra tradizione, 5, Una Città, 2011
(Una diversa versione di questo contributo in GINO BIANCO, Chiaromonte and Caffi. The Story of a Friendship, in «Survey», Vol. 26, n. 2 (115), Spring 1982, pp. 8-17)
L’amicizia tra Andrea Caffi e Nicola Chiaromonte, i loro rapporti di
maestro-discepolo sorretti da una reale affinità di idee, di valori e da
una profonda solidarietà, sono un esempio eloquente del modo in cui
cultura e vita interagiscono l’una con l’altra.
Si erano conosciuti a Parigi nel 1932 e già quel primo incontro ha il
tratto saliente degli eventi memorabili. Da Roma dov’era rientrato
verso la fine dell’anno, Chiaromonte gli scriveva: "Mi manca del tutto
il sentimento di una società di spiriti, se non con lei. Sento che
vicino a lei, tutto andrebbe meglio per me: o almeno avrei un maestro
nel senso piu concreto, un uomo vicino al quale mi sarebbe piu facile
vincere la sfiducia e la desolazione”.
Caffi, d’altra parte, riconobbe subito in Chiaromonte uno spirito
affine giacché nell’irrequietudine intellettuale di quel giovane c’era
l’affermazione della qualità in qualche modo morale dell’intelligenza e
la conferma -per diria con Charles Peguy- che anche per un intellettuale
"niente è più importante di una vita che rigorosamente si giuoca una
volta sola”. All’origine della rivolta di Chiaromonte contro la
dittatura mussoliniana c’era qualcosa di più e di diverso rispetto alle
motivazioni ideologiche dell’antifascismo ufficiale: il disgusto per la
costrizione e per la brutalità meccanica, un’insofferenza di tipo
esistenziale che lo rendeva fisicamente incapace di adattarsi a un mondo
(e quindi non già soltanto al regime fascista) che gli dispiaceva
profondamente per la "sua assenza di valori d’ordine, di forma, di
razionalità", la convinzione ragionata, infine, che ogni idea per essere
vera, in ultima analisi, deve essere coerentemente vissuta.
E anche in questo aspetto della sensibilita di Nicola, Caffi riconobbe subito un’affinità elettiva.
Nelle interminabili discussioni che negli anni trenta agitavano gli
ambienti dell’emigrazione antifascista a Parigi sulle forme di azione di
un movimento rivoluzionario, le opinioni di Caffi e Chiaromonte erano
evidentemente eterodosse: "per riconoscere un rivoluzionario -scrivono -
vogliamo sapere come agisce non colle ‘posizioni’ ma con gli Uomini”.
Di fronte alla crisi che scuoteva la società europea e si estendeva
anche ai "valori culturali”, alla degenerazione della rivoluzione russa,
all’avvento dei totalitarismi, alla meccanizzazione brutale della
società, cominciare "a pensare fuori dalla politica” divenne il
programma di questi neo-illuministi. Caffi pensava socraticamente con
gli altri e per gli altri, non scriveva saggi o articoli per pubblicarli
ma lettere e note agli amici per chiarire od approfondire qualche punto
che era stato sollevato nella conversazione (e soltanto per la grande
insistenza degli amici alcune di queste lettere o note apparvero sul
settimanale e nei Quaderni di Giustizia e Libertà). "Il discorso” che
Caffi pianamente faceva era quello di un filosofo antico intento a
ricostruire l’immagine di un mondo scisso e frantumato. Il ritorno a
Proudhon voleva essere un ritorno "alla filosofia religiosa del popolo”,
a un’idea della Giustizia intesa come facoltà che ci permette di
"sentire il nostro essere negli altri”. Alla credenza di un progresso
lineare indefinito Caffi e Chiaromonte contrappongono la tradizione del
socialismo cosiddetto utopistico e la convinzione che "la società umana
costituisce un problema sempre presente e sempre risorgente, il quale
potrà o non potrà avere una soluzione finale, ma esige ad ogni modo di
essere tenuto aperto attraverso tutte le vicende della storia”.
Bisognava mettersi fuori dalla politica giacché ritenevano futile
"organizzare la Repubblica quando il problema era organizzare la
società”.
L’esempio di Platone suggerisce che "con le città corrotte non c’è
nulla da fare” e che ci sono momenti nella storia "in cui è ragionevole e
lungimirante abbandonare ogni speranza di risultati immediati e
massicci”. Ma mettersi fuori della politica non implicava anche mettersi
in un punto in cui si rifiutano tutti i principi di corruzione,
possibile soltanto con un "ascetismo” senza riguardi per una quantità di
cose che in un’altra prospettiva appartengono alla "civiltà” e alla
"cultura”? Su un piano astratto e intellettualistico poteva esserci
contraddizione, ma su un piano esistenziale no "giacché non si tratta
affatto di ‘valori’ ma di moeurs, di influenza diretta e di scoperta di
modi di essere”.
C’è un aspetto ulteriore e più vasto nella loro "descrizione della
crisi”: la crescente frantumazione della sensibilità e della conoscenza
artistica e culturale della nostra epoca aveva creato una situazione in
cui l’arte e la cultura non sono più sentite come qualcosa a cui si
possa ricorrere per trasmettere le verità comuni e fondamentali
dell’amore, della fede e del dolore.
All’origine di quel cenacolo di discepoli e ammiratori che nella
Parigi tra le due guerre si era formato attorno a Caffi c’erano
un’esperienza comunitaria e una solidarietà d’affetti. Nelle
conversazioni o nelle lettere che questi amici si scrivono si parla di
idee, si discutono teorie filosofiche e artistiche, si fanno progetti
culturali, ma dominante e ricorrente c’è l’aspirazione a formare una
comunità di amici, "a vivere insieme per le nostre idee”. In quegli anni
la Comune avrebbe dovuto, almeno per cominciare, riunire i componenti
di quella che scherzosamente veniva chiamata la "gang” e cioè oltre a
Caffi e Chiaromonte, Mario Levi e Renzo Giuà.
Ma chi era questo Andrea Caffi, l’"eremita socievole” intorno a cui
si era stretta la gang? Cospiratore nella Russia zarista (era nato a
Pietroburgo nel 1886), studente universitario a Berlino e parteci-pe
dell’avanguardia artistica nella Parigi dell’inizio del secolo,
fuoruscito sovversivo tra le due guerre, il viaggio interiore di Caffi
conduce in zone profonde della coscienza, "au bout du possible”.
Chiunque l’abbia conosciuto ha sentito di trovarsi di fronte ad un
grande uomo dotato di qualità intellettuali eccezionali. La sua memoria
era prodigiosa, le sue argomentazioni sempre profonde ed acute. E
tuttavia i suoi scritti, non meno della sua vita, hanno il tratto del
non concluso. Saggi sorprendentemente geniali che sembrano promettere
libri che avrebbero rivaleggiato con quelli dei piu grandi storici e
filosofi. Ma questi libri non sono stati scritti. La sua biografia
potrebbe forse aiutarci a capire il perché. Dietro quella personalita
geniale c’è un uomo tormentato, a tratti ossessivo, dominato da un
profondo senso di colpa. "Saranno le misere e meschine condizioni
dell’esistenza -scriveva a Levi nell’estate del 1935- sarà l’avvilimento
per avere vissuto senza aver fatto nulla di buono (l’assicuro che
questa volta almeno la storia di Bisanzio non c’entra per nulla). Fatto è
che in mezzo a qualunque faccenda mi vince una fiacchezza fatta di
tedio e di sorda disperazione, e le ultime energie servono a ‘mantenere
un calmo contegno’ a ‘fare come se nulla fosse’ mentre irrimediabilmente
mi sento scivolare in giù verso il buio, il regno delle ombre (o delle
menzogne pietose)”. Nell’intimo della sua coscienza non gli resterà che
la risorsa dell’ironia, dell’orrore per la meschinità e il compromesso,
la nobiltà dei sentimenti. Non ha la-sciato che dei frammenti tanto la
sua vita obbediva all’impazienza di essere smisurato. Ma a questa
incapacità di limitarsi, di darsi una misura si accompagnava il bisogno
profondo di essere accettato almeno da un gruppo di amici per quello che
era, un declasse magari, o un maudit. Aveva cercato la verità sul
cammino volta a volta del nichilismo, della rivolta, del misticismo e
come Apollon Grigorev ripeterà tutta la vita: "comunque inizi, arrivo
sempre allo stesso risultato, un profondo e doloroso bisogno di credere
ad un ideale”. L’idea del sacrificio e di una reale comunione, presente
in tutta la tradizione rivoluzionaria russa, influenzò Caffi fin da
ragazzo. Diceva di aver sperimentato da adolescente "momenti unici,
ineffabili d’amore e d’amicizia e di aver vissuto fin dall’infanzia
nell’aspettativa della grande catastrofe”. I racconti delle rivolte, dei
processi, della cospirazione lo colpirono profondamente. Caffi ragazzo
sentiva che qualcosa di straordinariamente importante stava accadendo
nella Russia di fine secolo. Più tardi scriverà di "aver vissuto fin
dall’infanzia, nell’aspettativa della grande catastrofe rinnovatrice e
di aver sempre considerato l’andazzo sociale e morale del mondo in cui
viveva da un punto di vista patologico”. Ma due erano state, fin
dall’adolescenza, le esperienze fondamentali della sua vita: il culto
della Bellezza e la solidarietà umana.
Certo, c’erano momenti di "caduta” nella vita di Caffi, di quasi
allucinazione angosciosa, desolata e a tratti terribile. Ma
paradossalmente, quello che più colpiva di lui in chi lo avvicinava, non
meno delle sue eccezionali doti di intellettuale, erano una squi-sita
gentilezza, una sottile raffinatezza che gli facevano trovare la
bellezza, il senso vivo della solidarietà e l’eleganza anche nella
circostanze più semplici e banali della vita. Poiché detestava la
tetraggine, cogli amici si mostrava gioioso, qualche volta perfino
frivolo, pieno di attenzioni delicate per coloro che amava e che aveva
ammesso nella sua intimità. Il suo vivere alla ventura non curante di
ogni esigenza pratica; la sua irriducibile irrequietezza dello spirito
che si manifestava anche in una totale incapacità di ac-cettare il
benché minimo compromesso che offendesse la sua sensibilità, e infine la
"gratuità" delle sue reazioni e comportamenti accrescevano le
difficoltà e l’imbarazzo anche in chi cercava di aiutarlo. Era difficile
sottrarsi all’impressione che la sua esistenza fosse una specie di
testimonianza dell’assurdo, in ogni caso, una testimonianza di quel che
può capitare ad un uomo. "Non avevo mai avuto -scriveva Mario Levi ai
genitori- un gruppo di amici così simpatici. Specialmente Andrea Caffi
che è una persona straordinaria. Disgraziatamente è in uno stato di
delabrement fisico e materiale veramente impressionante. Quest’inverno
mangiava una volta al giorno e certi giorni neanche. Credo di avervi già
scritto che è stato messo in prigione prima dallo Czar e poi dai
bolscevichi”.
Ci vollero anni per convincerlo ad accettare una collaborazione
retribuita con Angelo Tasca in una specie di impresa politico-culturale
organizzata dai socialisti italiani in esilio e una non minore fatica
per fargli accettare nel secondo dopoguerra un incarico di "lettore”
presso Gallimard. Ma qualche tempo dopo, Chiaromonte e Albert Camus che
lo avevano introdotto presso la Casa Editrice si accorsero che rifiutava
deliberatamente ogni compenso, e ci vollero molte affettuose insistenze
per fargli cambiare opinione.
Tatiana Osserguine, pronipote di Bakunin, una grande amica di Caffi
devota, oltre che alla causa della giustizia e della libertà alla
memoria dei due uomini (suo marito Michael, lo scrittore e giornalista
libertario, e Caffi) racconta che non fu mai possibile indurre Caffi a
prendere la benché minima iniziativa per risolvere qualcosa di pratico
(fosse anche il semplice rinnovo di una carta d’identita, delle preziose
tessere alimentari negli anni bellici del razionamento, o si trattasse
di un documento per usufruire dell’assistenza medica gratuita).
Come mai un "refrattario” così irriducibile, trovava poi abbastanza
naturale accettare denaro e aiuti dagli amici? La risposta è Caffi
stesso a fornirla: "E’ che in questo caso -scriveva nel 1912 in una
lettera a Prezzolini- il motivo, il carattere dei rapporti, la moralità
superiore che muove l’amico mi sono chiari: qui c’è veramente la
solidarietà del nostro ‘mondo’ che in mille modi ad ogni momento puo
manifestarsi ed essere riconosciuta senza equivoci”.
La sua vita povera, il rifiuto non solo di ogni carriera ma
semplicemente di ogni minimo accomodamento alle ragioni del mondo, erano
la testimonianza di una coerenza eccezionale, un esempio di quel che
costasse "vivere come un uomo libero in un mondo, come quello
contemporaneo, servo dell’utile, del successo e della forza”. Era questo
esempio, non meno del rigore intellettuale e dell’immensa cultura, che
colpiva profondamente e al tempo stesso affascinava: "Sarà stata una
delle fortune, se non la grande fortuna della mia vita -gli scriveva
Chiaromonte nel 1935 - aver potuto discorrere di queste cose con lei [le
idee di Proudhon e Herzen] . . . e dietro c’e sempre l’esempio”. E’ da
questo esempio che nasceva la leggenda di Andrea, una leggenda che non
era limitata al mondo, dopotutto abbastanza chiuso dell’antifascismo
italiano (e della quale hanno parlato Aldo Garosci e Natalia Ginzburg in
Lessico famigliare) ma si estendeva ai circoli dell’emigrazione russa
di Parigi, e dopo la guerra, attraverso l’Atlantico, per proiettarsi sui
gruppi radicali e socialisti dell’intellighentia americana di New York.
La "Comune” non si realizzò né allora né dopo, ma restò sempre come
un’aspirazione, un sogno irrealizzabile stroncato dagli eventi della
vita. Quando scoppiò la guerra civile spagnola Chiaromonte si arruolò
nella squadriglia aerea di Malraux; Giua nelle Brigate Internazionali,
mentre Caffi a Parigi aiutava, nel laboratorio del grande fisico
francese Langevin, a riparare telemetri, cannocchiali, materiale ottico
di precisione per l’esercito repubblicano spagnolo.
Renzo Giua pagò con la vita un coraggio che Chiaromonte in una
lettera a Levi definiva "spaventoso, giacché non si ha idea di quel che è
capace di fare”. Quanto a Nicola, in Spagna aveva visto -come scriveva
da Madrid- "tutti gli sforzi dei ‘politici’ convergere verso la
separazione della rivoluzione dalla guerra”.
La farsa del non intervento organizzata dai conservatori inglesi e
imposta alla Francia del Fronte popolare, i conflitti tra comunisti e
anarchici, la tragedia del maggio 1937 a Barcellona in cui la polizia
segreta militare controllata dai comunisti attaccò con la forza gli
anarchici e i trotzkisti del POUM, gli confermarono -come scriveva a
Caffi- "l’assurdità e l’incongruenza di ogni moto politico nell’attuale
situazione. L’inanità di ogni partito preso dovrebbe finalmente imporsi
alle menti ed è soprattutto questo, credo, lo stato d’animo profondo
delle masse popolari spagnole”.
Ma ormai la tragedia della Spagna volgeva verso il suo esito fatale.
La "politica” non aveva davvero più alcun senso -anche se in fondo
rimaneva la speranza che non fosse così- o per meglio dire, "aveva
acquistato quella disumana dissennatezza di cui l’Europa doveva
conoscere presto ben altri estremi”.
Per Caffi l’esito della guerra civile spagnola fu un’ulteriore
conferma della disgregazione dell’Europa; per Chiaromonte fu anche
qualcosa d’altro: "la fine della giovinezza”. L’esperienza spagnola
sembra come fornirgli la prova, contro ogni pretesa razionalistica,
dell’irrealtà del mondo attuale. Diceva -in una lettera a Caffi- di aver
provato, al ritorno dalla Spagna, un sentimento tutto affatto nuovo:
"il rifiuto a volte selvaggio di affermare qualcosa oltre i confini di
una determinata esperienza ... La coerenza della dialettica come
l’armonia delle forme, la ‘perfezione’ insieme ad una specie di
conclusività logica, non solo non sembrano ‘valori’ ma il contrario: il
terreno vago e sdrucciolevole in cui tutto si perde e stempera. Quello
che si è chiamato il ‘razio-nalismo’ è rispetto a questa esperienza
quello che la scimmiottatura è rispetto al fatto serio. La verità è che
si ha sempre a che fare con casi”.
La guerra mondiale e il crollo della Francia travolsero e dispersero
quel gruppo di amici. Durante l’invasione tedesca della Francia, Nicola
in pericolo di essere arrestato fuggì da Parigi. Inutilmente cercò di
portare con sé la moglie Annie che ormai stremata da una lunga malattia
polmonare gli morì fra le braccia. Riuscì avventurosamente a raggiungere
l’Africa del Nord e di lì a trasferirsi negli Stati Uniti. Caffi e Levi
lasciarono Parigi a piedi quando ormai c‘erano i tedeschi alla
periferia della citta e finirono in un villaggio vicino a Tolosa. Mario
entrò poi nei Maquis mentre Andrea rimase a Tolosa.
Circondato dappertutto da "precarieta e angoscia”, ammalato,
costretto in una solitudine terribile "in cui tutte le cose quotidiane
sono motivo di sofferenza” gli anni trascorsi a Tolosa durante la guerra
furono tra i più tragici nella vita di Caffi. In una lettera a Tatiana
Osserguine confida di sentire un fondo cupo di disperazione, un dolore
cocente dentro di se che gli impedisce quasi di "ragionare e
comprendere”. In questo clima di distruzione -scrive- si sente qualche
cosa di predestinato ed è per questo forse che "la mia solitudine è
mille volte piu penosa”. A Tolosa Caffi partecipa all’attività dei
gruppi della resistenza francese, spagnola e italiana, e tuttavia
confessa di non riuscire a condividere le loro speranze di
"rigenerazione”, giacché la sua è anche una crisi di credenze, aggravata
dal sentimento di "non essere partecipe di qualche cosa di definite”.
Tutto quello che sta accadendo adesso – aggiunge- non si può paragonare a
niente di quello che pensavamo noi, non si può inserire nelle
concezioni intellettuali e morali della nostra generazione . . . L’unica
cosa solida è il mondo dell’amici-zia, un’amicizia attiva come quella
che anche a me ha dato la salvezza”.
Perché Nicola non restò vicino all’amico e al maestro anziché
lasciare la Francia e raggiungere gli Stati Uniti? Dopo la fine del 1941
Caffi non saprà più niente di Nicola giacché la guerra impedisce anche
lo scambio epistolare. Andrea sentì il dolore di questa separazione e un
giorno confidò a Levi di considerare quasi come un "oltraggio” il modo
in cui Nicola l’aveva abbandonato. Anche Nicola sentiva il rimorso
struggente e il desiderio di ricongiungersi all’amico: "Di avervi
lasciato, caro Andrea, -gli scriveva- è stato da parte mia un abbandono,
una mutilazione, un gesto brutale, la rottura deliberata del legame più
forte e più profondo che io avessi giacché la mia amicizia per voi non
era un hasard ... Mi ero ripromesso di restare con voi –aggiungeva-, ma
se non l’ho fatto è perché voi mi avete scoraggiato e mi avete fatto
capire che partire o restare non avrebbe fatto grande differenza. Ciò
accade a causa del rifiuto del vostro spirito -quella facoltà malefica e
terribile che c’e nel vostro spirito- di rifiutarsi precisamente alle
offerte d’amore e di devozione”.
Dopo la liberazione della Francia e la fine della guerra i due amici
potranno finalmente ristabilire un contatto, avviare un fitto scambio
epistolare. Per Caffi era come riprendere l’antico discorso,
brutal-mente interrotto, degli anni parigini della "Gang”, mentre Nicola
osserva da parte sua che era come "riascoltare, con un accento nuovo
delle cose che aveva tante volte sentito dalla sua viva voce … E questo
piccolo fatto della nostra corrispondenza diventa frequente, mi dà molto
coraggio”. Nicola cerca di rendere partecipe l’amico delle sue
esperienze newyorkesi, gli presenta, in rapidi bozzetti, gli amici che
frequenta, o gli parla degli intellettuali americani, gli comunica di
aver sposato Miriam, "un’affettuosa ed intelligente ragazza”.
Ma c’è un tema dominante al quale torna sempre: il ricordo degli anni
parigini "della seconda giovinezza”; il ricordo di Caffi e il dono
della sua amicizia erano "le cose piu preziose della sua vita”. Ma
cos’era diventato in questi anni in America? "Un provinciale temo -
rispondeva Nicola e aggiungeva: del resto Herzen aveva già osservato che
quello che si decideva al di là dell’Atlantico era perduto per
l’Europa. L’America è ostile per quello che in Francia si chiama
intelligence non in teoria o per principio, ma nei fatti”. Quanto allo
stato attuale del mondo si sentiva sempre più spinto verso la filosofia
come il solo rifugio dell’intelligibile. Giacché "per quanto riguarda la
storia contemporanea è diventato il terreno non soltanto dell’assurdo
ma della perversità nauseante. Ai tempi di Hitler e di Mussolini
sembrava ancora d’avere dei punti di riferimento e delle alternative.
Oggi tutto va alla deriva. Il dibattito sulla bomba atomica che ha luogo
in America è, a questo riguardo, molto significativo”.
Tra i due amici si torna a parlare di vecchi e nuovi progetti (una
piccola casa editrice, una rivista) e, naturalmente riemerge l’idea
della "Comune” da impiantarsi questa volta in America, o a Parigi e
perche no?, perfino in Italia. C’era molta incertezza però da parte dei
nuovi amici newyorkesi sui tempi dell’operazione e, come al solito,
molta riluttanza da parte di Caffi. A un certo punto prese corpo l’idea
di portare Caffi a New York, almeno per qualche tempo, e con la
possibilità infine -gli scriveva Nicola- "di consacrarvi con qualche
regolarità a un lavoro intellettuale”. Aldo Bruzzichelli, solidale del
gruppo newyorkese di Nicola, un giovane fiorentino di talento che univa
nella sua persona la sensibilità di un artista con l’efficienza
manageriale viene mandato in Francia per portare a termine la missione,
"Andrea in America”. La ritrosia di Caffi sarebbe stata invincibile
ancor più per un "manager” che non avesse avuto le delicatezze e la
sensibilità di Bruzzichelli. La missione abortì, e il macchinoso
progetto del viaggio americano di Caffi, si concluse a Marsiglia dove i
due amici erano andati per informarsi circa l’eventuale viaggio a New
York.
Le lettere che Caffi continuava a scrivere a Nicola venivano intanto
tradotte in inglese e pubblicate su Politics, la rivista di Dwight Mac
Donald. Erano descrizioni angosciose della catastrofe che s’era
abbattuta sull’Europa, degli effetti prodotti dalle barbarie naziste,
della crisi in cui era precipitata la cultura e la sensibilità del mondo
contemporaneo. In quei "frammenti” di lettere emerge un’idea del
socialismo come difesa del processo di "razionalizzazione” (che Max
Weber, fin dall’inizio del secolo, aveva indicato come la caratteristica
del mondo contemporaneo) e si delinea una concezione del mito secondo
cui una società e tanto più civile quanto più ricca è la sua mitologia.
Nicola, felice di potergli comunicare che finalmente "il discorso di
Andrea era compreso in America”, organizza (con il contributo degli
amici newyorkesi) l’invio di un regolare aiuto finanziario (cento
dollari al mese) quale compenso anticipato di un lavoro che Caffi
avrebbe dovuto fare giacché "le vostre considerazioni e più ancora lo
stile inimitabile del vostro pensiero e piu che mai prezioso”. Caffi era
meno disposto a condividere l’entusiasmo dell’amico-discepolo. La
pubblicazione di quelle note in un "anglais assez sterilise” e per un
pubblico che "ha tutta l’aria di essere profondamente indifferente” non
era stimolo sufficiente a rallegrarlo. Continuava anzi a ripetere che la
sua vita era più difficile che mai giacché era ammalato, solo, povero,
irrimediabilmente incapace di progettare il futuro; in una parola,
sentiva che le circostanze in cui viveva "avevano trasformato anche
un’umile vita in qualcosa di terribile e di irreale”.
Nicola d’altra parte, si giustifica di non potere fare di più ("i
suoi guadagni erano scarsi ed irregolari”) lamenta la solitudine e la
tristezza di New York, confida all’amico di attraversare lunghi periodi
di angoscia e di depressione nei quali si sentiva "arido, incapace di
dare forma e coerenza alle idee”. Vuole tornare in Europa,
ricongiungersi al maestro e all’amico, tentare insieme un’iniziativa
culturale, unico modo, forse, "per ridare un senso alla mia esistenza”
giacché "credo anche di poter dire, che dopo la mia prima giovinezza non
ho cercato niente con altrettanta passione che l’occasione di dedicarmi
ad una causa”.
Questa volta anche Albert Camus (che Nicola aveva conosciuto nel Nord
Africa e del quale restò amico fino alla morte dello scrittore
francese) sembra disposto ad associarsi all’iniziativa. L’idea di Camus è
di unire le disperse forze intellettuali ("formare una società nella
società”) per una battaglia culturale che salvi "l’Europa e il suo
destino” e il suo progetto trova naturalmente un’adesione immediata in
Chiaromonte. L’amicizia e l’ammirazione di Nicola per Camus nasce dal
fatto -come Nicola scriveva a Caffi- "che questo ritorno su se stesso di
uno spirito che colpito dall’orrore e dall’assurdo del nostro mondo si
rifiuta all’ambiguità in nome della dirittura, fa risplendere di nuovo
-naturalmente su un fondo di disperazione e di nausea- la luce della
ragione e la dignità dell’intransigenza morale”.
Nicola tornerà in Europa, a Parigi prima e poi in Italia, rivedrà
Caffi, insieme progetteranno ancora di fondare una "Comune” non già "per
creare artificialmente dei mistici, ma per continuare a ragionare,
esplicitamente, analizzare il più possibile accettandone tutti i
rischi”. Da parte sua Caffi lasciò Tolosa per tornare ad abitare a
Parigi e la sua vita "rimase quella che era sempre stata: povera e
prodiga”. I due amici non vivranno insieme, ma quel mondo di passione,
di ragione e di affetti che c’era in loro continuera tenerli legati.
Poco prima della morte di Caffi (1955), Nicola gli scriveva da Roma:
"Credetemi, nessuna distanza, nello spazio o nel tempo, potrebbe
affievolire l’amicizia, la riconoscenza, l’ammirazione infine che io ho
per voi. La vostra amicizia, è stata per me un conforto e un lume nella
confusione e negli errori del ‘secolo’”.
Per ogni singola richiesta da 1 a 25 pagine chiediamo un contributo minimo di 5 Euro. Per ogni richiesta che supera le 25 pagine applichiamo (in aggiunta ai 5 euro) una tariffa di 0,10 Euro a pagina. In caso di richieste multiple proporremo noi un considerevole sconto.
Digita almeno 3 caratteri validi. Gli spazi all'inizio e alla fine del testo non sono considerati caratteri validi e verranno eliminati.
Grazie per la richiesta che hai appena inviato. Sarà nostra premura risponderti nel più breve tempo possibile.
|
da sfogliare
Anche su iPhone, iPad e su smartphone e tablet con sistema Android.
Le pagine non si possono stampare né scaricare, ma si può richiedere l'invio di fotocopie o PDF dei documenti desiderati, previo contributo per rimborso spese.
Riviste sfogliabili
ABC (46 numeri) Acpol notizie (9 numeri) Almanacco del Partito socialista italiano (1 numeri) Almanacco enciclopedico del "Popolo d'Italia" (21 numeri) Almanacco italiano : piccola enciclopedia popolare della ... (7 numeri) Almanacco popolare socialista (1 numeri) Almanacco socialista (2 numeri) Almanacco socialista italiano (2 numeri) Aretusa (14 numeri) Argomenti Radicali (13 numeri) Biblioteca di propaganda per i lavoratori (5 numeri) Bollettino della Commissione nazionale lotte operaie (7 numeri) Classe (14 numeri) Compagni! per la propaganda socialista (30 numeri) Critica Sociale (881 numeri) Cultura e realtà (3 numeri) donne chiesa mondo (75 numeri) Entretiens politiques & littéraires (16 numeri) Fiera letteraria (774 numeri) Fine secolo (53 numeri) Giustizia e Libertà (276 numeri) Grand Hotel - 1968 (45 numeri) il manifesto (16 numeri) Il Pensiero (176 numeri) Il piccolo Hans (70 numeri) il Potere (10 numeri) Il Quarto Stato (30 numeri) Il Socialismo (70 numeri) L'Acropoli (15 numeri) La Critica Politica (84 numeri) La Critique Sociale (11 numeri) La Difesa della Razza (6 numeri) La Difesa delle Lavoratrici (217 numeri) la Libertà (289 numeri) La Nuova Commedia Umana (34 numeri) La Nuova Europa (67 numeri) La Prova Radicale (8 numeri) La Rivoluzione Liberale (160 numeri) La Roma del Popolo (57 numeri) La Terra vista dalla Luna (9 numeri) L'Unità (367 numeri) La Voce (110 numeri) La Voce di Molfetta (26 numeri) Lettere ai Lavoratori (16 numeri) L'Avvenire del Lavoratore (636 numeri) L'Espresso - 1968 (52 numeri) l'ordine civile (33 numeri) Lo Stato (24 numeri) Lo Stato Moderno (83 numeri) Lotta Continua (51 numeri) Mercurio (29 numeri) Noi Giovani (6 numeri) Nord e Sud (173 numeri) Nuova Repubblica (175 numeri) Nuovi quaderni di Giustizia e Libertà (4 numeri) Oggi (136 numeri) Ombre bianche (5 numeri) Ombre Rosse (35 numeri) Pagine libertarie (27 numeri) Pattuglia (16 numeri) Pègaso (54 numeri) Pensiero e Volontà (59 numeri) politics (42 numeri) Problemi italiani (24 numeri) Processo Valpreda (30 numeri) Pro Pace : almanacco illustrato (2 numeri) Quaderni di Giustizia e Libertà (12 numeri) Quaderni Piacentini (73 numeri) Quaderni Rossi (9 numeri) Quindici (20 numeri) Re nudo (88 numeri) Rinascita (624 numeri) Risorgimento Socialista (278 numeri) Rivista Critica del Socialismo (11 numeri) Spettacolo : Via Consolare (5 numeri) Storie e storia : quaderni dell'Istituto storico di Rimini (14 numeri) Studi Sociali (61 numeri) Tempo Presente (130 numeri) Terza Generazione (11 numeri) Una città (8 numeri) Unità Proletaria (48 numeri) Uomo (9 numeri) Utopia (10 numeri) Via Consolare (14 numeri) Vi saluta la Chiesa che è in Babilonia (7 numeri) Vita Fraterna (40 numeri) Vita nova (30 numeri) Volontà (274 numeri)
Opuscoli e libri sfogliabili"
Una corsa attraverso la cooperazione di consumo ingleseCassau, 1914Le Società cooperative di produzioneRabbeno, 1915La cooperazione ha introdotto un nuovo principio nell'economia?Gide, 1915La fusione delle cooperative in Francia..., 1915Cooperazione e socialismoMilhaud, 1914Le profezie di FourierGide, 1914I magazzini all'ingrosso della cooperazione di consumo inglese..., 1915Concorrenza e cooperazioneGide, 1914William Morris ed i suoi ideali sociali..., 1914Le due grandi vie della rivoluzione economicaVergnanini, 1914 Vai all'elenco completo
|